Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Dopo la straordinaria pellicola del 1995, nel 2004 Mamoru Oshii torna a dirigere il sequel di “Ghost in the Shell”: “Innocence”, arrivato in Italia col sottotitolo “L’attacco dei Cyborg”, è un lungometraggio della durata di novantotto minuti circa ed è sempre realizzato allo studio Production I.G.

L’anime si svolge nel 2032, tre anni dopo il caso del Burattinaio. Il maggiore Motoko Kusanagi risulta ancora dispersa: tocca dunque a Batou e al suo nuovo partner Togusa risolvere il mistero di alcune ginoidi malfunzionanti che hanno finito per uccidere i propri possessori.

Sulla scia del suo predecessore, “Innocence” utilizza la sua impostazione da poliziesco come eccellente supporto alla sua vera anima, che risiede nell’analisi di questioni filosofiche ed esistenziali, e costituisce indubbiamente uno dei suoi grandi punti di forza.
La trama qui proposta, nonostante sia leggermente più articolata rispetto a quello del primo film e presenti sviluppi un poco più sorprendenti, impallidisce infatti dinanzi alle problematiche che i personaggi in primis, ed essa stessa in secondo luogo, sono in grado di sollevare.
Il protagonista Batou, che al contrario di quello che si poteva pensare riesce pienamente a sostituire l’oramai scomparsa Motoko, possiede difatti molte analogie con le ginoidi al centro del caso: l’uomo ha infatti un corpo interamente artificiale, e come il maggiore cercava di rimanere ancorata alla sua parte più umana praticando il diving, anche l’uomo tenta di mantenere vivo il suo lato “naturale” rivolgendo il suo affetto al cagnolino Gabriel. La linea di demarcazione che separa esseri viventi e robot inanimati è sempre più sottile, e il dilemma “homo et machina” (scritta latina che compare anche nel film) viene affrontato attraverso complicati dialoghi e monologhi, che spesso prendono in prestito, ovviamente sempre contestualizzandole a dovere, squisite citazioni bibliche, letterarie e filosofiche. Parallelamente all’inchiesta svolta da Batou sulla misteriosa presenza del ghost anche negli esseri artificiali, Togusa viene posto dinanzi alla paura che prova per i cyborg, vista la composizione del suo corpo ancora prevalentemente organica.

A supportare una sceneggiatura impegnata e raffinata vi è l’immensa regia sempre ad opera dello stesso Oshii: inquadrature che si protraggono per svariato tempo producono effetti alienanti sullo spettatore, mentre scene come quella della parata, in cui carri e figure religiose incedono lentamente accompagnati dalla rivisitazione dell’ormai iconica “Making of Cyborg”, risultano incredibilmente ipnotizzanti. La superba esperienza visiva vissuta da chi guarda deve la sua potenza anche al sublime comparto tecnico, in cui l’animazione tradizionale (in cui spicca ancora una volta il realistico character design di Okiura) si fonde perfettamente con la più avanzata CG, la quale ci regala ambientazioni surreali e luccicanti strutture in metallo. Da non dimenticare, infine, la colonna sonora realizzata da Kenji Kawaii, la quale si compone di tracce inquietanti come la carillonesca “Doll House” e altre struggenti come la versione riarrangiata di “Follow Me” di Demis Roussos.

In conclusione, “Ghost in the Shell - Innocence” è uno di quei pochi sequel che riescono a non sfigurare dinanzi ai propri predecessori, e anzi rivaleggiano quasi in bellezza con essi: regia, sceneggiatura e comparto visivo e sonoro danno infatti vita a un’opera che merita di essere ricordata assieme ad altri must del cinema d’animazione giapponese.

7.5/10
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«Psycho-Pass 3», terza serie del brand e seguito della trilogia di lungometraggi «Sinners of the System», è stata trasmessa nell'autunno del 2019 e consta di otto episodi di durata doppia rispetto allo standard. Proprio la lunghezza degli episodi è una delle caratteristiche buone: consente di non spezzare troppo la storia, che è decisamente meno lineare che nelle passate stagioni, e favorisce l’immersione dello spettatore nelle vicende della nuova “Unità Uno”.

Sul piano tecnico la qualità delle animazioni è altalenante, con alcune belle scene d’azione, ben sottolineate dalle musiche, e qualche sfondo degno di nota, ma manca di una caratterizzazione forte. Incisiva è invece l’opening «Q-vism», con animazioni curatissime, contrasti cromatici forti, dominati da tricromie, e un perfetto equilibrio fra la grafica e la musica.

Le scene d’azione sono proprio la cifra di questi otto episodi: in ognuno le lotte corpo a corpo sono abbondantemente presenti; alcune volte risultano molto efficaci e belle da vedere, altre volte sono invece un po’ eccessive (quasi risultando, involontariamente, buffe).
Purtroppo i dialoghi non sono arguti e divertenti: in questa serie non ne ho trovato nemmeno uno che mi sia rimasto impresso, un gran peccato.

Di fronte alla gran mole di “nuove introduzioni” mi aspettavo qualcosa di meglio, invece i nuovi personaggi non sono così incisivi: funziona molto bene, preso singolarmente, Kei Michael Ignatov (che ben prosegue la scia di uomini affascinanti, nel bene o nel male, del brand), ma la “chimica” della nuova Unità Uno è deludente: non riesce a costruire una dinamica organica e spesso sa di già visto.
Anche le vecchie conoscenze non sono gestite al meglio: Shimotsuki, che nella seconda serie era personaggio insopportabile, ma riuscito, è trasformata qui in una sorta di macchietta (divorare caramelle da buffi dispenser è ciò che fa in metà delle scene in cui compare), mentre Kōgami, Ginoza e Tsunemori divengono comparse, quasi messe lì per “dare un contentino” agli spettatori che si sono affezionati a loro: rendono bene in scena, ma le loro apparizioni sono brevi.

Ottima la scelta dei nuovi temi introdotti: la religione e l’immigrazione. Il primo è trattato però in modo molto confuso, invece la trattazione del secondo è ben gestita, si analizza la questione da diversi punti di vista, si evidenziano gli aspetti del quotidiano così come lo sfruttamento del tema da parte dei politici (e gli episodi sulla sfida elettorale sono parecchio gustosi).
Anche gli antagonisti di questa stagione deludono parzialmente: sono introdotti con efficacia, ma poi il tema si perde e le motivazioni di questi non vengono chiarite (e il “villain” della prima serie aveva tutt'altra statura).

Purtroppo fra le nuove introduzioni c’è anche quello che ho percepito come il maggior difetto della serie: l’elemento paranormale. Trovata che boccio senza appello. Il giovane ispettore Shindō Arata, infatti, ha delle “visioni”, e con queste si aiuta nelle investigazioni. Far convivere il Sybil-Sistem e poteri ESP crea, secondo me, una grande stonatura e snatura decisamente il world building.

Pur essendo gradevole, «Psycho-Pass 3» non è riuscita a soddisfare le mie aspettative: le buone idee non mancano, ma manca la capacità di dare un senso finito alla storia nel suo insieme (o forse, visto il finale aperto, è mancata la volontà di costruire una storia conclusiva, per poter sfruttare ancora il nome, a partire dal prossimo, annunciato, film).

Globalmente il mio voto oscilla fra il 7 e il 7,5: il mezzo punto in più lo do per l’introduzione del fan-service per i gattofili e per la bellezza triste delle “zone abbandonate”.

5.0/10
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La trama già di per sé è confusionaria. Arrivano gli alieni, che non vedremo mai, e in cambio del calcare ci danno dei robot futuristici che per loro sono obsoleti. A causa della possibilità di fare questo baratto, gli equilibri geopolitici mondiali vengono sconvolti e, mentre il Nord del Mondo deve fare i salti mortali per mantenere lo status quo, il Sud del Mondo cerca di avviare una rivoluzione per ribellarsi ad anni di colonizzazione economica.

Se la premessa vi sembra abbastanza confusa, è perché non avete sentito la versione estesa in cui compaiono ideologie politiche, narcotrafficanti, battaglie casuali, bambini africani, guerrieri inca fantasma e waifu lesbiche che volano nella spazio.

Il problema è che l'anime non racconta una storia ma pezzi di una guerra futuristica di cui non si riesce mai ad avere il quadro generale o la più basilare struttura della trama fatta di inizio, svolgimento e fine. Solo ogni tanto compariranno dei nuovi personaggi che guidano la storia o rilasciano loro dichiarazioni.

La definizione che riassume meglio questo anime è: potenziale sprecato.
"Obsolete", infatti, è una serie che vorrebbe essere "Love, Death and Robots" o "Animatrix", ma fallisce miseramente, finendo per essere la loro versione sbrigativa e raffazzonata.
Se "Love, Death and Robots" poteva contare su episodi autoconclusivi ognuno sviluppato da uno studio diverso, ben costruiti, dettagliati, con un messaggio chiaro e il fattore sorpresa dalla loro, siccome le puntate erano imprevedibili, in "Obsolete" hanno scelto di legare tra di loro gli episodi e, quando capisci che sono interconnessi, il fattore sorpresa dello spettatore viene meno; inoltre l'unione non sempre riesce, dato che dal nono episodio in poi la trama prende una direzione più casuale della trama di "Gintama", inserendo le cose più a caso che vi vengono in mente, come delle ragazze lesbiche nello spazio nate quattrocento anni dopo i fatti narrati.

Chiunque speri nella profondità dei personaggi sarà deluso. Dei personaggi ci viene detto lo stretto necessario per essere funzionali alla trama, e poi vengono riposti nell'armadio in attesa di una nuova utilità, senza mai subire un vero approfondimento psicologico, del background o qualsiasi altra cosa renda un personaggio tridimensionale e realistico. Un po' perché l'anime non è realmente interessato ai personaggi, un po' perché preferisce raccontare una storia di politica che viene penalizzata dalla durata dell'anime.

L'apparato tecnico è così così, tutto è votato al risparmio, e dove è possibile l'anime ha inserito meno dettagli e ha esagerato con gli effetti su schermo; addirittura, c'è un momento in cui il tracciato di un aratro sovrasta un albero!
Sebbene le scene d'azione siano sempre ben realizzate e occupino una grossa fetta degli episodi, sono, a livello di coreografia, decenti, anche se le ho trovate insipide.

La musica è buona, ma cosa gli vuoi dire? È Skryllex!

In tutto questo c'è la rottura della quarta parete, in cui un personaggio esclama: "Proprio come in un anime giapponese!". Fosse successo una volta, ci saremmo fatti tutti una risata, ma questa battuta viene ripetuta di continuo, e ti chiedi: "Ma perché lo fanno, esattamente?"

Credo che il voto più adatto a quest'anime sia 5. Perché, sebbene abbia tutte le caratteristiche che ho appena elencato, c'è da dire che la storia proposta risulta affascinante; inoltre gli Exoframe sono tutti ben realizzati, e mi piace vedere come cambiano di nazione in nazione.
Riconosco anche che la maggior parte dei problemi possano essere risolti dall'introduzione di una seconda stagione che chiarifichi tutti i passaggi, i buchi di trama, e ricolleghi le storie che sembrano più scollegate con il resto della trama, anche se dubito che la faranno; anche perché è un prodotto YouTube Originals, sezione che ha deciso di chiudere nel marzo 2022.