Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

7.5/10
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“Ho fatto cose patetiche, indecenti, cose su cui non riesco nemmeno a ridere.”
Akihiko Kaji

I fatti narrati dal film di «Given», uscito nell’agosto 2020 per Studio Lerche, con un ritardo rispetto all’annuncio originario di qualche mese, seguono temporalmente gli avvenimenti della serie del 2019 e riguardano la parte più dura e aspra della storia raccontata nel (bel) manga di Natsuki Kizu.

La sceneggiatura di Yuniko Ayana, che già si era occupata della serie, non ha smagliature, anche se sacrifica molta della complessità del manga. A essere omessi sono soprattutto i comprimari e quelle scene con Ritsuka e Mafuyu che hanno riferimenti al passato: forse oltre che un problema di minutaggio una scelta per rendere il film più indipendente dalla visione della serie (a me è mancata una microscopica vignetta in cui si scorgeva l’ex ragazza di Haruki, un dialogo fra i due sulla lunghezza dei capelli insignificante per lo svolgimento della trama, ma che diceva molto su Haruki).

“Ti diverte ancora la musica?” chiede ad un certo punto l’amico di Haruki, Koji Yatake, ed è una domanda idealmente posta a tutti i ragazzi della storia.
Tra musica che diverte, musica che diventa peso e obbligo, musica che frena, che è amata (amante quasi), musica che vuole raggiungere il cuore delle persone e musica che fa venire la pelle d’oca, si dipanano i sessanta minuti di questo film, che iniziano nel momento in cui Mafuyu, con quel suo mix di ingenuità e acume, di stupore e assertività, nota come Akihiko stia nascondendo la sua “vita dissoluta” ad Haruki.

Al centro della trama c’è il triangolo amoroso che coinvolge i “grandi”: Ugetsu, Akihiko e Haruki. La storia è semplice e in certo modo scontata, ma funziona e riesce a interessare perché i rapporti sono stratificati e complessi.
È complesso il rapporto fra Akihiko e Ugetsu che non riescono a staccarsi dalla loro storia; non stanno più insieme, ma non riescono ad allontanarsi l’uno dall’altro: nessuno dei due riesce a farlo, nemmeno Ugetsu che è il più lucido dei due. Rapporto nato ai tempi del liceo, è un groviglio di amore e sofferenza, di invidia e di affetto. E, ancora, complesso, è il rapporto fra i due della band “Given”, perché per ogni elemento che li avvicina c’è n’è uno che li allontana.

È grande la stima che il batterista ha per il bassista, soprattutto nel suo talento di mediatore, eppure non è facile per Akihiko mostrarsi “senza filtri” e solo di fronte ad Haruki si vergogna, almeno un po’, di essere un “cattivo ragazzo”. La parte migliore di Akihiko Kaji l’abbiano già vista nella serie: è attento e acuto nel seguire prima Uenoyama e poi Sato (l’uno nella crescita sentimentale, l’altro in quella musicale), qui ne vediamo i lati oscuri...
Lo vediamo affannarsi e non essere fiero di sé, lo vediamo sbagliare e aggrapparsi, più per istinto che per raziocinio, alla situazione che può salvarlo da sé stesso.

Haruki, al contrario, è uno che di lati oscuri non ne ha; si sente inadeguato di fronte agli altri, ma non lo è: mai, nemmeno di fronte alla rabbia e alle piccolezze di Akihiko. Haruki trova sempre il tono giusto: non risponde con rabbia cieca nemmeno nei momenti di sconforto, ma non si piega, non patisce attenzioni nel momento in cui si sente respinto. E giustamente fa rimarcare come in certi momenti le scuse non possano che peggiorare l’umore. Haruki si dispera nel vedere l’abilità degli altri membri della band e non comprende quanto sia importante lui per gli altri. E man mano che la storia scorre, Haruki impara a conoscere davvero Akihiko, impara a vederlo nella sua totalità.

E poi c’è l’ultimo vertice del triangolo: l’ombroso violinista Ugetsu Murata. Fisicamente bellissimo: i capelli neri e mossi e le iridi color malva, e con il fascino del genio sregolato, suona uno strumento dai toni struggenti e potenzialmente disturbanti (anche se i brevi brani che si sentono durante il film sono più piacevoli che incisivi e graffianti, decisamente più dolci di quanto mi ero figurata alla lettura del manga). A donargli carisma contribuisce certo la voce di Shintaro Asanuma, che restituisce un ragazzo dal tono cinico ma con una punta di malinconia, accattivante e intelligente. E grazie ai bei dialoghi capiamo quanto Ugetsu sia un esteta che ama indugiare nel calore dell’affetto di Akihiko, pur essendo cosciente di non essere in grado di amarlo (forse non è in grado di amare altro da sé), perché ne vede un ostacolo al suo fare musica. Egoista e geniale, indolente e capace, viziato e orgoglioso, lo sguardo, però, lucido su sé e sugli altri.

Ma il rapporto, in qualche modo inaspettato, che per me brilla su tutti in questa narrazione, ed espediente narrativo alquanto riuscito, è quello che si crea fra Mafuyu e Ugetsu: è tanto intenso quanto effimero, casuale e disinteressato.

Nella serie Ugetsu era rimasto incuriosito dalla canzone di Mafuyu, e nel momento in cui Mafuyu chiede ad Akihiko di insegnargli qualcosa di più sulla musica, i due si trovano a interagire, ne nasce un rapporto schietto, privo di gentilezze di facciata, un rapporto in cui, forse per la particolarità dei caratteri, i due si pongono domande dirette e si danno risposte che lo sono altrettanto. Ascoltarli mentre discorrono nella casa di Ugetsu, in quel disordine che è specchio del male di vivere del violinista, è stato bellissimo.

Dalla serie era già chiaro che questa capacità di dialoghi sinceri fosse una cifra di Mafuyu, e Ugetsu nel corso del film ammette il perché si ritrovi a parlare con tanta sincerità al piccolo dei “Given”: è solo, non ha amici e ha voglia di essere compreso, almeno un po’... (ha tanti difetti Ugetsu, ma non è falso).

L’unico rapporto semplice e lineare, appena intravisto in questo film, è quello fra Uenoyama e Mafuyu, e fa bene da contrappunto al triangolo. Peccato che le loro parti siano tanto sacrificate, perché nella controparte cartacea “Uenocchi” torna a far vedere quale ragazzo adorabile sia.
Si perde anche nel film, per essere citata - a favore di chi è lettore - l’esistenza di Hiiragi Kashima, presente solo nelle immagini che accompagnano la ending. Chissà se il suo arco, il prossimo secondo quanto fa presagire il manga, verrà mai animato.

Sul lato tecnico le gioie arrivano dal doppiaggio: mirabilmente caratterizzati i ragazzi del trio, oltre a Ugetsu anche la cupezza nella voce di Akihiko è resa alla perfezione nell’interpretazione di Takuya Eguchi, così come la pacatezza e la luminosità di Haruki sono rese al meglio da Masatomo Nakazawa. Poche, ma decisamente azzeccate, come già nella serie, le musiche.

Hiromi Kikuta alla direzione del suono non riesce a replicare la perfezione della serie, in cui ogni respiro e ogni rumore riuscivano a emozionare.
Per quanto riguarda il comparto grafico, invece, si vede poco di buono: è deludente rispetto a quanto visto nella serie. Mi aspettavo decisamente di più: le proporzioni sono ondivaghe, le animazioni poco incisive, la bellezza del tratto del manga, la sua sensualità, è qui, purtroppo, in gran parte perduta.

Nonostante visivamente non sia nulla di che, consiglio comunque la visione di questo film senza remore. Un mediometraggio che parla allo spettatore di musica e di sentimenti e di quel momento speciale che è la vita universitaria.
La capacità di presentare con efficacia i punti di vista di tutti e la capacità di suscitare empatia anche nei confronti di chi sbaglia è un punto a favore del film. E anche uno spunto valido in generale: provare ad ascoltare gli altri, comunque, non per dar loro ragione o per perdonare, ma semplicemente per comprendere le loro azioni.

Ultima riflessione sul fatto che gli amori narrati siano amori fra uomini: certo, se siete in cerca di belle fanciulle 2D, non è il prodotto che fa per voi, però penso che questo film possa piacere anche al di fuori del pubblico abituale dei boys love (così come la precedente serie). I sentimenti di cui si narra sono universali.
È strano che, di cinque ragazzi al centro della narrazione, non ve ne sia uno che disdegni amori omosessuali? Statisticamente sì, ma sicuramente molto meno strano rispetto a quanto possa essere improbabile che su cinque ragazzi ci siano tre individui che possano essere definiti “geni” nel campo della musica, e sicuramente molto, ma molto meno inconsueto che fra cinque ragazzi ci siano due persone tanto luminose quanto Uenoyama e Haruki.
Insomma: una storia poco realistica? Sì, è vero, è un po’ una favola, ma a volte si ha piacere anche di questo tipo di opere.

7.0/10
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"Sakura Trick" è un anime del 2014, tratto dall'omonimo manga scritto e disegnato da Tachi, che vede come protagoniste due ragazze, Yuu e Haruka, assieme alle loro amiche, iniziare il loro primo anno alle superiori e iniziare nuove relazioni tra loro. La trama è molto semplice, chiara e scontata fin dall'inizio, però la serie intrattiene abbastanza bene.

Le protagoniste, come scritto prima, sono Yuu e Haruka, due ragazze amiche da prima di iniziare il primo anno, che spesso appaiono immature e, quindi, snaturano il fatto di trovarsi alle superiori. Questo aspetto è visibile anche in tutte le altre ragazze presentate, ma risalta soprattutto nelle protagoniste (che, anche se al limite, potrebbero essere giustificate dal fatto di essere "solo" al primo anno) e nella sorella di Yuu, Mitsuki, che, pur essendo sua sorella maggiore - infatti frequenta il terzo anno -, in moltissime occasioni appare più immatura delle altre.
Altro piccolo ma importante difetto trova sede nella maggior parte degli episodi che fin troppo spesso non seguono la trama, ma si tratta di filler che, seppur ben sviluppati e divertenti, a lungo andare potrebbero stancare.
Trattandosi di un anime scontato fin dall'inizio, anche la conclusione non è da meno, infatti, dopo un velocissimo sviluppo dei fatti, tutto si risolve in modo banale e prevedibile. Comunque ammetto che solo grazie alla conclusione ho potuto rivalutare il personaggio di Mitsuki che, dopo un'importante riflessione a cui va incontro, cambia e, nonostante gli evidenti ostacoli, decide di proseguire seguendo i suoi interessi (unica nota positiva del finale).

Gli episodi sono sempre divisi in due parti, e questo aiuta a non appesantire la visione, infatti, seppur si tratti di una serie leggera, soprattutto quando la trama è tralasciata, tutto sembra narrato molto, troppo lentamente, e la sospensione, con il conseguente cambio di narrazione, riesce a non far annoiare lo spettatore. Nonostante ciò si trova qualche episodio che sembra stirato al massimo, così da raggiungere i venti minuti.
La caratterizzazione e i pensieri di quasi tutte sono quasi sempre comici ma parecchio illogici, e in alcuni episodi si sfiora il nonsense, perché, da fatti più che chiari ed evidenti, nessun personaggio tira fuori un ragionamento anche solo minimamente pensato.
La narrazione mi è piaciuta parecchio, anche perché raramente risulta forzata, ma, sicuramente, non la si può definire nemmeno delicata...
Comparto tecnico che si posiziona nella media: sia i disegni che le animazioni sono buoni ma non sempre perfetti (mi riferisco anche ai compagni di classe non disegnati). I colori utilizzati sono abbastanza brillanti, ma in certe occasioni le tonalità non sono azzeccate. OST molto presenti e ben inserite, opening ed ending davvero ben realizzate.

Si tratta di una serie che intrattiene bene, ma spesso si salva solo per il fatto che si tratta di uno yuri e, quindi, se non piace il genere, trovo difficile che questa serie possa piacere. Sicuramente molto leggera, ma, come spiegavo prima, troppo illogica; quest'aspetto potrebbe essere accantonato solo dalla comicità diffusa per tutta la serie, ma di certo non si salva per questo.
Io non avevo alcuna aspettativa prima di iniziarne la visione e ammetto che questa si è poi rivelata una carta a vantaggio di questo prodotto, infatti va guardato senza aspettative né nei confronti della trama né nei confronti dei personaggi, che sviluppano davvero molto poco, anzi alcuni non sviluppano per niente.
In conclusione, se la si guarda senza alcuna pretesa, risulta davvero piacevole e permette di far passare del tempo facendosi due risate!

Voto: 7/10

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“Shojo Kakumei Utena - Adolescence Mokushiroku” (portato in Italia col titolo “Utena - Apocalisse Adolescenziale”) è un lungometraggio della durata di ottantadue minuti proiettato nelle sale cinematografiche giapponesi nel 1999. Il film è parte integrante del progetto multimediale creato da Be-Papas ed è come sempre diretto da Kunihiko Ikuhara.

Quest’opera potrebbe essere considerata da molti un mero riassunto della serie principale creata nel 1997: non v’è niente di più falso, perché “Apocalisse Adolescenziale” è una vera e propria reinterpretazione della storia di Utena, un prodotto parallelo che integra il suo predecessore e aiuta maggiormente a comprenderne la bellezza. Ovviamente, per non perdersi alcuni passaggi, è indispensabile conoscere l’opera del ’97: tuttavia il lungometraggio è un nuovo capolavoro, che per l’occasione ridisegna personaggi, ambientazioni e accadimenti chiave.

Ecco quindi che alcuni comprimari assumono un ruolo più marginale, altri crescono d’importanza, altri ancora spariscono o subiscono un restyling a livello estetico o caratteriale. Ad essere sottoposte all’ultimo trattamento sono anche le due protagoniste: da un lato abbiamo un’Utena con un taglio più mascolino e dal carattere più serioso, dall’altro un’Anthy dai capelli sciolti e senza occhiali, più gioviale e meno chiusa. Un cambiamento che non è né in meglio né in peggio, ma che semplicemente mira alla creazione di due nuove figure che si districheranno in una nuova serie di eventi. Anche il loro rapporto sarà leggermente diverso, più esplicito, ma come sempre simbolico.

E quanto a simboli e metafore varie, state pur certi che non mancheranno. Il film, infatti, potrebbe essere ancora più criptico, onirico e visionario della serie: certe allegorie, che come al solito bisogna interpretare a proprio piacimento, rimarranno sicuramente impresse nella mente dello spettatore (Shiori continua a schiudere le sue ali di farfalla davanti ai miei occhi).

Altro aspetto che il lungometraggio condivide con la serie è rappresentato dalle varie tematiche affrontate. Per questioni di tempo, alcune sono state messe da parte (vedi il rapporto fraterno messo in luce da ben tre coppie), mentre si è deciso di concentrarsi di più su altre. Ecco dunque che la liberazione dal mondo delle illusioni, l’abbandono della candida adolescenza e l’inizio della difficile età adulta tornano a farsi sentire con una potente metafora che a molti ha fatto a storcere il naso, ma che io ho apprezzato per l’enorme anti-convenzionalità dimostrata.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, il film mantiene lo stesso character design e gli stessi colori della serie, ma risulta più splendente e raffinato, complici anche dei disegni e delle animazioni nettamente superiori. Uno degli elementi che più mi ha sorpreso sono stati i nuovi sfondi: l’accademia Ohtori presenta ora delle architetture in continuo movimento, dalle forme taglienti e dagli archi interrotti a mezz’aria.
La colonna sonora, sempre curata da Mitsumune e Seazer, riprende alcuni brani della serie e ne aggiunge di nuovi.

In definitiva, “Utena - Apocalisse Adolescenziale” è un film brillante e visionario, capace di tenere il passo dell’anime del 1997 e di sorprendere per la sua rinnovata bellezza. Per me è leggermente inferiore al suo predecessore, anche se posso dire di avere una certa preferenza per il finale dell’opera qui analizzata. Voto: 9.