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7.5/10
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Non è facile fare una recensione di “Banana Fish” (tratto dall’omonimo manga di Akimi Yoshida), perché le sensazioni suscitate dalla visione dell’anime sono state diverse e contrastanti.
È certamente un anime che incuriosisce, che ti “prende” e ti spinge a voler vedere l’episodio successivo, fino ad arrivare alla fine. È un thriller dinamico, originale (per trama ed ambientazione), ma, allo stesso tempo, introspettivo ed emotivamente coinvolgente.
Ho apprezzato molto il chara design, l’animazione estremamente fluida e realistica, le ambientazioni molto curate e dettagliate, le atmosfere cupe dei bassifondi urbani di New York. Ottima anche la colonna sonora, ed in particolare la seconda ending che mi è rimasta impressa nella mente…

Mi è piaciuta molto anche la caratterizzazione del protagonista Ash, il capo diciassettenne di una gang newyorchese con un passato da incubo. Un personaggio affascinante, poliedrico, complesso, tormentato, ricco di sfaccettature (a volte sorprendenti e inaspettate). In breve, un personaggio magnetico, capace di bucare lo schermo, di rubare la scena e catalizzare l’attenzione.

Ed è proprio per questo motivo, che non c’era bisogno di esagerare, che non c’era bisogno di rimarcare continuamente quanto fosse bello, intelligente e sessualmente desiderabile. Non era necessario sottoporlo continuamente ad ogni genere di violenza, umiliazione e tortura fisica e psicologica (aldilà di ogni umana sopportazione) per accrescere l’empatia nei suoi confronti o per giustificare alcuni passaggi della storia. Ho trovato esagerate le sue gesta da “supereroe” ed eccessivamente ripetitive alcune dinamiche della trama (susseguirsi di catture, liberazioni, etc). Pur trattandosi di un thriller, che affronta temi forti, quali la droga, la criminalità, la corruzione, la prostituzione minorile, etc, il vero filo conduttore di tutta la trama è rappresentato dal rapporto tra Ash e il giovane Eiji (un ragazzo di origine nipponica arrivato a New York per un reportage fotografico sulla malavita newyorchese), ma su questo ci sarebbe qualcosa da dire…

Attenzione: questa parte contiene spoiler

Il rapporto di “amicizia” che nasce tra i due ragazzi, attraverso il quale i due personaggi evolvono e si completano, resta sospeso nel limbo di una relazione dai contorni indefiniti. L’opera, pur analizzando diversi aspetti psicologici dei personaggi, non approfondisce il tema (a mio avviso volutamente), forse per raggiungere un pubblico più vasto possibile o per evitare che l’opera venisse etichettata in un genere o per questioni di censura. Ma il legame che nasce tra Ash e Eiji, (che ho trovato poetico e toccante) va ben oltre il semplice rapporto di amicizia. C’è solo un tipo di sentimento, così potente e radicale, in grado di sconvolge l’ordine delle priorità della vita, escludere tutti gli altri dal proprio campo visivo, provocare in poco tempo cambiamenti dell’anima così profondi. Solo un sentimento romantico potrebbe indurre un ragazzo (del tutto estraneo al mondo abietto e spietato della criminalità) a mettere in gioco la propria vita senza esitazione alcuna. E solo questo tipo di sentimento potrebbe essere capace di provocare un tale struggimento all’idea dell’assenza o dell’allontanamento della persona amata. Se così non fosse la storia non reggerebbe, non sarebbe credibile, non sarebbe coerente. Forse, un’opera coraggiosa che affronta temi forti, in maniera così naturale e diretta, avrebbe dovuto avere anche il coraggio di andare fino in fondo…

Per quanto riguarda il finale, non sono un’amante dell’happy ending a tutti i costi, e in questo caso, questo finale amaro e struggente ci sta tutto…
In conclusione: "Banana Fish" aveva grandi potenzialità che non sono state sviluppate pienamente, ma ne consiglio la visione, resta comunque un’opera valida e tecnicamente ben realizzata.