Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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7.5/10
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Premetto che non ho ancora letto l’omonimo Manga pluripremiato nel 2020 in Giappone e approfittando di una nota piattaforma on line ho avuto modo di apprezzare i 12 episodi dell’anime.

Mi preme evidenziare che non sono un esperto di storia dell’arte e, soprattutto, non ho la presunzione di potermi cimentare in disquisizioni tecnico-filosofiche su come viene rappresentata la “folgorazione” del protagonista sulla irta via della sua realizzazione nell’arte. Devo riconoscere che l’anime mi è sembrato originale, delicato e in certi frangenti anche di non semplice e immediata comprensione, soprattutto per chi come me non è particolarmente avvezzo alla pittura e alla storia dell’arte in generale. Per me “comune mortale”, che da sempre vivo ispirandomi alla estrema “concretezza” del razionalismo diventa difficile intuire cosa scatta in un artista per capire se la pittura o la scultura siano la sua ragione di vita e soprattutto il piacere nel comporre opere (d’arte?), le emozioni che catturano la loro attenzione e che cercano di trasporre nelle loro opere e che poi dobbiamo saper cogliere al di là dell’aspetto tecnico-rappresentativo delle loro opere. L’anime in questo senso cerca, in modo non banale né superficiale, di far capire cosa scatta nell’animo di una persona nel creare opere d’arte e il suo percorso di apprendimento non tanto e non solo tecnico ma nell’imparare a “dare sfogo” o meglio a far emergere, rappresentare e trasmettere le emozioni dell’artista.

Avendo studiato alle superiori storia dell’arte, mi ricordo che il titolo dell’opera richiama una fase della produzione artistica di un famoso pittore: Pablo Picasso. In generale il blu è il colore che viene anche associato uno stato d'animo: le tonalità profonde e tenebrose del blu richiamano stati più o meno “depressivi”, intimistici e riflessivi. E infatti il periodo blu di P. Picasso è quello in cui l’artista vivendo a Parigi agli inizi del ‘900 ha dato sfogo realizzando una serie di dipinti intrisi di un’atmosfera malinconica calibrata sui toni del blu e del blu-verde, a seguito di eventi tristi che hanno colpito l’artista. Il colore assume dunque una valenza poetica, sentimentale e intima e il forzato “monocromatismo” è finalizzato a condurre chi vede l’opera in una dimensione intimistica quasi separata dalla realtà che vuole rappresentare. In questo senso i 12 episodi dell’anime prendono spunto proprio dalla sensazione che il protagonista Yatora Yaguchi prova una mattina presto passeggiando con gli amici nel quartiere di Shibuya a Tokyo e che poi “traspone” nella sua prima opera, esposta assieme a quella dei suoi compagni di classe e che colpisce l’attenzione di Ryuji Ayukawa (compagno di corso di studi) e dell’insegnante di arte della scuola superiore dove studia Yatora.

Il percorso di Yatora sembra “prima facie” anomalo: è un ragazzo delle superiori, brillante, popolare, inserito in un bel gruppetto di amici con cui ha un’ottima sintonia. L’arte, nelle sue varie manifestazioni, non è il suo “mantra”...
Yatora non sembra tuttavia realizzato e “vive” la sua esistenza quasi come “un’abitudine stereotipata”: fuma per sentirsi parte del gruppo, fa tardi quando esce con gli amici... insomma vive un’esistenza piuttosto “conformista”, come tanti altri senza particolari spunti di originalità, ma a Yatora questa situazione non sembra “appagante” e questo disagio interiore lo porterà a essere “illuminato” dall’arte, prima vedendo una composizione di una studentessa più grande di lui, Maru Mori e poi, appunto, quando trasporterà su carta/tela le sue emozioni della passeggiata mattutina a Shibuya con gli amici. Questa è la scintilla che lo porterà ad interessarsi sempre più al piacere della pittura e ad individuare l’arte come parte essenziale della sua persona e come modalità di espressione e realizzazione del suo sé. Decide quindi, dopo numerosi dubbi, di iscriversi al club d’arte della scuola, e di seguire questo percorso anche dopo la scuola superiore cercando di iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di Tokyo dove si accede solo dopo aver superato una dura selezione con una ridottissima percentuale di successo. E la trama si concentra sul percorso di crescita “accelerata” di Yatora nell’apprendere non tanto e non solo le capacità tecniche di disegno e pittura ma su quello più rilevante di imparare a esternare il proprio “io”, le proprie emozioni e anche a capire le proprie aspirazioni e sentimenti.

Insomma: un percorso “difficile”, tanto più che l’anime è ambientato in Giappone, ossia in una società che ha una visione dell’arte piuttosto di “nicchia” perché, come tutte le forme di espressioni della “individualità”, non sono proprio ben viste da una società che fa del “collettivismo/bene comune” il suo mantra. Anche questo anime è comunque “intriso” della filosofia nipponica secondo la quale solo col duro lavoro e abnegazione è possibile aver successo anche nell’arte. Le vicende narrate del protagonista ne sono un esempio: come San Paolo, Yatora resta folgorato sulla via dell’arte oramai al secondo anno delle scuole superiori e recupera su altri studenti in modo prodigioso grazie alla grande abnegazione che applica nella sua passione: vedi la scuola d’arte che frequenta con assiduità per migliorare e imparare a esprimere al meglio il suo talento, di cui non da mai sfoggio secondo quell’approccio “understatement” (di umiltà e rispetto) tutto nipponico.

Inizialmente Yatora si trova a misurarsi in un mondo dove tutti sembrano più bravi di lui perché è arrivato a cimentarsi nell’arte tardivamente. L’anime comunque, secondo la solita filosofia orientale, lancia il messaggio che il talento senza la passione e l’abnegazione non porta da solo all’affermazione. Da ultimo ho apprezzato anche la parte della trama a cavallo delle puntate 9 e 10 (“Il nostro colore blu”) nella parte in cui Yatora si ritrova con Ryuji Ayukawa, suo compagno di studi d’arte, la cui passione per il disegno e la pittura è avversata dalla sua famiglia, probabilmente al pari della circostanza che Ryuji si consideri una ragazza e si vesta e si comporti come tale. La giornata che i due trascorrono assieme al mare è un esempio di tolleranza e delicatezza che fa onore all’anime: i loro dialoghi rappresentano, a mio avviso, uno dei momenti più significativi dell'anime.

Pertanto, al netto della circostanza che non ho avuto ancora l’occasione di leggere il manga, l’anime "Blue Period" merita di essere visto, per la storia a tema artisti in erba e per i toni molto “adulti”, pacati senza eccessi di caratterizzazione... Consiglio di vederlo con calma stando attenti ad alcune sfumature dei dialoghi e delle immagini perché sarebbe un seinen a tutti gli effetti.

Pur non essendo un esperto, forse sembra peccare “un pochino” dal punto di vista grafico (un po’ piatto nei dettagli sia dei personaggi, sia degli sfondi e animazioni, e anche la trama in alcuni frangenti potrebbe risultare un po’ lenta e molto/troppo incentrata sul tema delle tecniche di disegno e pittura. Per una volta, sebbene sia un anime ad ambientazione scolastica, non ci sono riferimenti di commedia-romantica, neppure accenni... e ciò non rappresenta necessariamente un minus... ma, forse, vista l’età dei protagonisti, può sembrare un po’ troppo “atarassica”...

In ogni caso, "Blue Period" riesce a trasmettere l’entusiasmo, le paure e i dubbi del protagonista ogni volta che si valuta e si confronta con altri artisti in erba, mettendosi non solo l’abnegazione ma anche la passione e l’attaccamento in quello che fa e cerca di apprendere. In fondo il messaggio che ci vuole trasmettere l’anime potrebbe essere riassunto in: ”Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista.” (S. Francesco d’Assisi)

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Gli anime sono un linguaggio molto curioso, molto particolare. Più paradossale e fantasiosa è l’opera e più riscuote successo. Discorso inverso per quelle opere molto vicine alla realtà. È il caso di “Kageki Shoujo!!”, opera appena conclusa che racconta del Teatro Takarazuka e dell’accademia Kouka.

Cosa è il Teatro Takarazuka? È una forma d’arte molto giovane - cento anni - dove le attrici sono prettamente femminili e si suddividono nei ruoli di Musumeyaku e Otokoyaku. Per descrivere meglio questi ruoli, speciale l’Otokoyaku, basti pensare ai personaggi più “mascolini” nella storia degli anime come Oscar e Utena. La stessa Oscar de “La Rose de Versailles” della Ikeda è stata fonte di successo negli anni ‘70 per quanto riguarda questa forma di teatro, dove appunto la rappresentazione dell’omonima serie riscosse tanto appeal da parte del pubblico. Non a caso l'opera della Ikeda fu d'ispirazione per l'apice del successo del Teatro Takarazuka e lo stesso Teatro fu d'ispirazione per la Ikeda e le sue opere come “La Rose de Versailles” e “Caro fratello”. La stessa Oscar fu d'ispirazione per realizzare il personaggio di Utena Tenjou accennato precedentemente, da parte di Ikuhara. In poche parole, il poco conosciuto Teatro Takarazuka ha lasciato sin dagli albori un punto importante nella storia della narrativa verso il pubblico, sia dal vivo sia in forme d'arte come manga e anime. Il pubblico del Takarazuka è prettamente femminile e le figure mascoline dell’Otokoyaku avvicinano la narrazione più al punto di vista yaoi che yuri. Questo perché alla figura dolce, delicata e graziosa della Musumeyaku viene appunto affidata e affiancata la virilità e la compostezza dell’Otokoyaku. Perché cito lo yaoi in questo caso? Perché appunto il personaggio Otokoyaku deve possedere dei lineamenti molto importanti, molto impostati, molto androgini, in modo tale da far risaltare "l'uomo" nella coppia pur essendo un teatro prettamente femminile. Questo tipo di bellezza è ciò che viene espressa principalmente nelle storie yaoi.

Questa forma d’arte relativamente giovane è stata raccontata egregiamente nell’opera “Kageki Shoujo!!”.
L’anime possiede dei punti di forza molto interessanti che raccontano come il teatro in sé e specialmente quello Takarazuka sia un mondo duro, competitivo ma anche emotivo. Le nostre protagoniste durante la serie vengono raccontate in maniera molto valida, passando dai dubbi, dalle incertezze, insicurezze, fino ai propri riscatti, le proprie rivincite, anche personali, anche nelle sconfitte. L’opera in particolare mostra i personaggi di Ai, Sarasa, Yamada, Suwa e Kaoru - con l’aggiunta delle gemelle - in costante competizione e crescita per diventare la stella della compagnia Kouka e arrivare sul “Ponte d’Argento”, luogo mistico del teatro che è permesso solo agli eletti attraversare.
Se dovessimo soffermarci sulle caratterizzazioni, i ruoli di Sarasa e Ai danno origine a sviluppi molto validi, neanche troppo romanzeschi. Una Ai asociale, impaurita, chiusa in sé stessa e senza ambizione, e una Sarasa sempre euforica, con la testa tra le nuvole. In realtà questa loro “modalità” viene, episodio dopo episodio, smontata e rimodellata fino a farle diventare “cresciute” come personaggi e come “persone” all’interno dell’opera stessa. Senza fare spoiler, negli episodi finali vediamo come la mancanza di ambizione di Ai si riconverta in ansia, voglia, speranza di aver fatto la cosa giusta sul palco. L’euforia di Sarasa si scontra con lo studio del personaggio da recitare, quindi cercare di capire cosa vuole il pubblico, la scuola, e immaginare sé stessa che vive la scena in prima persona. Anche Yamada, afflitta da turbe mentali, con la nomea di ultima della classe risale la china e, nonostante una timidezza apparente, quando è il momento di fare sul serio, non si tira indietro.

In tutto “Kageki Shoujo!!” le componenti “rivali e compagne” si offrono a noi in ogni singolo episodio, raccontando del teatro come un documentario, leggero ma interessante. Inoltre certifica i problemi di queste forme d’arte e anche del Kabuki, che nell’opera viene citato spesso per via di Sarasa: la chiusura mentale di ciò che vuole il pubblico e di “tradizioni” che non si possono rompere.
La pressione sociale, i sogni, le debolezze e i valori vengono fuori da ogni singolo personaggio trattato nella forma più graziosa ma incalzante di racconto. Semplicità, ma con tante informazioni da offrire allo spettatore. Il pregio di “Kageki Shoujo!!” è stato raccontare il Teatro Takarazuka e i loro personaggi attraverso citazioni del teatro stesse, metafore, similitudini e un pizzico di romanzesco che non guasta mai.

L’opera presenta un personaggio tra tutti, quello di Watanabe Sarasa, diverso da tanti altri più famosi.
La ragazza è decisamente un soggetto positivo, folle, euforico, solare, splendente, tutto il contrario di ciò che dovrebbe essere un Otokoyaku, ruolo a cui aspira per diventare prima stella, eppure la stessa protagonista, o coprotagonista, riesce a rimodellarsi bene nelle varie fasi della storia. Inizia con l’essere una seccatura e mal vista da tutti, fino a diventare, involontariamente e “mentalmente”, la prima stella per le sue compagne e la prospettiva più “valida” per le senpai e gli insegnanti. Il tutto senza perdere la sua caratterizzazione, anzi, approfondendola negli aspetti del suo passato che l’hanno portata a sognare il ruolo di Otokoyaku. Episodio dopo episodio la sua spontaneità fa da collante per Yamada, Kaoru, le gemelle e soprattutto Ai. Diventa una bellissima rivale per Sawa, la prima della classe che aspira al ruolo di Otokoyaku, e soprattutto non esce mai dagli schemi se non in ambito recitativo, dove mostra la classe innata che solo le stelle possiedono sin dalla nascita. Si potrebbe anche parlare di Ai, di Yamada, Kaoru e soprattutto Sawa, tuttavia il personaggio di Sarasa è di gran lunga superiore, perché polivalente e apprezzabile sotto ogni punto di vista. Nella sconfitta, nella vittoria, nel calore che trasmette e nei momenti più iconici della serie, anche nei suoi “ragionamenti” spontanei.

“Kageki Shoujo!!” omaggia benissimo il mondo teatrale e lo fa con uno spirito genuino ma duro, reale, vivo. Senza eccedere e senza creare ship, poiché nessuna delle ragazze può venir considerata una waifu dal fandom. Non è uno yuri, si avvicina al mondo yaoi con le figure di Musumeyaku e Otokoyaku, eppure questa serie non è stata compresa. Una dimostrazione di “varietà” piuttosto attraente.

7.5/10
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Tratto dal corrispettivo manga seinen, questa serie anime di 12 episodi racconta la storia di una nobile giovinetta, Arte(misia?), nata nella nostra Firenze rinascimentale, con la passione per la pittura, e per la quale ella si batterà con tutte le proprie forze, a discapito del suo sesso, rango e famiglia.

Nonostante il titolo e le buone premesse dell'ambientazione storica possano ingannare, "Arte" non ha come fulcro portante usi e costumi di quell'epoca. Anzi, se fosse stato questo il vero scopo degli autori, ossia quello di descrivere un periodo storico ben preciso e collocato, avrebbero fallito solo per il fatto di aver mescolato (e sostituito), un po' troppo spesso, gesti cerimoniali, cliché e stereotitipi tipici del Sol Levante, con quelli di una Toscana del Vasari. Ma questo aspetto deve solo far sorridere lo spettatore, e non indignarlo. Da questo punto di vista, verso quest'anime, ci si deve porre con occhio non troppo critico al riguardo, proprio perché, a parer mio, l'intento di questa trasposizione è quello di raccontare l'evoluzione di una donna e del suo coraggio, omaggiando nel contempo il nostro Bel Paese.
Firenze e Venezia, le due città scelte per farci un bell'inchino (citate anche Siena e l'isola di Murano). Peccato che il passaggio narrativo tra una città e l'altra, non sia stato troppo lineare, ma soprattutto non è stato ben equilibrato nei rispettivi archi. Credo che se la serie avesse avuto una durata più estesa, il contesto storico ne avrebbe giovato. Ma, come ho già osservato io stessa, penso non fosse questo lo scopo principale.

"Arte", quindi, è un inno all'emancipazione della donna, ma non solo. In "Arte" si celebra il coraggio di realizzare i propri sogni, di seguire a tutti i costi le proprie passioni. Anche nella piccola Caterina, personaggio incontrato a Venezia dalla nostra protagonista (in un arco narrativo di qualche puntata dedicato alla Serenissima città), scopriremo il medesimo messaggio: le proprie inclinazioni vanno rispettate e perseguite. Ma non aggiungo altro, poiché il personaggio di questa nobile veneziana è ricco di sorprese che non voglio svelare.

Oltre a Caterina, Arte sarà circondata da molti altri personaggi, alcuni più caratterizzati, altri un po' meno, ma tutti, a loro modo, interessanti. Per esempio, personalmente, Yuri, lo zio della piccola nobildonna veneziana, avrebbe meritato più spazio, poiché le basi gettati a descrivere il suo personaggio, erano abbastanza stuzzicanti da volerne sapere di più al riguardo. Di curioso vorrei sottolineare che di "Yuri" veneziani non ce ne sono stati tanti (a parte il presidente del calcio del Venezia e un noto regatante locale). In Giappone, di "Yuri", ne è ben noto il significato... Fate vobis.
La stessa cosa vale per Ubertino, uomo d'affari scaltro e cinico, dalla battuta pronta e sagace, al quale, se gli si fosse dato maggior spazio, non sarebbe stato poi così male.
Al maestro d'arte di Arte (scusate il gioco di parole ma non ho resistito), gli si darà maggior spazio di sicuro, anche se, personalmente, considerato il suo ruolo, era preferibile una presenza più costante. Leo, questo cupo maestro di bottega, vedrà nella ragazza se stesso da giovane, ricordandogli di quanto si era battuto egli stesso per difendere la propria passione, e che tutto ebbe inizio proprio per l'esclusivo piacere di dipingere. Egli avrà una parte incisiva nella vita professionale della nostra protagonista, ma non solo, fungerà anche da suo prezioso mentore. Il carattere chiuso ed enigmatico di questo personaggio, farà intuire fin da subito allo spettatore, un trascorso travagliato e meritevole di essere approfondito. Approfondita andava anche la relazione che si stava costruendo poco a poco con la ragazza, "interrotta", per così dire, per volgere lo sguardo verso altri personaggi e situazioni. La sensazione di un qualcosa lasciato in sospeso, sarà palpabile. Speriamo in una degna evoluzione, se ci sarà, in una prossima stagione.

E la nostra Arte come ci appare? La ragazza è bella e altrettanto buffa, brillante, volonterosa, esplosiva, maldestra, caparbia e ottimista. E ferma nei suoi solidi e sani principi. Merito, come si potrà capire, di mamma e papà, genitori in contrapposizione nell'educare la figlia, ma uniti nel grande amore per lei e per il bene suo.
La sua figura è realmente ispirata ad Artemisia Gentileschi? Questo non è certo, e al riguardo ci sono opinioni contrastanti, e nessuna dichiarazione ufficiale. Tuttavia non si può negare che tra le due donne non ci siano delle forti similitudini, prima fra tutte la loro forza di carattere e intraprendenza, e la loro lotta continua contro una società che non le agevolava.

Per quanto riguarda il comparto grafico, secondo il mio punto di vista, l'ho trovato abbastanza buono, così come ho trovato abbastanza curata l'ambientazione storica e l'attenzione sui costumi, soprattutto quelli femminili. Su Firenze, avendo visto la città solo da turista, anche se più volte, non mi posso sbilanciare in un giudizio obiettivo sulla cura dei dettagli, ma su Venezia, essendo una città che conosco decisamente bene, posso dire che, quest'ultimi (anche se negli episodi veneziani ci sono meno esterni rispetto Firenze) son stati discretamente curati. Per esempio, e varie prospettive proposte di piazza S. Marco, le ho trovate attendibili, e anche gli scorci su canali e calli hanno avuto una discreta resa. Presumo che lo stesso lavoro sia stato fatto anche per il capoluogo toscano.

Il comparto sonoro, non l'ho trovato particolarmente coinvolgente. Opening ed ending sono gradevoli, ma niente di indimenticabile. Sarebbe stato più interessante qualche deciso richiamo di ballate antiche dell'epoca. E infatti, è curioso che durante la visione di quest'anime, più è più volte mi sovveniva la canzone "Donna ti voglio cantare" del nostro menestrello Branduardi, una rielaborazione di una ballata medievale francese. Testo e musica "calzerebbero" a pennello. Sentire per credere.

Concludendo, questa è una serie senza pretese che si lascia guardare bene, ma avrebbe reso di più se ci fosse stata più attenzione nella linea narrativa e dato più spazio a tutti i personaggi, troppo occultati, direi, dalla figura "invadente" di Arte.
Confido, quindi, in una seconda stagione che rimedi a queste lacune e che ci mostri la crescita professionale e personale della giovane pittrice, lasciando, però, il giusto spazio anche a tutti gli altri attori.