Mardock Scramble 1 A un primo colpo d’occhio, Mardock Scramble conferma che il cyberpunk ha ancora qualcosa da offrire. Oppure, secondo una prospettiva differente, c’è ancora la possibilità di attingervi, al minimo come estetica, acida, satura, marcescente. Poi, sotto la superficie, e soprattutto in fase con essa, c’è anche altro. E ti viene sbattuto in faccia, senza tante sottigliezze.
The First Compression è crudo, ma chirurgico; uno dei suoi grandi pregi. Infierisce sui propri attori e spettatori con sadismo calcolato, dosato con tempistica precisa, studiato per «sbucciare i nervi» di chi osserva vivisezionando chi agisce, mostrandone il tessuto cicatriziale, squarciandone di nuovo, a vivo, sanguinante.

Si ha un’impressione di controllo dell’organismo nella sua interezza, nella diegesi e nel suo darsi. Vi è una storia portante e totalizzante, centro gravitativo di una narrazione giocata sull’accrezione di senso attorno agli iniziali impulsi disgregati. C’è da ricostruire, da montare i pezzi che balenano su piani sovrapposti e sovraesposti: un pattern prima sbozzato e poi dipanato in sequenze di analessi documentarie, di testimonianze offerte solo attraverso un’atroce carica visuale.
Niente didascalismo o, peggio ancora, patetismo, The First Compression mantiene la sua unità stilistica anche lì. Non cerca il verdetto morale; mostra la contestualizzazione di una vita corrosa da un retroterra di abusi. Apre la finestra su un carnaio.

Nel suo circo parossistico di violenza, dove i ruoli si mischiano e a volte confondono, il film è estremo ed estremizzato, consapevolmente. È un elemento soprattutto a farlo pensare, l’elemento, Balot, epitome metonimica di una determinata condizione femminile che solo in lei trova proiezione. Difatti altre donne sono assenti, o quasi, nello scenario – particolare dall’individuazione non subitanea ma assai indicativo.
Tramite la ragazza si giunge al secondo aspetto ricorsivo, quella nudità tanto ostentata che tuttavia non ammicca allo sguardo davanti allo schermo, mai. È invece tangibile l’alienazione da qualsiasi connotazione sessuale di un corpo violato senza pietà, nella dimensione dell’anime, e restituito, oltre quella, come semplice carne nuda.

Tra le righe si legge il personale femminismo di Ukubata, più che altro accentramento femmineo, qui nero e perverso. È facile scorgere la fredda denuncia, e poi il riscatto che segue alla riemersione – rinascita – dalla spirale di dolore dell’inferno: piccoli passi fino alla vendetta psicotica contro lo spettro dei traumi vissuti.
Meno semplice è accorgersi di come la rivalsa sia già mozzata in partenza. Uomini lacerano e uccidono; uomini rigenerano e armano. Ci sarebbe da chiedersi quanto Balot in realtà resti una sconfitta, pupazzo in balìa del maschio tiranno, con l’unica vera prossimità, la sola comunione di chi umano non è. Osservazione en passant, Œufcoque è uno dei personaggi più riusciti e meglio utilizzati che mi sia capitato di vedere ultimamente.

Mardock Scramble 2

Comunque aspetterei prima di elaborare una risposta, il quadro si deve ancora risolvere, The First Compression è l’ouverture di una trilogia cinematografica. Ed è un bene straordinario che Gonzo e Range Murata, illo tempore, le abbiano tolto le mani di dosso.
La misconosciuta GoHands s’è spremuta a fondo per confezionare un prodotto dalla tecnica grafica intelligente, che copre il deficit delle risorse economiche – palese nell’animazione, spesso farraginosa – con un digitale accurato, quasi ovunque ben integrato, sfruttato per fare precipitare un’immagine carica. Nel 2011, ciò non sorprende più da qualche anno. Eppure è la sensibilità con cui si usano dei mezzi a fare la differenza tra un lavoro routinario e una composizione impattante.

Nella risultante trovano posto, tra le altre, anche alcune citazioni a Oshii e Lynch, ma solo a titolo di inserti onanistici. Mardock Scramble non persegue istanze metalinguistiche, ma incanala il suo percorso sulla sintesi tra nuclei tematici e aspetto formale. Altra scelta oculata a fronte di produzioni più pretenziose e risonanti che alla fine della fiera millantano intenti poco o per nulla conseguiti.
The First Compression invece focalizza la sua essenza e i suoi obbiettivi costruendovi attorno un impianto solido. Muove la macchina con criterio. E dimostra che non occorrono grandi nomi e capitali per realizzare un progetto valido, potente, per certi versi anche bollente, una singolarità nell’attuale stato dell’arte animata.