Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Nell’autunno del 2018 nei cinema giapponesi viene proiettato, sotto forma di lungometraggio della durata di circa 145 minuti, “Zoku Owarimonogatari”, adattamento dell’omonima light novel scritta da Nisio Isin e illustrata da Vofan. L’anime viene in seguito diviso in sei episodi di durata canonica e trasmesso in televisione nel 2019.

La serie si svolge all’indomani della cerimonia del diploma. Mentre si sta lavando il viso, Koyomi si accorge che il suo riflesso nello specchio si è bloccato e, tentando di risolvere la situazione, finisce per “attraversare” l’oggetto. Il ragazzo si ritrova così in una specie di mondo parallelo in cui le persone che conosce non sono esattamente come se le ricorda.

Come annunciato dal protagonista all’inizio della prima puntata, le sue avventure e quelle delle altre anomalie si erano definitivamente concluse con la seconda parte di “Owarimonogatari”; l’anime qui analizzato, dunque, costituirebbe solo uno “special”, un progetto “extra”. Ma, anche mettendola su questo piano, “Zoku” rappresenta un pezzo fondamentale della storia di Koyomi Araragi o, meglio, della fine della sua storia. Perché quest’ultima serie è una profonda riflessione che può attuarsi solo raggiunta la fine, una meditazione che il Koyomi non più liceale, ma neanche studente universitario, pone in essere sul vecchio sé stesso. Ancora una volta, dunque, il nostro protagonista è oggetto di una grande introspezione psicologica: attraverso affascinanti simbolismi legati agli specchi, che invertono la nostra immagine e offrono una visione distorta della nostra figura, che non riflettono mai tutta la luce in essi proiettata e lasciano fuori una piccola parte di cui noi non ci accorgiamo, Koyomi imparerà nuovamente a conoscere sé stesso e tutte le persone che lo circondano.

L’anime di “Zoku”, come al solito, è costellato di dialoghi e monologhi brillanti, battute perspicaci, misteri intriganti, sorprese sbalorditive e, come mai non guasta, un pizzico di dolcissimo romanticismo. Il comparto visivo e sonoro si riconferma sublime e d’effetto: da menzionare, a questo giro, l’ipnotica opening “07734”, per la prima volta interpretata da Hiroshi Kamiya.

Riassumendo, “Zoku Owarimonogatari” è l’ennesimo gioiellino creato dalla mente del geniale Nisio Isin e abilmente trasposto dallo staff dello studio Shaft. Un’intricata, simbolica, riflessiva continuazione della già perfetta conclusione delle vicende di Koyomi Araragi. Voto: 8,5.

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Il duo Yuasa-Morimi è indissolubile e capace di portarci in un mondo il cui stilema più distinguibile è la velocità dirompente, che ti fa rimbalzare il cervello da un punto all'altro della scatola cranica. Dopo 'The Tatami Galaxy' Yuasa decide di riportare in auge l'intera squadra, dallo sceneggiatore Ueda al compositore Oshima - bravo questa volta, ma non bravissimo, ma c'è da dire che non ha potuto esporre tutta la sua capacità, come spesso accade nei film -, compresi molti doppiatori (ma non tutti).
Chi conosce lo stile di Yuasa non sarà sconvolto affatto. Il suo stile rimane liquido, fluido. La solidità non esiste, i contorni sono sempre morbidi e variabili, e la regia aiuta tutto ciò spostandosi, riprendendo dalle posizioni meno consone, scardinando la prospettiva, mettendo a dura prova le leggi dell'ottica. L'immaginazione al potere, si sarebbe detto cinquant'anni orsono, compresi i colori, così liberi di esprimersi, ma giammai troppo esuberanti e limpidi. Lo stile di Yuasa, infatti, è sostanzialmente scuro. C'è sempre un sormontante grigiastro che pare insinuarsi tra i colori caldi e felici di cui sono composti protagonisti e scenografia: questa patina, che si realizza nella cupezza visivamente percepibile, è però primariamente rappresentata dal messaggio morale che gli Autori vogliono sottoporci.

I personaggi, più o meno tutti doppelgänger degli stessi di 'The Tatami Galaxy', sebbene viventi in un'altra, ulteriore Kyoto alternativa, mantengono però le stesse caratteristiche personali: la freschezza della protagonista, l'unico personaggio caratterizzato da colori chiari, inseguita dal protagonista, il ragazzo disadattato, perso in sé stesso e nella società opprimente e ripetitiva, e portatore lui stesso del sostanziale grigiore circondante tutti. Come in 'The Tatami Galaxy', il climax speculativo è ascendente: inizialmente le vicende sono lineari, la narrazione è semplice da seguire.
Una lunga notte, lunghissima, permette alla giovane ragazza di vivere al massimo la sua vita, in modo esagitato, ma sempre ragionato e posato, solo per sé stessa.
Una lunga notte, lunghissima, permette al giovane ragazzo di vivere la sua vita al minimo, tutta in funzione di lei, della sua idealizzazione.
L'albero yuasiano si ramifica e genera, nel mentre, tanti frutti secondari: si passa velocemente dalla comparsa di un semi-antagonista a una serie di musical di tutto rispetto, sino al palesarsi di un mercatino di libri usati. Questi frutti vengono colti dalla ragazza, che segue il suo filo di vita e va avanti, quasi come se stesse seguendo il suo flusso di coscienza. Il protagonista è la sua mera ombra.

Sebbene non chiaramente come in 'The Tatami Galaxy' - che devo ammettere essere molto più introspettivo e curato, in tal senso - anche qui viene ben presto a crollare il debole e sottile muro divisorio fra l'io ed il non-io, fra il soggetto e l'oggetto, mescolandosi tutto in una sola entità, che schopenhauerianamente sarebbe la volontà stessa, in questo caso del protagonista. Nel mondo reale venti si agitano, venti irrequieti nati dall'irrequietudine mentale di chi questa vita proprio non riesce ad acchiapparla.
Più passa il tempo e più la vita ci separa gli uni dagli altri. "Il tempo vissuto in isolamento fugge via come una saetta", le lancette roteano vorticosamente, mentre nulla accade nelle nostre esistenze, mentre solo i pensieri si dan da fare e rimangono attivi, pensieri che si accatastano gli uni sugli altri come se fosse una chiassosa e fin troppo democratica bulè (e quanto mi ha ricordato Woody Allen quella scena), sino a produrre quelle solite e trite decisioni sbagliate prese solamente per paura. In ciò sta la grandiosa comparazione che gli Autori fanno tra la breve notte della protagonista, lei capace di congelare il tempo, rendendo le poche ore durevoli un anno intero, dall'estate all'inverno, così simile alla lunga notte di Zeus e Alcmena, e la lunga, lunghissima notte del protagonista (e dell'antagonista), incapaci di avere il tempo nelle proprie mani, spettatori della vita propria e altrui.
Solo un immane sforzo, contro intemperie infernali, scalando enormi castelli mentali impervi e perigliosi, permette a qualcun altro di insinuarsi nelle pieghe cerebrali di chi non riesce ad accogliere in sé la vita. Questo enorme sforzo altrui, questo aiuto dall'esterno, però, non porta a nulla, se non è lo stesso moribondo a decidere di fare un passo al di fuori del suo feretro, perché "arriva il momento in cui dobbiamo rischiare di fare un balzo nell'oscurità, anche se dovessimo precipitare nell'inferno di un cuore infranto". E come non ricordare 'Welcome to the NHK' e il suo messaggio?

Il finale è bello, semplice come un sorriso.
Un'opera magistrale e importante. Una spanna sotto 'The Tatami Galaxy', ma fatta di un tessuto che va divenendo via via sempre più raro. Da conservare sotto chiave.

9.5/10
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O lo si ama o lo si odia.
Shintaro Kago è uno di quegli autori che va contro a tutto ciò che ci viene imposto. Kagopedia è una raccolta di storie fuori dall'ordinario dove, a una prima lettura, il sesso sembrerebbe uno dei fili conduttori che reggono l'intero volume. A mio parere il leitmotiv dell'opera è l'intenzione di scioccare il lettore accompagnandolo per mano nei meandri più oscuri e disturbati della mente umana, il tutto condito con un'abbondante dose di ironia che è sempre presente nelle produzioni di Kago. Le storie puntano a mettere in discussione le convinzioni che ognuno di noi ha sul fumetto in generale: ci si trova, infatti, di fronte a un meta-fumetto, dove le vignette si rivolgono direttamente al lettore tralasciando in alcuni casi la narrazione. Per quanto potrebbe sembrare strano, il risultato ottenuto è a dir poco fenomenale. Kago dà il via a delle storie che sono libere di evolvere in modo autonomo, incappando spesso nel proporre vignette incasinate dove parti umane si mischiano tra loro uscendo dai propri riquadri, senza però mancare di genio e fantasia.
Si passa quindi da vignette che si riproducono migliaia di volte, creando così migliaia di storie diverse, a pagine piene di piccolissimi riquadri che continuano a moltiplicarsi fino a riformare la pagina iniziale. L'autore sembra prenderci per mano per poi gettarci in un delirio sempre più profondo che tende comunque ad affascinare per il concept e la realizzazione.
Ovviamente l'opera non è per i deboli di stomaco: una delle storie ha come argomento il "retro" delle cose e quindi ci si troverà di fronte ad animali e a persone che verranno ribaltate dall'interno mettendo in mostra tutti i loro organi. E poi si parla di coprofagia, ma questo è un classico di Shintaro Kago.
L'unica pecca della raccolta è forse il disegno di alcune storie che pare asettico e poco curato, senza particolari attenzioni per gli sfondi, ma credo che sia una scelta dell'autore e in ogni caso vi troverete più volte, leggendo le altre storie, a desiderare di avere meno dettagli possibili sul foglio perchè ci sono alcune tavole molto forti.
In conclusione sono veramente felice di aver comprato questo libro. Lo stile dell'autore mi è sempre piaciuto in quanto dissacrante e anticonvenzionale, quasi al limite della follia, ed è un volume che consiglierei a chiunque avesse voglia di confrontarsi con un'opera cruda, ma allo stesso tempo geniale e irriverente.