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Dopo il successo internazionale di “Heidi” si consolidò un vero e proprio sotto-genere, un movimento denominato meisaku, che vedeva autori giapponesi ispirarsi a romanzi della letteratura occidentale per le loro serie animate. Dalla stessa formazione di “Heidi” e in particolare dal trittico Takahata (regia e sceneggiatura), Miyazaki (layout) e Kotabe (chara) nel 1976 nacque “Marco - Dagli Appennini alle Ande”, opera ispirata a un racconto presente nel romanzo pedagogico “Cuore” di Edmondo De Amicis.

“Marco - Dagli Appennini alle Ande” è la storia di Marco Rossi, un ragazzino genovese di nove anni che viaggerà fino in Argentina alla ricerca della madre costretta a emigrare dall’Italia per lavoro. Nel suo lungo e travagliato viaggio, passando per navi, treni e mezzi di fortuna, il bimbo attraverserà Marsiglia, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Bahia Blanca, fino a giungere a Cordoba e infine a Tucumán, incontrando sul suo tragitto una miriade di personaggi, tutti degnamente caratterizzati e con una credibile demarcazione psicologica (alcuni veramente di spessore). Come il burattinaio Pepe, un alcolizzato cialtrone dal cuore tenero, e le sue tre figlie (Violetta, la secondogenita, nutre del tenero per il protagonista), con cui Marco, grazie anche alla sua estroversa scimmietta Peppino, allestirà per le strade acclamati spettacoli di marionette. Nei carruggi di Genova il ragazzino si tempra iniziando a lavorare, facendo conoscere il suo vigore e la sua determinazione a tutta la città, talvolta come postino altre volte spolverando bottiglie per un bottegaio, non disdegnando nulla che possa aiutarlo a racimolare il denaro utile per il biglietto della nave in grado di avvicinarlo alla mamma.
E con la determinazione e perseveranza tipiche di chi ha un obiettivo da conseguire, al seguito di non poche fatiche, Marco riesce finalmente a imbarcarsi sulla “Folgore”, nave diretta inizialmente a Marsiglia; dopo mille peripezie il bambino si lascia alle spalle gli Appennini italici insieme alle incomprensioni con il padre e il fratello maggiore Tonio, contrari alla sua partenza, in attesa di approdare nelle brulle e calde Ande argentine.

Il ritmo è compassato, e potrebbe scoraggiare gli amanti della nuova scuola giapponese abituati a ben altri standard, tuttavia, nonostante qualche episodio leggermente sottotono e le cinquantadue puntate non proprio coadiuvate dagli avvicendamenti centellinati e dilatati, la storia prosegue coerente dall’inizio alla fine, coinvolgendo lo spettatore, grazie anche a un ottimo cast di comprimari sempre sul pezzo.
In grande spolvero Takahata, nel fiore dei suoi anni, la cui impeccabile regia richiama molto da vicino il cinema neorealista del Vittorio De Sica di “Ladri di biciclette”, conduzione illuminata dagli splendidi fondali dell’allora gregario Miyazaki, che si recò in perlustrazione a Genova per studiarne la demologia e morfologia: la città è riprodotta in modo cosi esemplare, da sembrare viva. Tale realismo purtroppo non si riscontra in tutti gli aspetti della produzione: il fatto che Marco non abbia problemi di comunicazione con gli stranieri e che nella serie è come se ci fosse un’unica lingua universale lascia perplessi, visto e considerato anche lo smodato numero di luoghi visitati dal bambino e quindi le diverse etnie incontrate, togliendo qualcosa in termini di pura immedesimazione.
Non manca la denuncia sociale, gli autori non temono censura e toccano temi quali migrazione, bullismo, violenza sugli animali e sfruttamento minorile, mostrandoci spesso scenari di povertà ed esseri umani in situazioni di estrema precarietà, nonché la critica a determinate classi sociali come dottori, poliziotti o controllori. Particolarmente toccante la scena in cui un ferroviere tramortisce con violente manganellate Pablo, l’amico a cui Marco ha salvato la sorella e che prova a far di tutto per sdebitarsi, fino addirittura a rischiare la vita per garantire un posto abusivo al nostro protagonista sul treno che lo condurrebbe dalla madre; perché Marco è un bambino che merita tale riconoscenza, un piccolo eroe capace di donare i soldi messi da parte con tanto sudore, che gli avrebbero permesso di acquistare il biglietto del treno per Cordoba, a un dottore in grado di operare la sorellina di un amico appena conosciuto (“La mamma mi capirebbe”). Un bambino capace di strisciare al suolo stremato durante una bufera di neve con una scarpa rotta e un’unghia staccata, pur di avvicinarsi alla madre di qualche metro. Indubbiamente, un profilo tanto maturo sarebbe più credibile nelle vesti di un individuo adulto, ma questo è un compromesso accettabile, se il bimbo diventa il mezzo educativo attraverso il quale il maestro Takahata decide di comunicare con i più piccoli. Non dimentichiamoci che i meisaku nascono come opere principalmente formative. Il viaggio di Marco, ragazzino la cui tenuta etica è un esempio per tutti, ancor prima che un’avventura, è il percorso di maturazione di un bambino alla sua partenza per il Sudamerica divenuto un ometto al suo ritorno a Genova.

Purtroppo la serie in Italia non ebbe un grandissimo riscontro, ottenebrata da altre produzioni che andarono in onda più o meno nello stesso periodo, come “Heidi” o “Anna dai capelli rossi”, le cui protagoniste femminili attiravano maggiormente anche le bambine.
Suona come un paradosso, visto che l’opera è ambientata per gran parte della sua durata proprio nel Bel Paese, ma in quel periodo preferivamo di gran lunga i robot.

Tecnicamente siamo su ottimi livelli, la resa visiva è quella di “Heidi” e, anche se oggi può risultare datata, all’epoca aveva quasi del miracoloso. L’utilizzo di pochi fotogrammi e una produzione decisamente low-budget rispetto a colossi come Disney non inficiano più di tanto la qualità delle animazioni, che seppur poco fluide e non proprio al passo coi tempi odierni riescono ancora a valorizzare i momenti più toccanti.

“Marco, dagli Appennini alle Ande” è un classico del meisaku, uno dei primissimi, poi innumerevoli fiori, nati dal sodalizio tra Takahata e Miyazaki, fiore dai cui petali poteva già scorgersi l’alba di un verdeggiante avvenire.

Voto: 8