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- Perché vuole scalare l'Everest?
- Perché è lì.

Grazie alla piacevole scoperta di K - Racconti mi sono reso conto di apprezzare non poco il "leitmotiv" dell'uomo intento a sfidare la montagna. Proprio per questo motivo, la lettura della trasposizione a fumetti disegnata da Jirō Taniguchi de La vetta degli dei, un romanzo colossale scritto da Baku Yumemakura a metà degli Anni Novanta e incentrato proprio sul suddetto tema, rappresentava una tappa obbligata per me. Sebbene in passato i testi di Yumemakura non mi abbiano entusiasmato più di tanto - mi riferisco a Garouden. Lupi famelici, anch'esso disegnato da Taniguchi, con Kamigami no itadaki ho dovuto riconsiderare in toto la mia posizione.

Il racconto di Yumemakura prende le mosse dal ritrovamento fortuito di un'antica macchina fotografica appartenuta con ogni probabilità a George Mallory, l'alpinista inglese che, insieme a Andrew Irvine, perì nel lontano 1924 durante una delle prime ascensioni dell'Everest. È il 1993 quando il nostro protagonista, un giovane fotografo giapponese di nome Fukamachi, scova la macchina in un negozietto di cianfrusaglie a Katmandu, dando così inizio a una vera e propria indagine volta a identificare colui che ha rinvenuto l'oggetto e, soprattutto, il luogo esatto della scoperta. Un'analisi approfondita della pellicola fotografica potrebbe infatti rivelare se Mallory e Irvine abbiano portato a termine la conquista dell'Everest quasi trent'anni prima di Hillary e Norgay - storicamente riconosciuti come i primi alpinisti ad aver quasi raggiunto la vetta più alta della Terra. Nella strenua ricerca di informazioni sempre più precise, Fukamachi non solo affronta ostacoli di ogni genere, ma si imbatte anche in Habu Jōji, un famoso ed enigmatico scalatore giapponese apparentemente ritiratosi in maniera definitiva dalla sua attività. A questo punto, la faccenda si complica a causa del bisogno irrefrenabile di Fukamachi di scoprire il più possibile sullo straordinario alpinista solitario e taciturno: egli è forse collegato al ritrovamento della macchina fotografica? Quali affari portano Habu a vivere alle pendici del tetto del mondo? Al di là dei suoi modi burberi e scostanti, la figura di Habu è più complessa e affascinante di quanto non appaia a prima vista...

Fondamentalmente La vetta degli dei, il cui romanzo originale conta quasi duemila pagine, è la storia di un uomo e della perpetua sfida con se stesso tramite l'ascensione delle montagne più alte e impervie del pianeta. Tuttavia, c'è anche dell'altro: attraverso numerosi flashback, Yumemakura si preoccupa di descrivere le psicologie dei personaggi - Habu e Fukamachi in primis - in relazione a determinati eventi della loro vita, come ad esempio la perdita di un compagno di cordata o la difficile accettazione di una relazione sentimentale conclusasi negativamente. Per mezzo di una narrazione intrigante che spesso sfocia nel giallo, con tanto di rapimenti e ricatti a sfondo pecuniario, il lettore si sposta tra il Giappone e il Nepal, immergendosi negli splendidi scenari delle vette dell'Himalaya e immedesimandosi al contempo nelle stupefacenti imprese di abili scalatori. Eppure non ci troviamo alle prese con infallibili Übermensch, anzi, tutto il contrario: uno dei capitoli meglio riusciti racconta infatti, sotto forma di diario, la terribile esperienza vissuta da Habu di una difficile ascensione che poteva finire in tragedia. Insomma, la sfida dell'uomo alla natura è lungi dall'essere vinta ed è a dir poco coinvolgente assistere agli sforzi e al coraggio di personaggi come Habu o Tsuneo Hase (ispirato all'alpinista realmente esistito Tsuneo Hasegawa). A metà tra storia e fantasia, il racconto in questione è reso ancora più "vivo" dagli splendidi disegni di Taniguchi, il quale è totalmente a suo agio nel raffigurare le montagne: nessuno come lui riesce a dare al lettore l'impressione di essere lì, al fianco dell'alpinista, a pochi metri da un profondo crepaccio o aggrappato a una parete rocciosa sospesa nel vuoto. Inoltre, la consueta cura per il dettaglio del maestro di Tottori e la proverbiale intensità dei volti realistici dei personaggi fanno il resto. In Italia, l'opera è stata pubblicata nell'arco di quasi tre anni dalla Rizzoli Lizard, ormai famosa per l'interesse mostrato nei confronti di fumetti d'autore come quelli di Shigeru Mizuki e dello stesso Taniguchi. Nonostante la solita cura profusa nella qualità della stampa e della carta, bianchissima e priva di trasparenze di sorta, così come la graditissima presenza di pagine patinate e tavole a colori, stavolta non mancano però imprecisioni in materia di editing (tralasciando la tavola duplicata nel primo volume che ha richiesto l'immissione in commercio di una copia corretta con tanto di codice ISBN differente, in generale quasi tutte le scritte originali extra-balloon sono state ricoperte in modo un po' troppo grossolano per i miei gusti), futili errori di battitura ("gli nglesi" anziché "gli inglesi") e strafalcioni più che evitabili nelle traduzioni (nel terzo volume troviamo Batan e Patan da un balloon all'altro; la località corretta sarebbe la seconda, situata proprio in Nepal). Ad ogni modo, a risollevare in parte il livello dell'edizione è l'apparato redazionale diviso in più parti volume dopo volume costituito da un'introduzione a cura dei francesi Muriel e Stéphane Barbery, relativa al loro primo viaggio in Giappone, e da ben due postfazioni: la prima è scritta da Yumemakura e riguarda la trasposizione a fumetti della sua opera; la seconda invece è un nostalgico tuffo nei ricordi delle esperienze montane di Taniguchi. In definitiva, La vetta degli dei è una delle opere più belle e affascinanti che abbia letto di recente.