Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Una favola cruda e violenta, "Gatta Cenerentola" non è la storia della Cenerentola cui siamo abituati, che canta, ha la compagnia dei suoi animali e sopravvive con pazienza alle vessazioni di matrigna e sorellastre. Cenerentola è qui presentata come una ragazza che ha perduto il dono della parola, che ha perduto tutto ciò che di bello aveva nella propria vita e che, in mezzo alle vessazioni subite, fugge perché non può comprendere nulla della vita.
"Gatta Cenerentola" è un ritratto reale e violento di una Napoli immaginaria, o quasi. Il fulcro della vicenda avviene sulla nave Megaride, su cui, grazie a una tecnologia avanzata creata da Vittorio Basile, è possibile registrare tutto ciò che avviene (espediente interessante, per altro, per far convergere nel finale i destini di tutti i personaggi). Vittorio è un uomo ricco, potente e innamorato della bella Angelica, che intende sposare. Ma Angelica è, a sua insaputa, invaghita di Salvatore Lo Giusto, detto ‘O Re, con cui progetta di uccidere Basile, per ottenere la sua ricchezza e a cui sottrarrà la piccola figlia Mia, soprannominata in seguito “Gatta Cenerentola”.
L’ambientazione originale che ci viene mostrata è quella di una città che cade nel degrado, dove mafia, prostituzione e violenza sono all’ordine del giorno. E come nel più classico dei film che trattano quest’argomento, ci sarà il più classico dei personaggi che, con motivazioni personali a suo carico, deciderà di fermare l’ascesa di ‘O Re.
Interessante è come, oltre a un’ambientazione che parte come colorata, piena di vita e solare e diventa piena di degrado e dolore, anche i personaggi abbiano tutti una controparte. Salvatore Lo Giusto incarna il “vero napoletano” (come dice lui stesso nel film: “Bisogna essere all’altezza di essere napoletani”), ed è un personaggio a cui ogni cosa scivola addosso. Conosce persone di cui non gli importa, se non per un tempo effimero, non gli interessa niente, se non la ricchezza. Il suo opposto è Primo Gemito, poliziotto, ex guardia al servizio di Vittorio, che invece è affezionato alla memoria del suo capo e alla piccola Mia, che intende salvare ad ogni costo dalla tirannia dei genitori. In mezzo a loro, unici personaggi maschili di rilievo, c’è un intero harem assortito di donne. E, al di là delle sei figlie (vabbè, cinque femmine e un maschio) di Angelica, i fulcri sono quest’ultima e Mia, le due eroine della storia. Ho trovato Angelica il personaggio più interessante: una donna apparentemente dotata di una forza incredibile, che tiranneggia su tutti, eppure debole, che si lascia sfruttare e consumare da un amore unidirezionale e da una gelosia che la dilania. Così come si è lasciata sfuggire l’unica relazione reale che avrebbe potuto mai ottenere (e ce ne rendiamo conto grazie all’affetto per l’unica cosa che ancora la lega al ricordo di Vittorio, un merlo che lui stesso le regalò quindici anni prima). Mia, al contrario, parte come l’eroina debole, vessata, incapace di parlare e gridare il proprio disappunto, e che invece evolve in una donna vendicativa, che getta le scarpette di cristallo in favore di una pistola.
L’intera storia è permeata di violenza, che non viene in alcun modo risparmiata. Ci sono solo vittime e carnefici, e tutti incarnano l’una e l’altra parte. Una cornice tutt’altro che infantile e fiabesca.

10.0/10
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"Tanti anni fa la Terra rischiò di essere invasa da una civiltà aliena che mirava alla conquista e alla distruzione del pianeta, prosciugandolo di tutte le sue risorse. Tuttavia una compagine di ribelli riuscì a sventare i piani alieni e salvare l'umanità."

Sembra l'introduzione del prossimo film di fantascienza? No, si tratta di "Steven Universe".
Fondamentalmente ciò che ho scritto sopra si riferisce all'antefatto, in realtà la storia principale si svolge ai giorni nostri, in una località balneare chiamata Beach City, in quelli che dovrebbero essere gli Stati Uniti.
Il protagonista della storia si chiama Steven (da qui il titolo della serie) ed è per metà umano e per metà alieno, un'esistenza unica nel suo genere. Gli alieni in questione sono gemme che hanno il potere di assumere forma umanoide.
La storia ha inizio quando il nostro protagonista comincerà a confrontarsi coi poteri derivanti dall'essere per metà gemma, e grazie anche all'aiuto di Garnet, Perla e Ametista (le Crystal Gems) a trovare il modo di evocare la propria arma. Il ragazzo è orfano di madre dalla nascita, perché lei stessa in quanto gemma non poteva coesistere col figlio.
La prima stagione è quella introduttiva, Steven inizia a sperimentare le sue capacità, le gemme cercano di coinvolgerlo nelle loro missioni e perlopiù le giornate passano tranquille, tuttavia fin da subito si capisce che questa apparente serenità non è destinata a durare, perché il pianeta d'origine delle gemme non ha ancora rinunciato a distruggere la Terra.
Lo scopo principale delle Crystal Gems sarà quello di difendere Beach City e la Terra dai nuovi invasori provenienti dal pianeta d'origine, Homeworld.

Descritta così, parrebbe una classica storia di fantascienza, ma "Steven Universe" è molto di più, esplora tematiche profonde, quali l'amicizia, il bullismo, la famiglia, la morte, l'omosessualità (per citarne alcune), ma senza renderle forzate, perché sono magistralmente fuse nella trama in modo del tutto naturale. Merito di questo è soprattutto della ideatrice dello show Rebecca Sugar, che i più conosceranno per aver lavorato ad alcuni episodi di "Adventure Time".
Sugar e il suo team hanno davvero creato un prodotto innovativo e coraggioso, sono incorsi in molte critiche nel corso degli anni, ma non si sono mai dati per vinti e hanno proseguito col loro intento, dando la possibilità a milioni di bambini e ragazzi in tutto il mondo di sentirsi rappresentati in uno show dedicato a loro, indipendentemente dal genere, dall'etnia o dalle loro preferenze affettive.
E hanno avuto ragione! Nonostante la programmazione su Cartoon Network sia discontinua, il successo di "Steven Universe" è innegabile, e spero che prosegua ancora per molti anni.

Soffermandoci più sugli aspetti tecnici, "Steven Universe" attualmente è alla quinta stagione negli Stati Uniti e vanta all'attivo più di 150 episodi, essendo questi di soli dieci minuti ciascuno. Le caratteristiche peculiari che me l'hanno fatto amare subito dal punto di vista estetico sono stati i colori pastello nei fondali, che mi hanno riportato ai tempi di "Sailor Moon", e le musiche; la colonna sonora è strepitosa e spesso i personaggi cantano, inoltre è un elemento fondamentale della trama, visto che il padre di Steven è un musicista. Lo stesso protagonista sa suonare la chitarra, l'ukulele e anche la batteria. Personalmente ogni volta che viene introdotto un personaggio rilevante non vedo l'ora di scoprire quando canterà!
In Italia è distribuito sempre da Cartoon Network, ma è disponibile anche su Netflix. Il doppiaggio italiano non è male, e con l'andare avanti degli episodi migliora costantemente, tuttavia io preferisco quello originale, in quanto le canzoni sono più belle da ascoltare.

In conclusione, vi dico: "Guardatelo!" Non ci vuole molto, visto che gli episodi sono corti, io me ne sono completamente innamorata dopo una decina, per cui dategli una chance, non ve ne pentirete. Per tutto ciò che ho scritto sopra, il mio è un voto pieno.

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Un compendio gradevole che rispetta l'opera del compianto Schultz.

Quando anni fa vidi il trailer, ebbi molti dubbi sul film, la mia prima impressione fu di un buonismo eccessivo, che invece fui felice di constatare essere dosato con cura. I personaggi principali sono tutti presenti e si riconoscono benissimo nei loro atteggiamenti: l'acida Lucy, la rozza Piperita, l'ispirato Schroeder, il saggio Linus, l'intellettuale Marcie... ma, ovviamente, considerando il mezzo diverso e pure gli oltre sessant'anni che dividono le prime strisce da questo film, ci sono differenze.

"Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts" è un lungometraggio incentrato sul facilmente digeribile romanticismo. Un film semplificato nelle autoanalisi dei suoi personaggi e più vicino alle strisce sfornate dagli anni '70/'80 in poi, quelle con uno Snoopy più centrale e sempre più umanizzato, piuttosto che su quelle dei primi vent'anni di pubblicazione, aventi tematiche e atmosfere occasionalmente più adulte. Contrariamente all'impostazione però, mancheranno alcuni personaggi introdotti nell'ultimo periodo del fumetto, per portare disperatamente... un po' di linfa vitale. Mi riferisco a Replica Van Pelt, il fratello minore di Linus e Lucy, e a Peggy Jean, una ragazzina molto vicina a Charlie Brown. Peggy in particolare fu un elemento di rottura col passato, al punto da destare malumori sia nella sua venuta che, dopo un decennio, nel suo improvviso accantonamento.

Ovviamente, a tutto ciò si unisce anche il tocco del regista, Steve Martino, che in precedenza aveva fatto pratica con "Ortone e il mondo dei Chi" e con il quarto capitolo de "L'era Glaciale - Continenti alla deriva". Se non ricordo male, venne scelto proprio per il suo lavoro sull'opera del dottor Seuss, ritenuta dalla famiglia del defunto Schulz un buon connubio di modernità e garbo.

La storia che ci troveremo davanti è la tipica voglia di riscatto del bravo ragazzo, con una strizzata d'occhio all'intento educativo per i più giovani. Non vedremo Linus fare un picchetto in favore della maestra né lo vedremo andare a far visita ad amiche gravemente malate, come successo in altre passate trasposizioni, l'obiettivo principale sarà piuttosto quello di raggruppare tutti gli elementi storici sotto lo stesso tetto, a costo di accennarli molto flebilmente. Parliamo di cose come il campo di cocomeri (zucche), il ritrovo della quercia, la cotta di Piperita Patty per 'Ciccio', quella di Lucy per l'inespugnabile seguace di Beethoven, il campeggio estivo, Joe Falchetto (Cool), la fissazione di Frieda per i suoi riccioli naturali, l'incalciabile pallone da football, l'albero mangia-aquiloni, la posa da avvoltoio di Snoopy ecc., il tutto solo ed esclusivamente per gli ammiratori storici, ormai grandicelli e in grado di coglierli. Di queste chicche, l'unica veramente approfondita sarà quella della tenzone 'spielberghiana' col Barone Rosso e di riflesso della mania di Snoopy di scrivere romanzi con la sua storica frase d'inizio, "Era una notte buia e tempestosa", elemento permesso da un'antiquata macchina per scrivere, che ci ricorda il suo essere nato in un'altra epoca.

Riguardo alle differenze tra le due opere, quella che salta per prima all'occhio è proprio Snoopy. Per il geniale bracchetto (beagle) del caro vecchio Charlie Brown, il suo padrone è sempre stato "il buffo bambino dalla testa rotonda", un umano poco più importante degli altri e solo perché lo sfama. Anche se odia e teme i gatti del vicinato, Snoopy nell'opera di Schultz è un gatto-umanoide travestito da cane, costantemente indipendente, menefreghista ed estremamente egocentrico. Al contrario quello del film, anche se rimane dispettosetto e altrettanto sognatore, è molto più vicino alla figura dell'amico fedele a quattro zampe, e il sostegno che in origine sarebbe stato breve e incostante qui viene mantenuto. Personalmente non l'ho trovato un male, anzi, e ho gradito pure le modifiche secondarie, ma incisive, al personaggio di Charlie Brown. Mi riferisco al suo nuovo potere distruttivo, che lo ha fatto passare da semplice complessato a terremoto fantozziano da cui stare alla larga.

Si badi bene, l'ho definito un complessato, non un perdente come molti hanno amato definirlo negli anni. Lo stesso Schultz disse di non averlo mai visto in quei termini, infatti Charlie Brown in tutte le sue incarnazioni è un bambino incredibilmente stoico, fallisce e rimugina costantemente, ma non molla mai, e non per troppa stupidità o machismo rabbioso come certi protagonisti shonen, ma per l'incrollabile fede personale che, se provi e ti impegni in qualcosa che ti piace, prima o poi qualcosa di buono dovrai ottenere. Tendiamo a dimenticarci troppo spesso quanto sia difficile rialzarsi dalla sconfitta, specie quando nessuno, nemmeno gli amici più stretti, credono davvero in te.

Tornando al film, la generale riuscita di questo progetto si può imputare anche alla sorveglianza del figlio e del nipote dell'autore, che hanno lottato duramente sia per non fare seguiti inutili sia piuttosto per concentrarsi su un solo buon prodotto, e, secondariamente, respingendo molte proposte comiche durante i lavori. Durante le loro interviste, principalmente del figlio di Schultz, si capiva bene quanto "I Peanuts" siano visti come un tesoro di famiglia e come, nonostante le differenze caratteriali, abbiano trasmesso nella loro piccola cerchia quel concetto di buon gusto ed educazione rigida che tanto sembra alieno oltreoceano e crescentemente anche nel vecchio continente. I due vigilanti comunque non sono stati eccessivamente rigidi, infatti, consci del cambiamento dei tempi, hanno permesso variazioni e anche l'infrangimento di un grande tabù, mostrando il volto di un certo personaggio, che prima di allora aveva avuto tale occasione solo in un breve speciale televisivo del 1977, intitolato "It's Your First Kiss, Charlie Brown". Questa decisione da parte loro non è da sottovalutare, in quanto era un elemento legato strettamente alla sfera privata della giovinezza di Schultz.

Per quanto riguarda il doppiaggio, siamo su livelli di sufficienza, ma onestamente non mi ha convinto. In passato "I Peanuts" non hanno mai brillato sotto questo aspetto, specialmente per quanto riguardava Charlie Brown, che invece stavolta è tra quelli che se la cavano meglio. La differenza è che al tempo venivano usati dei comuni doppiatori adulti, non sempre di prima scelta, mentre per questo film, seguendo l'esempio americano, sono state utilizzate voci di ragazzini. Questo ha conferito alle "noccioline" toni genuinamente giovanili, ma d'altra parte ha prodotto un mediocre risultato per i livelli qualitativi di oggi e soprattutto non ha evitato un indubbio divario nella prestazione, basta confrontare Lucy e Sally per rendersene conto. A livello tecnico invece hanno fatto il colpaccio, utilizzando uno stile grafico che trasmettesse la piattezza delle tavole originali, per poi sommargli pure piccole parti letteralmente disegnate sopra, come le sopracciglia, i contorni degli occhi, alcuni ricordi ed altro ancora. Infine, la colonna sonora aggiunge ai classici tocchi da pianoforte due elementi fortemente estranei al marchio, ovvero: un breve assaggio dei Gipsy Kings e una canzone composta e cantata per l'occasione dalla brava Meghan Trainor. La prima riporta alla mente tempi ben più lieti, ma relativamente avanzati per "I Peanuts", mentre la seconda segue lo stile delle produzioni più contemporanee, quantomeno senza usare troppa musica pop di tendenza. Il tentativo di abbracciare due fasce distinte di pubblico appare abbastanza chiaro.

"Snoopy e Friends" non è perfetto e non è nemmeno la cosa più divertente che sia stata sfornata nel suo decennio, ma in qualche modo mantiene la sua identità e, guardando a tutte le terribili trasposizioni de "I Puffi", è decisamente cosa rara oggigiorno. Non è un titolo per giovani adulti né un titolo rovinato da brutte scelte nazi-progressiste, e nemmeno un titolo solo per piccoli, si mantiene sempre equilibrato, come Schultz stesso avrebbe voluto, in modo da deliziare sia figli che genitori. È un titolo che possono vedere tutte le fasce di spettatori, senza strapparsi i capelli di gioia, ma anche senza pentirsene, e onestamente, nei suoi limiti, qualche risata me l'ha procurata.