Neon Genesis Evangelion, che piaccia o meno, è uno di quei franchise che ha segnato l'immaginario collettivo dei fan di anime e manga. Ha diviso, unito, fatto discutere ma la sua influenza su tutto il settore è stata indiscutibilmente davvero importante, e questo si riflette ancora oggi, nonostante i decenni passati. Ne è la prova l'attesa paziente dei suoi fan e il gran parlare da mesi intorno all'ultimo capitolo di questa avventura, il film che mette la parola fine non solo alla tetralogia del Rebuild ma a tutta la storia principale che noi conosciamo da anni: Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time.

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Un'attesa lunga 9 anni (il terzo film era infatti uscito nel 2012) e davvero snervante anche a causa dei continui rimandi dovuti all'attuale situazione sanitaria. Attesa che però finalmente è stata premiata questo 13 agosto con lo sbarco del film su Prime Video in 140 paesi, in molti dei quali, come da noi, doppiato.
 
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Ora però fatemi uscire dai panni di Direttore editoriale del sito, perché ciò che sto scrivendo (le ore immediatamente dopo la visione del film, a seguito di una maratona personale di tutto il Rebuild) non può essere una fredda recensione da distaccato addetto ai lavori: sono troppe le emozioni provate durante quella che considero la fine di un viaggio.

Quelle che scriverò di seguito saranno mie personali considerazioni in ordine sparso, idee e spunti post visione da condividere con voi, fan dell'animazione e appassionati come me.  Ci saranno altre sedi per fare approfondimenti  su ogni minimo dettaglio di questo titolo. Stiamo parlando di Evangelion, credete davvero che finirà entro breve la discussione?

Discussione che non può prescindere dal creatore di questo universo narrativo, quel Hideaki Anno che ci ha messo 9 anni a dire addio al SUO titolo, quello che lo ha reso famoso ma anche odiato e discusso. Alla fine ce l'ha fatta, prendendosi, con con due ore e mezza di film, tutto il tempo per dipanare la sua visione artistica e lanciare e il proprio messaggio, nella sostanza molto simile a quello che traspariva con veemenza da The End of Evangelion ma diverso nella forma, frutto del pensiero di un uomo che ha in parte superato i suoi demoni e che vive una vita diversa, anche grazie alla importante figura della moglie Moyoco.

Foto tratta dal documentario speciale della NHK dedicato al regista in occasione dell'uscita del film di Evangelion
 
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Anno è sempre lui, quello delle citazioni alle grandi opere del passato e della continua metanarrazione , ma al contempo, e fortunatamente oserei dire, non lo è più, è maturato, cresciuto e diventato adulto esattamente come Shinji. Maturazione umana e artistica che non possiamo non notare in un film sontuoso, visivamente una gioia per gli occhi ma anche capace di regalare sorprese e far uscire la lacrimuccia al fan più incallito. Film che si divide in tre importanti spezzoni subito dopo lo scoppiettante inizio iper citazionistico (qualcuno ha detto Nadia?), con una prima parte riflessiva e bucolica, chiaro omaggio all'universo ghibliano che tanto ha formato il nostro Anno, per proseguire poi in crescendo verso un finale che questa volta gioca a carte scoperte. Il regista infatti non si nasconde e ci mostra questa stessa tetralogia per quello che realmente è: un teatro di maschere che racconta la stessa storia (anche a livello visivo, autocitandosi più volte) in maniera differente per giungere alla medesima conclusione.

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I personaggi, quelli che abbiamo imparato a conoscere e amare nella serie e le cui azioni avevano iniziato a differenziarsi in maniera decisa già nei precedenti film del Rebuild, qui arrivano a chiudere definitivamente la loro parabola. Una chiusura diversa ma per alcuni splendida e raccontata con grande cura e dolcezza a cominciare da Gendo, che finalmente vediamo nella sua umanità, fuori dalla macchietta rigida di padre snaturato che il tempo e i meme gli hanno costruito addosso. Gendo che diventa anche alter ego dello stesso regista con tanto di splendida dichiarazione d'amore alla moglie, l'unica in grado di farlo uscire dallo stato di autoisolamento che si era imposto.

Ed è incredibile che sia proprio Shinji alla fine, uscendo fuori da quel teatro da film live action che non è più metafora ma realtà tangibile (con tanto di distruzione dei set culto della serie), ad aiutare sia il padre che gli altri personaggi a trovare la propria strada.
 
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Uno Shinji maturato, che come dice Mari (piccola grande deus ex machina di questa parte finale) è diventato adulto grazie alla forza di chi gli vuole bene e crede in lui (splendido l'abbraccio finale con Misato). Personaggi che smettono di recitare un ruolo da marionette, ruolo imposto che crea solitudine e sofferenza, trovando la forza di voltare pagina. Quanto già si poteva dedurre da The End of Evangelion, l'appello cioè a superare le paure personali e a non chiudersi in sè stessi qui è spiegata con una dolcezza narrativa quasi paterna da Anno che ci spinge ancora una volta a uscire per vivere la nostra vita con la piena coscienza di quello che siamo e possiamo fare (la stazione che poi diventa luogo reale).
Questo per me è il messaggio chiave che ho sempre recepito da questo titolo, un messaggio che è stato sempre per me più importante delle mille teorie e elucubrazioni da fan circa la natura stessa di questo Rebuild, quella del loop in primis che credo quest'ultimo film chiuderà per sempre (la parola "loop" verso la fine è frutto dell'adattamento italiano e non c'è in giapponese)
 
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Un capitolo finale che è un manifesto di quello che questa opera rappresenta per il regista, svolto con una perizia registica che unisce anche certi trucchetti da live action, il presente vivo di Anno.
Evangelion meritava un film tanto bello visivamente, infatti a mio modesto avviso sono poche le sbavature se non forse in alcuni momenti concitati in cui la CG mi è parsa non adeguata. Il tutto però sopperito da sfondi fantastici che diventeranno quasi certamente magnifici walpaper per i fan

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Ottimo anche il comparto musicale, capace di sottolineare tutti i vari momenti e le relative emozioni che arrivavano dallo schermo. Non ultima la bellissima canzone della Utada, quell'ultimo bacio che noi stessi ci sentiamo di dare a un titolo che abbiamo amato, discusso e aspettato e che ora esce, accompagnando per l'ultima volta questi personaggi fuori dalle nostre vite.
 


È stato un bellissimo viaggio e mai come ora spero davvero che unisca tutti i fan dell'animazione. Per una volta godiamoci quanto un regista e un artista ci ha dato, discutiamo pure su quello che per noi è stato il suo messaggio. Almeno a film concluso parliamo di animazione, senza le eterne discussioni sul doppiaggio italiano che (a parte qualche sbavatura) non si discosta di molto, a mio avviso, per adattamento e lavoro dei doppiatori, da quello del terzo film. So che ognuno di noi su questo argomento ha la sua idea e non ho nessuna intenzione di aprire l'ennesimo dibattito, almeno non in questa sede. Faccio solo un grande plauso ai doppiatori che, trovandosi di nuovo dopo 9 anni su questi personaggi, hanno fatto un gran lavoro da professionisti seri quali sono, d'altronde i loro curriculum non sono frutto del caso.
 
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Si chiude quindi un pezzo della storia dell'animazione giapponese, forse in futuro qualcun altro riprenderà parti del mondo di Evangelion per approfondirle, ma credo davvero che questo sia il commiato definitivo di Anno alla sua opera, un commiato maestoso che chiude un viaggio metanarrativo che personalmente ho apprezzato e amato e che mi ha fatto crescere come persona e appassionato. Un addio triste ma che non lascia l'amaro in bocca, solo tanto amore per quel tipo di animazione che molti davano per morta e che invece è viva e vegeta
 
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