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“È l’estate del 1945, tre anni e mezzo dopo lo scoppio della guerra tra il Giappone e gli Alleati. Nonostante i successi iniziali, i giapponesi hanno visto il corso della battaglia volgersi contro di loro. Gli americani hanno combattuto sul Pacifico, riportando un successo completo sui giapponesi. La flotta imperiale giapponese è stata neutralizzata, la sua forza aerea è stata annientata. Dalle basi aeree nelle isole gli americani ora controllano i B-29, le fortezze volanti capaci di colpire il Giappone. Una sistematica campagna di attacchi incendiari è condotta contro la città e i centri industriali. È il più devastante attacco mai eseguito contro bersagli civili. Nel frattempo, in America, Robert Oppenheimer e altri scienziati hanno trascorso questi 3 anni lavorando in segreto per sviluppare un nuovo tipo di bomba. Alla fine ci sono riusciti, ma il loro successo non è ancora conosciuto al mondo e certamente non ai cittadini di Hiroshima nell’estate del 1945”.
“Barefoot Gen” è un film di animazione giapponese del 1983 tratto dal celebre manga “Gen di Hiroshima” di Keiji Nakazawa.

Gen è un ammirevole bambino di Hiroshima che affronta insieme alla sua famiglia le difficoltà derivanti dalla guerra: povertà, malattie, morte. Suo padre lavora tutto il giorno per garantire il cibo alla moglie incinta, cosi emaciata e malnutrita da rischiare la perdita del bambino, il fratellino Shinji tra raid aerei e conseguenti fughe notturne inizia a responsabilizzarsi e loro sorella maggiore Eiko si dà da fare come può tra lavori e faccende domestiche preoccupata per la salute del nascituro. Nonostante sia un bambino maturo e responsabile, nella routine bellica Gen sottovaluta il pericolo, tanto da arrivare a rifugiarsi controvoglia durante gli assalti nemici ed esclamare: “sarà l’ennesimo aereo spia” all’avvistamento di un aereo americano.

Hiroshima, 6 Agosto 1945, ore: 8.15.
Le formiche abbandonano i nidi in branco.
Nel cielo limpido spunta solitario un B-29.
Il velivolo avanza, silenzioso.
Da circa 10.000 metri di altitudine viene sganciata “Little Boy”, la bomba atomica segretamente sviluppata dal governo americano.
L’ordigno si apre e plana lento verso il suolo.
Il tempo sembra fermarsi al sordo fischio dell’esplosione. L’impatto è devastante. Ciò che segue è quanto di più granguignolesco possiate immaginare.
Uomini carbonizzati che avanzano come zombie sfaldandosi a terra, corpi che si liquefanno sotto un cielo incandescente, occhi che penzolano fuori dalle orbite, edifici che esplodono, animali che bruciano, un popolo intero che cade in cromatismi infuocati di sangue. Successivamente una pioggia radioattiva si abbatte sulla città. L’acqua sgorga nera come una piaga contaminando i sopravvissuti, il loro cibo, le loro terre. Ancora uomini si trascinano come non morti senza senno. La gente sgorga sangue dagli orifizi, perde capelli, vomita intossicata tra lancinanti grida di disperazione. Il tutto visto dagli occhi di un bambino. Uno dei capitoli più bui della storia dell’umanità per una delle sequenze più impattanti mai viste nel cinema animato. Seppur questa è senza dubbio la scena più iconica, non è certo l’unica memorabile del film.

“Hadashi no Gen” è un racconto straziante, e ciò che rende il tutto ancora più raggelante è il fatto che questa sia un’opera autobiografica.
Il raccapriccio della guerra è espresso con l’efferatezza intrappolata negli occhi di chi l’ha vissuta in tutta la sua mostruosità.
Gen è l’alter-ego di Nakazawa, uno dei superstiti a quell’inferno di carne. L’impostazione narrativa è intimista e ragionata, rafforzata da quel tocco autobiografico utile ad imprimere realismo alla pellicola. Lodevole l’imparzialità dell’autore, che non demonizza l’America, anzi; non perde occasione per rimarcare il fatto che il governo giapponese abbia osato troppo, e che avrebbe dovuto dichiarare la resa diverso tempo prima la tragedia di Hiroshima, senza incaponirsi in una battaglia ormai persa. Il mostro bellico non è a stelle e strisce, ma incolore, come l’animo umano, e nero in tutte le sue sfumature. “Barefoot Gen” ci mostra la belligeranza in tutta la sua disumanità, la guerra in tutti i suoi obbrobri, senza bandiere, senza filtri, e coi giusti virtuosismi grafici.

Il disegno, visibilmente datato, fa ancora la sua figura, grazie anche ad un tratto estremamente pulito. Le musiche accompagnano molto bene e aiutano ad aumentare la tensione dello spettatore nelle scene più drammatiche. Purtroppo le voci originali non brillano per interpretazione e talvolta sono anche fuori sincro. Complessivamente comunque, il comparto tecnico è invecchiato ottimamente.
La regia dell’esordiente Mori Masaki, avvalorata dalle ispiratissime scelte grafiche di Tomizawa ed Oga, si presenta sobria e parsimoniosa, per deflagare poi in tutta la sua potenza visiva, esplodendo proprio come “Little Boy”. Si nota qualche errore di inesperienza ed anche qualche lieve sbavatura tecnica, tuttavia la prova d’esordio di Masaki fu più che soddisfacente. Piccola nota dolente: la durata del film. 83 minuti sono troppo pochi, l’adattamento di un manga di tre volumi dai cotanti contenuti necessitava indubbiamente qualche minuto in più per esprimere tutto il suo potenziale narrativo. Questo comporta una compressione generale della sceneggiatura, che risulta snellita ed a tratti un tantino precipitosa (come nella scena del parto).

La bomba su Hiroshima è una ferita ancora sanguinante, che probabilmente il Giappone non riuscirà mai a cicatrizzare, ma “Hadashi no Gen” è anche un racconto di speranza.
Emblematico l’insegnamento lasciato dal padre a Gen e Shinji:
“La sua vita comincia nella stagione più fredda dell’anno. Pioggia e vento lo colpiscono... e viene schiacciato dai piedi della gente... tuttavia, il grano stende le sue radici... e cresce. Il grano sopravvive”. Allo stesso modo, Gen viene al mondo in uno dei periodi storicamente più difficili del Giappone, e nonostante la guerra, la fame, e la perdita delle persone a lui più care, pianta le sue radici... e cresce... forte. Gen è il grano.

“Hadashi no Gen” è un capolavoro inspiegabilmente sconosciuto in Italia, dove non è mai arrivato e mai arriverà. L’unico modo per guardarlo è subbato in streaming. Precursore del ben più noto “Una tomba per le lucciole” e baluardo dell’animazione giapponese anni 80’, un periodo artisticamente particolarmente decadentista per il Giappone ("Tenshi no Tamago", "Akira", "Ken il guerriero"), “Barefoot Gen” riesce nell’intento di commuovere e sconvolgere, di fermare il tempo alle 8 e 15 di quel 6 agosto 1945. La bomba che dalla visuale dell’aereo si fa sempre più piccola per poi esplodere in tutta la sua strabordante violenza, è solo una delle molteplici sequenze che restano impresse per sempre nella mente di ogni appassionato di anime. La forma espressiva dell’opera prima di Masaki è metafora di un Giappone sfregiato, leso, sia dall’insensatezza assoluta della guerra che dal proprio stesso incommensurabile ed iperbolico onore; ma è allo stesso tempo allegoria del mutamento, della rinascita. Una meraviglia senza tempo, terrifica ed agghiacciante, incorniciata da un perfetto contrasto tra reale e teatrale.

Voto: 9,5