Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Fa uno strano effetto, mentre mi accingo a scrivere questa recensione, pensare che probabilmente impiegherò più tempo a scriverla di quanto ne abbia usato per vedere l’anime che recensisce, ma tant’è, nei suoi tre minuti a episodio, che fanno trentanove ripartiti nei tredici episodi totali, anche questa mini-serie ha saputo ritagliarsi un suo spazio e una sua importanza, che non la renderanno paragonabile alle serie “maggiori” come numero e durata degli episodi, ma comunque meritevole di uno sguardo, non fosse altro per il buonumore e la serenità che regala coi suoi simpatici protagonisti.

E parliamone, allora: “Osake wa Fufu ni Natte Kara”, il cui più intuitivo titolo inglese è “Love is Like a Cocktail”, è un adattamento anime dell’omonimo manga di Crystal na Yousuke, una commedia/slice of life sentimentale che ha praticamente due soli protagonisti, i quasi trentenni Chisato (affettuosamente detta Chi-chan) e Sora Mizusawa, una coppia sposata della quale vediamo brevissimi momenti della vita matrimoniale, incentrati quasi sempre su piccoli problemi o risibili incomprensioni risolti dall’abilità di lui nel soddisfare e appagare la segreta passione di lei... sì, posso immaginare cosa stiate pensando con due adulti sposati come protagonisti, ma siete decisamente lontani, questa è una serie leggera e innocente, e l’abilità in questione altro non è che la miscelazione dei cocktail, perché Sora è un bravissimo barman e Chi-chan una bevitrice indefessa, che, pur non reggendo benissimo l’alcool, non lesina mai nel bere le creazioni che gli propone, a seconda del momento che sta vivendo, suo marito, spinta sia dall’amore sincero che prova per lui, ampiamente ricambiato, sia anche da una malcelata passione per le bevande alcoliche che finisce sempre per consumare più che volentieri.

Praticamente la “trama” è tutta qua; la vera forza di questa serie alla fine sono le caratterizzazioni volutamente esagerate dei suoi protagonisti, che sono praticamente perfetti in ogni loro aspetto, per andare incontro ai palati di tutti gli spettatori della serie. Sora infatti è il marito talmente ideale, che neanche decine di riviste femminili insieme riuscirebbero a creare nei sogni delle loro lettrici: bello ma non impossibile, alto, fisicamente ben piazzato, è sempre sereno, piacente, simpatico, gentile e disponibile in ogni momento della giornata per qualsiasi cosa, dalle pulizie di casa alla cucina, passando, ovviamente, per la preparazione del cocktail giusto per la sua Chi-chan, che d’altro canto è un essere talmente bello e amabile che qualsiasi uomo sarebbe portato a giustificare il comportamento di Sora. Chi-chan difatti è una splendida donna in carriera, bionda, occhi azzurri, fisicamente minuta ma estremamente formosa, tanto decisa e sicura sul posto di lavoro quanto timida e impacciata tra le mura domestiche, quando, per esempio, si nasconde dietro il marito mentre guarda un film horror o gli chiede di cucinarle qualcosa in piena notte perché non aveva ancora mangiato, atteggiamento remissivo che abbandona immediatamente quando assume una bevanda alcolica presentata da Sora, che la trasforma, se possibile, in una donna ancora più carina, dato che le fa perdere qualsiasi inibizione e persino i pochissimi difetti che ha, tipo l’assoluta incapacità di destreggiarsi ai fornelli, e non fa altro che renderla ancora più adorabile agli occhi di chi guarda.
Queste caratterizzazioni dalla facile presa sul pubblico sono necessarie alla fine per fidelizzare suddetto pubblico a una serie che altrimenti avrebbe ben poco da presentare nei suoi contenuti, vista la brevissima durata dei singoli episodi; a questo si può aggiungere però anche l’iniziativa, adottata direttamente dal manga, di proporre in ogni episodio gli ingredienti per preparare il cocktail che Sora presenta alla sua Chi-chan, un’idea che, personalmente, mi interessa poco, visto che non sono un gran consumatore di bevande alcoliche, ma che non mancherà di interessare invece chi ama sperimentare e provare nuovi cocktail per soddisfare la sua passione.

Dal punto di vista tecnico l’anime è, tutto sommato, molto ben fatto, considerando la sua breve durata. Opera dello studio ‘Creators in pack’, “Osake wa Fufu ni Natte Kara” è uno short-anime ben disegnato con un character design moderno che si accosta benissimo anche alle maggiori produzioni del momento, una serie dai colori molto forti e vivaci con animazioni molto semplici ma più che adeguate al contesto che raccontano. Della colonna sonora vale la pena giusto citare l’unica sigla della serie, utilizzata come ending in questo caso, che è “Don’t Let Me Down” dei Cellchrome, un brano pop banalotto ma orecchiabile, e anche un po’ sprecato, se vogliamo, per una serie che lo propone, per forza di cose, al massimo per una trentina di secondi, mentre è giusto sottolineare l’ottimo lavoro svolto in fase di doppiaggio dai quasi veterani Eri Kitamura (Chi-chan) e Mitsuhiro Ichiki (Sora), certamente non chiamati a svolgere il ruolo più difficile o importante della loro carriera, ma comunque più che validi nel rappresentare le personalità abbastanza uniformi dei due protagonisti, e contribuire così a formare quella caratterizzazione “perfetta” che li contraddistingue.

In tredici brevi, e per questo mai noiosi, episodi, quindi, “Osake wa Fufu ni Natte Kara” sviluppa la sua semplice storia, creando un’atmosfera spensierata e gradevole che la rende una commedia simpatica che consiglierei tranquillamente a tutti, una serie di piccoli assaggi di radiosa vita matrimoniale che procureranno l’invidia di chi la sogna, e finiranno per convincere anche il/la più incallito/a dei single a desiderare, fosse anche solo momentaneamente, la felicità che Sora e Chi-chan riescono a trasmettere nel loro rapporto.

8.5/10
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Il tema dei "dagashi" (in breve snack e dolcetti dal costo esiguo) probabilmente è stato uno dei punti forti del manga in patria, in quanto carico di vene nostalgiche per tutti quelli che ne hanno mangiati da bambini, ma in Italia, a distanza di migliaia di kilometri dal Giappone, si presenta inevitabilmente come qualcosa di lontano, fuori dalla riflessione comune… un punto debole, insomma. Ma questo manga non è solo un’epopea dei dagashi (che comunque ricoprono un ruolo importante) è anzi e di più una meravigliosa commedia. Character design veramente strabiliante e ineccepibile, forse il migliore che abbia mai visto, situazioni esilaranti, protagonisti bizzarri e sì, anche qualche momento di riflessione e di commozione… è stata veramente una sorpresa incredibile.

Il primo volume effettivamente lascia un po’ spiazzati. Dagashi qui, dagashi là, sembra veramente ci sia spazio per poco altro. Qualche gag simpatica ma poco di più. Terminata la lettura, dopo un po’ però viene da domandarsi: cosa combinerà nel prossimo la matta di Hotaru?

Lo sfondo dei dagashi inizia pian piano a dare meno fastidio. Ci si inizia ad affezionare ai personaggi, perla davvero splendente di questa piccola genialata che è quest'opera. La storia è abbastanza diluita ed effettivamente in 11 volumi a livello di trama non accade moltissimo, ma sorprendentemente, il poco che succede basta. A lettura conclusa forse si potrebbe pensare che i personaggi sarebbero potuti essere approfonditi un po’ di più, è vero, ma ci si rende anche conto che sorprendentemente… non ne hanno avuto bisogno. Sono andati benissimo anche così, anzi, vanno benissimo anche così.

I volumi vanno via uno dopo l’altro come dei dagashi, fino a giungere alla conclusione, che probabilmente per qualsiasi altro manga mi avrebbe lasciata insoddisfatta ma che per questa leggera, bislacca, magnifica opera è perfetta.

"Dagashi Kashi" è una boccata di buon umore che rimarrà sicuramente ben scolpita nella mia memoria.

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Un piccolo gioiello dell'ex Unione Sovietica, in cui, nonostante i limiti tecnici e l'età avanzata, si nota ancora una certa cura. Lodevole soprattutto la semplice ma efficace iconografia della regina, dalla presenza signorile e granitica... a tratti forse, vagamente "Miss Liberty", ma capace di esprimere tutta la dura beltà di un ambiente gelido e solitario. Un'imponente monumento alla pericolosità del perfezionismo.

"Snezhnaya Koroleva" alias "La regina delle Nevi" è un prodotto d'altri tempi a cui, per amor di onestà, dobbiamo riconoscere delle imperfezioni, probabilmente dovute a questioni di risorse economiche, da sempre grande ostacolo di molte produzioni pioneristiche del secolo scorso (e non solo). Il cartone animato diretto da Lev Atamanov, prolifico regista di opere come "Il fiore Scarlatto" e "L'antilope d'oro", si segue ancora che è un piacere, e la sua "purezza" d'epoca gli fa anche guadagnare punti, ma sarebbe falso dire che la storia, così classica, non sia velocizzata più del dovuto. Il problema non è solo lo scarso approfondimento familiare dei due ragazzi o la rapidità con cui si arriva al rapimento di Kai, quanto ciò che avviene dopo la redenzione della lunatica teppistella di buon cuore e la conseguente fuga di Gerda dai banditi. Da quel punto in poi la corsa al salvataggio diviene evidente e furiosa, gli aiutanti entrano ed escono di scena in modo brusco e, cosa peggiore, alla regina viene negata un'uscita degna di tal nome, fosse anche stato solo per deridere con fare pietoso i due giovani. Con un quarto d'ora in più staremmo parlando davvero di un capolavoro, ma questi grattacapi erano piuttosto frequenti al tempo.

Oggi, senza un lavoro di restauro temo sarebbe difficile far apprezzare questo bel lavoro, e, se anche avvenisse, probabilmente non basterebbe, non solo per l'anima decisamente artigianale pure per un prodotto vecchia scuola, ma anche per un romanticismo classico verso cui, ormai, chiunque di noi oggi si sentirà tristemente un po'..."corazzato". Un classicismo a ben guardare solo parziale, in quanto "La Regina delle Nevi", nonostante la sua veneranda età, ci offre le gesta non di una damigella in pericolo, ma di un'eroina, una piccola donna forte in un modo più sano e spontaneo, senza che ella debba temere di nascondere le proprie insicurezze o sentimenti, che saranno semmai la sua forza trainante. Non vi è inoltre il moderno elemento del voler sfuggire a tutti i costi alla propria condizione sociale, povera o agiata che sia, una tematica di per sé valida, ma oramai abusata nelle produzioni in voga, dove, a volte, il confine tra responsabilità e libertà diviene piuttosto sottile, adattandosi malamente al contesto storico.

Purtroppo, sul fronte delle edizioni, contrariamente al primo "Gatto con gli Stivali" della Toei, al "Pinocchio" di Cenci e alla "Rosa di Bagdad" di Domeneghini, alla "Regina delle Nevi" di Atamanov credo siano toccate finora solo digitalizzazioni frettolose per versioni ultra-economiche, quel tipo di pubblicazioni da edicola contenenti difetti da nastro magnetico e tipicamente abbellite da copertine orrende che ricordano i disegni plagianti sui salvadanai dei mercatini e sulle giostre delle fiere. Considerando comunque la scarsissima ricezione del pubblico per i titoli rieditati a dovere, è il massimo che ci meritiamo.

Prima di concludere, suppongo che un confronto con la più recente opera Disney, "Frozen" del 2013, sarebbe doveroso farlo, se non fosse che le due opere, al di fuori dell'ispirazione iniziale alla storia di Andersen, non condividono assolutamente nulla tra di loro. O meglio, è più giusto dire che l'opera Disney non c'entra granché con la fabula classica, e che gli unici richiami si possono intravedere nei poteri elementali di Elsa e in alcuni schizzi artistici di Glen e Claire Keane, padre e figlia, entrambi ex-artisti veterani della Disney. Glen Keane, in particolare, fu rilevante nel delineare l'aspetto di molti personaggi dei classici "rinascimentali" anni '90, tra cui "La Sirenetta" e "Aladdin". In alcuni reperibili bozzetti di Miss. Claire si può vedere una Anna/Gerda minacciata da una spigolosa e cianotica regina modello "Crudelia" o "Madame Medusa", e in quelli del padre, invece, una regina molto elegante, bella e impellicciata, vagamente simile ad alcune scene presenti in questo mediometraggio. Entrambi purtroppo lasciarono la società proprio in quel periodo, probabilmente perché ormai sia l'ambiente creativo che gli obiettivi futuri erano cambiati radicalmente... Triste sottolineare come gli incassi abbiano poi dato ragione a questi "ammodernamenti".

Tornando al film russo, "La Regina delle Nevi" è un tassello che qualunque appassionato di animazione dovrebbe recuperare. Per fare lavori come questo, erano necessari una notevole dose di cocciutaggine e immensi sacrifici personali, in tempi ben più duri dei nostri. Certo, con le opere datate viene spontaneo il timore di non riuscire ad apprezzarle, ma concedete ai loro creatori il rispetto che meritano, dando loro una possibilità, ci sono molte piccole perle da riscoprire, in buona parte fatte proprio nel nostro vecchio e caro continente.

P.S. Lo spirito dei sogni è palesemente ispirato al grillo parlante Disney e, buffo a dirsi, ma Kay e Gerda, per quanto personaggi positivi, con il loro aspetto mi hanno riportato alla mente il film "Il villaggio dei dannati".