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Il solito delirio onirico collettivo di "otaku"... con una pseudomorale?

Dopo aver visto la seconda serie di "Alice in Borderland" e il finale con la spiegazione ("per modo di scrivere"...) del perché dell'ambientazione simil post-apocalisse in una Tokyo surreale e semi-disabitata, la prima impressione che mi è venuta in mente è la somiglianza per logica di costruzione con un'opera che rappresenta una pietra miliare dell'animazione giapponese: "Neon Genesis Evangelion" nella versione dei quattro film denominati "Rebuild".

Spero che non me ne vogliano i fan dell'opera di H. Anno, nè quelli di "AIB" e sebbene mi renda conto che ho scritto un paragone molto "forzato" (ma la stessa serie di "AIB" lo è in molti punti della trama), ho azzardato tale paragone per la somiglianza di fondo delle due opere.
Senza voler spoilerare il finale, "AIB" utilizza 16 episodi per arrivare ad una spiegazione che sarebbe il frutto dell'immaginazione dei protagonisti ed in particolare di Arisu. E su questo aspetto il paragone con Shinji di "NGE Rebuild" sembra sostenibile: anche lui esce da una specie di delirio e scopre che i pg con cui ha interagito nella trama sono reali e viventi e che in fondo il problema dell'odissea vissuta è dovuta principalmente alla sua alienazione e fuga continua dalla realtà a causa delle sue difficoltà relazionali con la famiglia e la società, che si risolverà solo quando il protagonista acquisterà il coraggio di affrontare la realtà, ossia la vita con le sue difficoltà.

"AIB" seconda serie sfrutta l'idea di fondo appena descritta per sviluppare una storia di "survival games" nella quale azzarda delle riflessioni "randomiche" sul valore dell'esistenza umana e sulla possibile metafora della vita come gioco o partita a carte in cui, nonostante l'abilità dei giocatori e le strategie messe in atto, il risultato o la vittoria si raggiungono anche "per caso" o "per fortuna", a nulla contando l'essere un abile giocatore.

E il protagonista Arisu (ma anche gli altri personaggi della serie scampati alla mattanza...) è facilmente sovrapponibile al buon Shinji di "NGE" ma anche a qualsiasi altro ragazzo/a protagonista di tanti anime che soffrono la vita familiare e sociale e si rinchiudono nella loro bolla (confort zone) in cui rifiutano, ciascuno a suo modo, di vivere secondo la visione prevalente, salvo poi realizzare a suon di sofferenze che in fondo essere se stessi e collaborare con gli altri inserendosi nella società non sono antinomici e il compromesso è possibile e, forse, anche piacevole...

Purtroppo tali considerazioni emergono palesemente solo nell'ultimo episodio della seconda serie, in particolare nell'ultimo game che abbandona ogni velleità di violenza e capacità di sopraffazione per tornare ad essere di pura psicologia, ma lo fa in modo pretenzioso: i dialoghi tra la regina di cuori e Arisu risultano artificiosi e forzati come tante soluzioni di trama e registiche che ho avuto modo di vedere durante la serie. In questo particolare frangente mi è sembrato di rivedere il dialogo tra Morpheus e l'agente Smith di Matrix con il secondo che voleva far capitolare il primo nella realtà virtuale a suon di elucubrazioni ontologico metafisiche sull'umanità...

Vedere la regina di cuori impietosirsi alla vista della resilienza di Arisu e Usagi se da un lato attribuisce una parvenza di umanità a coloro che organizzano i game (al pari del re di fiori e di quello di quadri), per poi perdere il game e morire non prima di aver espresso la morale sulla vita ad Arisu, è francamente surreale con venature di comicità involontaria che fa sorridere piuttosto che meditare sul "dramma" (se così si può definire...) delle vite dei personaggi, tutti segnati a loro modo da "problemi" che non sono riusciti ad affrontare o dolori che non riescono ad elaborare e superare...

Dal punto di vista tecnico, anche la seconda serie conferma il buon livello registico della prima. Scenari molto suggestivi, fotografia di qualità, scene di azione mozzafiato e suggestive, scenari inquietanti con un discreto pathos... qualità che tuttavia non sono confermate a livello interpretativo e recitativo dagli attori, tra i quali riesco a salvare solo Nijirô Murakami (che interpreta Chishiya - il personaggio enigmatico, atarassico e glaciale della serie).

Purtroppo i lamentati limiti non sono superati/compensati dal finale a lieto fine, con la spiegazione di quanto visto, che rappresenta il paradigma dell'intera opera: surreale e raffazzonato, volutamente lasciato aperto con l'inquadratura delle carte da gioco che volano via da un tavolo ad eccezione di una carta che non era ancora apparsa durante le due serie e che lasciano presagire l'arrivo di una terza serie...