Qualche giorno fa, leggendo l'intervista fatta da Animeclick a Yuriko Tiger durante il Comicon di Napoli mi ha colpito molto l'affermazione fatta da Shiori, l'amica giapponese della nostra cosplayer:
"Sono rimasta sconvolta dal fatto che in Italia ci sono così tanti scioperi. Perché la gente non lavora? Perché non arriva il treno? Che è successo? Sciopero? Che vuole dire sciopero? In Giappone siamo abituati alla Yamanote Line che arriva in orario, ogni 2-3 minuti. Qui invece arrivi in stazione, non c’è nulla e chiedendo ti dicono “Eh, cacchi tuoi, ora rimani qua!” e adesso che faccio?"
Quindi in Giappone non "esiste" il diritto a scioperare per rivendicare migliori condizioni lavorative? Esiste, ma si porta dietro una cultura del lavoro e annose questioni che lo rendono quasi un argomento tabù; ma negli ultimi giorni è rimbalzata sui vari siti di informazione una notizia davvero particolare.
Ad Okayama i conducenti dei bus hanno fatto sciopero effettuando le corse regolarmente ma non facendo pagare il biglietto ai passeggeri! Quindi danno economico all'azienda ma sostegno da parte dell'opinione pubblica. Ma come mai si è arrivati a questo?
 

Gli autisti della ditta Ryobi Group che fornisce il servizio di autobus nella città di Okayama hanno deciso di effettuare questa insolita protesta quando dal 27 aprile ha iniziato ad operare la Megurin, nuova linea di autobus che effettua corse sovrapponibili a quelle della Ryobi con tariffe più economiche e per giunta con mezzi decorati con espressioni kawaii. Ovviamente i lavoratori si sono sentiti minacciati dalla concorrenza e hanno chiesto ai vertici dell'azienda di fornir loro garanzie per poter mantenere il posto di lavoro. Il management della Ryobi Group ha fatto orecchie da mercante e non avendo avuto così nessuna risposta, i dipendenti hanno deciso di scioperare alla loro maniera.
 



In questo modo non hanno favorito la compagnia rivale (le corse hanno continuato regolarmente) e in più, facendo viaggiare gratis i passeggeri, hanno ottenuto la simpatia della popolazione che non avrebbe visto di buon occhio un disservizio nella rete di trasporti. Ma il danno per la compagnia è invece reale, con un consumo di benzina e nessun introito.
Ma non è il solo sciopero che ha fatto notizia: qualche settimana fa nei pressi della stazione di Tokyo gli onnipresenti distributori automatici non erano stati riforniti di bevande. Il motivo di questa situazione davvero anomala era lo sciopero dei dipendenti della Japan Beverages messo in atto per chiedere migliori condizioni di lavoro e il pagamento degli straordinari effettuati. Ma non crediate che non lavorino affatto: semplicemente svolgono "solo" le 7 ore e mezza per cui sono pagati.
 

Ma quindi è vero che i giapponesi non scioperano? Sì e no.
Bisogna andare indietro nel tempo per capire il perché di tutto ciò. L'anno spartiacque è il 1985: se prima di quell'anno le rivendicazioni sociali si attestavano sul 45% oggi sono scese al 15% e durano al massimo mezza giornata. Andando più nel dettaglio, nel 2016 ad esempio ci sono state 391 manifestazioni e 66 scioperi, nessuno a livello generale o nazionale, tanto che difficilmente sono state seguite dalla stampa.
Le richieste sono basilari: salari e politiche per le risorse umane (licenziamenti, formazione, ore straordinarie, pensionamento sono le più gettonate); i settori con il maggior numero di scioperi sono quello industriale e minerario, quello sanitario e quello logistico. Ma lo scenario era ben diverso durante gli anni 70.
 

Ogni anno era previsto lo Shunto (letteralmente la battaglia della primavera): un appuntamento in cui datori di lavoro e impiegati rinegoziavano i contratti per migliorare salari e condizioni e fronteggiare così l'inflazione galoppante. Nel 1975 il braccio di ferro fra padroni e sindacati bloccò per diversi giorni tutto il traffico ferroviario.
Ma le cose si aggravarono all'inizio degli anni 80 con la decisione di privatizzare la Japan National Railways: numerosi furono gli scioperi per impedire quello che era vissuto come la fine di un'epoca e che preoccupava molto i lavoratori. Ma soprattutto nel biennio 84-85 furono proclamati numerosi scioperi per continuare a garantire il diritto allo sciopero soprattutto nelle aziende pubbliche e in queste lotte si distinse il National Railway Chiba Motive Power Union (Dorochiba). Ma l'azione che cambiò la percezione dello sciopero nel paese avvenne il 29 novembre 1985.
 

In quella data, alle 3 di notte, la Lega comunista nazionale rivoluzionaria, un piccolo gruppo di estrema sinistra, vagamente affiliato al Dorochiba e già coinvolto in azioni di guerriglia urbana e di attentati dinamitardi, decise di tranciare in 30 punti diversi i cavi di segnalazione dei treni (fondamentali per a sicurezza del traffico) su 20 linee di Tokyo e 2 di Osaka. Alle 6 del mattino poi la stazione di Asakusabashi fu attaccata con bottiglie molotov e parzialmente distrutta. La situazione tornò alla normalità solo alla fine della giornata, dopo aver coinvolto 3.200 treni e 6 milioni di persone.
 


Un'azione del genere, seppur non strettamente correlata ad un sindacato, fu la classica goccia che fece trabboccare il vaso: l'opinione pubblica si scagliò contro i sindacati e ricorrere allo sciopero come forma di protesta divenne quasi impossibile. Anche la privatizzazione e la frammentazione delle grandi aziende statali non aiutarono a mantenere in vita questo strumento sociale.
Affermare quindi che in Giappone lo sciopero non esiste non è vero, ma certamente non ha le caratteristiche e la frequenza di quello italiano, tanto per fare un esempio.

Fonti consultate:
SoraNews
AchiKochi