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Pochi giorni fa ho recensito un film perfetto per il Natale (“Tokyo Godfathers”), oggi ho trovato un film buono per San Valentino. Non un film che parla di una passione feroce, nel mondo attuale la passione è poca e non dura. Questo film è lineare (qualcuno ha detto addirittura piatto) nel presentare un amore adolescenziale dolce, pacato, senza scatti.
Qualcuno di voi dirà: “Che noia!” Vi assicuro che non è così, anche io da bambino preferivo le storie dei robot alle storie tratte dalla letteratura mondiale, ma ho imparato ad apprezzare prodotti diversi, da vedere con occhi diversi. Non parlerò delle animazioni di altissimo livello, non dirò di Hayao Miyazaki alla sceneggiatura, quelle cose sono dei di più, ciò che è certo è che Goro Miyazaki riesce a creare una storia (uno slice of life) interessantissima che unisce una micro-realtà a una storia di tutti i giorni.

Ambientato a Yokohama in Giappone, nell’anno 1963, narra delle a vicissitudini quotidiane di due ragazzi, rappresentando la loro vita a casa e a scuola; fra gli ambienti di sottofondo merita particolare attenzione il Quartiere Latino, sede di vari club, che rischia la demolizione: non starò qui a farvi il ‘pippone’ su tradizione e innovazione, fra il rispetto per ciò che è vecchio e accompagna la nostra esistenza o ciò che significa avere qualcosa di nuovo, vergine di ricordi ma spesso più funzionale, anche perché queste riflessioni non ci sono nel film e sarei io a volerne dilatare il significato: c’è uno spunto e non di più.
Altro problema: la regia. Goro imita il padre, tarpandosi le ali: sono felice che i due vadano d’amore e d’accordo, ma sono dell’avviso che in Goro ci sia molto più potenziale, come dimostra l’apprezzamento che ho espresso per “I racconti di Terramare”, dove Goro, con un budget decisamente più limitato dei film di Hayao, aveva fatto comunque un’opera coi baffi.