Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi viaggiamo nel passato, con i manga Vinland Saga e Yume no Shizuku, Kin no Torikago e l'anime Lady Oscar.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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9.0/10
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<b>Recensione sostituita con una versione aggiornata. - Ais Quin</b>

Premettendo che la storia è una delle mie grandi passioni, qualche mese fa ero alla ricerca di un seinen che avesse una trama, uno stile grafico o almeno un elemento di novità che potesse catturare la mia attenzione. Sono convinto di aver trovato ciò che cercavo in "Vinland Saga", scritto e disegnato da Makoto Yukimura, autore tra l'altro dell'acclamato "Planetes". È il primo manga storico di ambientazione vichinga in cui mi sia mai imbattuto fino ad ora e mi ha sorpreso piacevolmente: è quasi superfluo dire che attendo con ansia l'uscita italiana del prossimo volume.

La storia comincia in medias res: nel Nord della Francia dell'XI secolo, un esercito di guerrieri normanni si appresta a dar manforte a un signorotto locale nella conquista di una roccaforte apparentemente inespugnabile. Ci riusciranno con un inatteso stratagemma e grazie anche al prezioso contributo di un giovane combattente letale, che altri non è che il nostro protagonista. Thorfinn, questo il nome del ragazzo, sembra avere un conto in sospeso con il capo della sua banda, il freddo e calcolatore Askeladd, tanto da chiedergli con insistenza di sfidarlo in duello. A spuntarla, con grande frustrazione di Thorfinn, è sempre il suo superiore. Triste e demoralizzato, il ragazzo si tuffa nei ricordi e un breve quanto maestoso flashback ci illustra il suo passato, rivelandoci le ragioni di cotanta feroce sete di vendetta nei confronti di Askeladd. È proprio a partire dal suddetto flashback che il manga decolla.
Tornati rapidamente al presente, osserviamo i vari personaggi presentati fino ad ora con occhi diversi, ma Yukimura non ci dà un attimo di respiro e ne introduce di nuovi e sempre affascinanti: il gigantesco e micidiale Thorkell e il taciturno principe Canuto, giusto per citarne un paio. L'autore mostra un'innata capacità di delineare con estrema naturalezza dei personaggi credibili, espressivi e mai fuori luogo. Una rete fittissima di eventi, intrighi, inganni, battaglie sempre più spietate, colpi di scena ci porta a un ritmo incalzante all'ottavo volume, il cui cliffhanger è davvero da manuale. I successivi volumi non fanno calare di una virgola l'attenzione del lettore, e introducono le basi di una storia più vasta e ancora tutta da scoprire.

Passiamo al comparto tecnico. I primi due volumi sono quelli disegnati "meno bene" (le virgolette mi sembrano d'obbligo, considerato che a mio avviso la qualità grafica di suddetti volumi è comunque piuttosto rimarchevole se paragonata ad altri manga simili): è noto che l'autore abbia scritto e disegnato almeno i primi otto capitoli con cadenza settimanale per conto del Weekly Shōnen Magazine, ma in breve si è reso conto di non poter sostenere tale ritmo ed è passato a serializzare il suo manga sulla rivista Afternoon, con cadenza mensile. In conseguenza di ciò, a partire dal terzo volume la qualità dei disegni subisce un'impressionante impennata e tocca livelli d'eccellenza capaci di lasciare a bocca aperta. Se vi è piaciuto il character design già ben definito e personale di "Planetes" non potrete non adorare quello di "Vinland Saga", ancora meglio delineato e compiuto. L'edizione italiana a cura della Star Comics è di ottima qualità, con tanto di sovraccoperta lucida, e a un prezzo più che accessibile. Poiché si tratta di un'opera ancora in corso il mio voto non è definitivo, ma se continuerà sulla stessa strada finora battuta, un bel nove non glielo toglie nessuno.



10.0/10
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Passare sotto silenzio un'opera come questa, per quanto ardua da recensire e affatto bisognosa di presentazioni, sarebbe un atto a dir poco criminoso. Quaranta episodi di vita, morte, eros e principî nei quali irrompe con prepotenza la Rivoluzione Francese, periodo la cui ombra sinistra, in quest'epoca di incertezze, di ingiustizie sociali e di malcontento, sembra incombere su di noi con rinnovato slancio, mettendoci di fronte alla nostra incapacità di fare tesoro di quello che la storia ci ha insegnato su noi stessi e sulla società di cui facciamo parte: tutto questo è "Versailles no Bara", conosciuto nel nostro paese come "Lady Oscar" in un omaggio soltanto apparentemente semplicistico a una delle figure più iconiche del panorama dei manga e degli anime in generale. Nel riscoprire dopo tanti anni questo capolavoro in lingua originale le emozioni provate da bambina di fronte alle avventure dell'indimenticabile eroina ikediana hanno fatto vibrare le corde del mio cuore con intensità meravigliosamente consapevole, ma non per questo priva di quello stesso incanto che temevo di avere perduto; merito, naturalmente, del modo in cui la bellezza intrinseca di questo titolo, lungi dallo sfiorire con il passare del tempo, ha saputo, al contrario, piegarlo al suo volere, ammantando di grazia anche i suoi rarissimi e fisiologici momenti di stanca.

La storia è nota a tutti: cresciuta come un maschio per volere del padre, l'autoritario generale de Jarjayes, Oscar François viene catapultata in giovanissima età nella variopinta e pericolosa corte di Versailles in qualità di capitano della Guarda Reale. Il suo compito principale è quello di provvedere alla sicurezza della frivola e innocente principessa Maria Antonietta, figlia dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa e promessa sposa del nipote prediletto di re Luigi XV; diversissime fra loro, le due finiscono per instaurare un rapporto d'amicizia che non ha nulla a che vedere con le relazioni effimere e spesso non esattamente cristalline tipiche di un ambiente tanto superficiale. Oscar, tuttavia, è ben conscia di quale sia la propria posizione, nei limiti della quale cerca di proteggere l'inesperta futura regina anche da quei pericoli, non sempre chiaramente manifesti ma non per questo da sottovalutare, che non le competono direttamente.
Mentre la vita di corte trascorre tra feste, pettegolezzi, fiumi di ottimo vino e chilometri di stoffe pregiate, fuori dai cancelli di Versailles la Francia vera, sulle cui magre spalle ricade l'onere di mantenere alto il tenore di vita di quel quattro per cento della popolazione che da solo sperpera la maggior parte delle risorse del paese, fa sempre più fatica a sostentarsi. Fame e scontento, coppia infelice e per questo indissolubile, serpeggiano per le sue sudicie strade come una brutta malattia; le speranze del volgo vengono riposte nel diciannovenne Luigi XVI, che tuttavia non possiede né l'esperienza né la forza d'animo necessarie per rispondere adeguatamente a simili suppliche. Maria Antonietta diviene ben presto il capro espiatorio di un malcostume secolare, con sommo dolore di Oscar che le è ancora molto affezionata ma che, al tempo stesso, si rifiuta di chiudere gli occhi di fronte alle condizioni inumane in cui versano i suoi compatrioti. Ma la società non è l'unica ad attraversare una fase di profondi cambiamenti le cui conseguenze a lungo termine sono impossibili da stabilire con certezza: la stessa Oscar si vede infatti costretta a mettere in discussione la sua risoluzione di vivere rinnegando la propria femminilità, messa a dura prova da André, lo stalliere dei Jarjayes con il quale nel corso degli anni il confine tra amicizia e amore si è fatto sempre più indefinito, e dallo svedese Fersen, l'unico uomo in grado di regalare a Maria Antonietta quella serenità che le è sempre mancata.

Facciamo finta che "Versailles no Bara" sia un'opera di finzione al cento per cento e che nulla di quanto succede ai protagonisti sia riconducibile ad avvenimenti reali. Ogni tanto si rende necessaria una rapida contestualizzazione attraverso ingenue sequenze di carattere puramente espositivo, ma a niente sarebbe servito un setting tanto accattivante se l'impianto narrativo - che talvolta si discosta, in maniera più o meno indovinata, da quello del manga - non si fosse rivelato all'altezza della varietà e della complessità delle forze in gioco.
La prima parte introduce magnificamente Oscar e le sfaccettature - invero assai poco seducenti - di un mondo a cui non si sente realmente di appartenere: la vediamo spesso appoggiata al muro mentre osserva a braccia conserte dame e cavalieri che si divertono e complottano fra loro, sorridendo di tanto in tanto a un commento fra l'incredulo e il sarcastico di André come se assistesse a un esperimento antropologico. La vita di quelle donne dalla risata impostata e dalle imponenti parrucche incipriate, a cui è scampata per un soffio, le pare incredibilmente priva di significato rispetto alla sua, che gode delle stesse libertà di un uomo. Tra questa marea di volti tutti uguali, tuttavia, spiccano quello di Maria Antonietta, la cui purezza è un'autentica ventata d'aria fresca in un ambiente dove nessuno fa niente per niente, e delle due donne che, ciascuna a suo modo e per le proprie ragioni, fanno di tutto per soggiogarla, vale a dire Madame du Barry, la favorita del vecchio monarca che teme di perdere il suo status, e la contessa di Polignac, che mira a renderla psicologicamente dipendente da lei in modo da poter trarre il massimo profitto da un'amicizia così illustre. A tale proposito è interessante far notare come la maggior parte dei cattivi della serie - novero nel quale potremmo includere anche la Storia stessa - sia di sesso femminile, quasi a fare da contraltare all'integrità di Oscar, al candore di Maria Antonietta e alla bontà di Rosalie, le cui traversie hanno, oserei dire, quasi un che di picaresco.
Abbandonati gli sfarzi di corte in favore di tristi vicoli in cui miseria, rabbia e disperazione regnano sovrani, la seconda parte, in occasione della quale il timone della regia passa al leggendario Osamu Dezaki, vede Oscar alle prese con una maturazione a tutto tondo, non solo dal punto di vista di quello che potrebbe essere il suo ruolo in questa nuova società che va delineandosi, ma anche da quello personale. Qual è l'uomo giusto per una donna come lei? Non vi è nulla di ovvio, di artefatto o di inutilmente ostentato nei piccoli e grandi turbamenti che lei e il resto del cast devono affrontare: ad essere messi in discussione, come si è detto, non sono soltanto i singoli rapporti fra le persone, bensì l'intero sistema su cui a fatica si regge la società francese, che ne condiziona nel profondo le dinamiche. Si pensi ad esempio al generale de Jarjayes e a quanto gli costa ammettere di non poter dare in sposa sua figlia ad André solo perché quest'ultimo è uno spiantato; a come Maria Antonietta risenta del peso dei propri doveri istituzionali, che le impediscono di vivere la sua storia con Fersen alla luce del sole; a Rosalie, costretta a pensare alle conseguenze del suo desiderio di vendicarsi dell'assurdo assassinio della madre; ai soldati che si rifiutano di sparare ai propri fratelli pur sapendo che la pena per chi si macchia di alto tradimento è la morte; e via discorrendo.

Così come una bella donna rimane tale anche quando il suo volto tradisce l'avvicendarsi di molte primavere, il comparto tecnico dell'anime, benché datato per gli standard odierni, si rivela, nemmeno troppo incredibilmente, piuttosto resistente alla prova del tempo. Regia, fotografia, sonoro - tra cui spiccano gli strepitosi temi d'apertura e di chiusura - e doppiaggio danno vita a un insieme piacevolmente armonioso e coeso, al punto che viene naturale chiudere un occhio di fronte a certi piccoli difetti senza i quali l'opera avrebbe, agli occhi di chi per motivi anagrafici vi si avvicina "in differita", forse un po' meno carattere.

Solitamente sono un po' refrattaria a rileggere o a riguardare qualcosa che ho amato molto, perché temo sempre di dover rivedere al ribasso l'entusiasmo provato la prima volta. Con "Versailles no Bara", tuttavia, ero certa che avrei fatto di nuovo centro. Anzi, no, permettetemi di riformulare: che esso stesso avrebbe fatto di nuovo centro con me. Se è vero che un'opera è degna di essere definita un capolavoro soltanto quando riesce a trascendere qualsiasi barriera temporale, ebbene, quest'anime lo è.



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Conquistatore, sultano, poeta, mecenate... si potrebbe sprecare un'intera pagina per elencare gli attributi dell'uomo che fu Solimano il Magnifico, decimo e più celebre sultano dell'Impero Ottomano. La sua sola presenza fa quasi apparire la protagonista della storia, una popolana ucraina (o moldava? Una mappa all'interno del manga puntava da quelle parti l'origine della ragazza) di nome Alexandra, per gli amici Sasha, come del tutto marginale, nonostante il manga segua quasi esclusivamente le sue vicende.
Durante un'incursione da parte dei Tatari, Alexandra finirà per essere rapita e venduta come schiava: per sua fortuna, ad acquistarla sarà nientemeno che Pargali Ibrahim Pascià, figura storica di grandissima rilevanza all'interno dell'Impero Ottomano, il quale la donerà al vastissimo e favoleggiato harem del sultano di Costantinopoli. Il titolo dell'opera, che significa letteralmente "Stille di sogno, gabbie dorate", fa riferimento allo status di Alexandra, ribattezzata col nome turco di Hurrem: le "stille di sogno" sono i suoi desideri e le sue aspirazioni, piccoli e insignificanti come gocce di rugiada, ma così vivi e brillanti da darle la forza di non cedere mai, mentre la "gabbia dorata" è proprio l'harem reale, luogo dal quale le donne possono uscire solo coi piedi davanti. Era dai tempi di "Cesare" che non mi ritrovo a leggere uno storico tanto valido: e il motivo per cui non ho assegnato all'opera un 10, oltre al fatto che dovrà dimostrare di sapersi mantenere appassionante ben oltre i 3 volumi finora usciti, è perché non sono tanto esperto riguardo la storia, la cultura e gli usi dell'Impero Ottomano quanto lo sono di quelli italiani, o perfino di quelli giapponesi, se è per questo. Yume no Shizuku, Ogon no Torikago trasuda identità medio-orientale da ogni vignetta, e personalmente trovo ironico come il vero protagonista di questa storia, l'harem, che ha dato il nome all'omonimo genere all'interno della dimensione dei manga, non sia fra le categorie cui appartiene quest'opera.

Intrighi, tradimenti e giochi di potere la fanno da padrona all'interno della corte ottomana, e Alexandra/Hurrem, nonostante il suo buon cuore e la sua personalità umile, modesta, si ritroverà suo malgrado a concorrere ferocemente per i favori del sultano, venendo trascinata in una danza sulla fune che a noialtri non può non ricordare, nel caso la convenienza ci spingesse a dimenticarlo, come non importi quanto le si rinchiuda, quanto si limitino i loro movimenti o la loro influenza, le donne saranno sempre il motore che fa girare la società e muove i fili dietro le quinte. Questo significa forse che i personaggi maschili sono solo burattini in balia delle perfide consorti e concubine, pronte ad azzannarsi l'una con l'altra per guadagnarsi i favori del re? No di certo: ho già spiegato che Solimano costituisce un'influenza senza la quale il manga non avrebbe ragione d'essere, e le sue parole dettano legge all'interno dell'Impero. Ibrahim è un po' meno credibile, ma lungi da me giudicare oltre quanto il ritratto che l'autrice fa dei personaggi in questione sia corrispondente alla realtà storica: come ho già detto, non sono così esperto da potermi esprimere.

È veramente molto bello come l'autrice si sia impegnata per riprodurre al meglio gli antichi centri e i paesaggi dell'Est Europa e del Vicino Oriente: non che abbia svolto un lavoro superbo, ma si vede bene che ci ha messo tutto il suo impegno. D'altro canto, non c'è da biasimarla più di tanto: credo sia particolarmente difficile, per un giapponese, figurarsi nella mente una realtà lontana (e non così celebre, se vogliamo dirla tutta) come dev'essere l'Impero Ottomano. Ottime, tuttavia, sono le rappresentazioni di Istanbul e dei suoi palazzi, così come eccellono le trasposizioni di costumi, gioielli e armamenti. Ho trovato invece un po' poco fantasioso - e anche un pizzico retró - il design dei personaggi.

Due parole sulla storia. Crudezza, realismo e anche un certo grado di... non so come definirla... denuncia? Libertinismo? Malizia? Un certo grado di malizia fa da contorno alla vicenda, che ho già segnalato come ricca di intrighi e giochi di potere, ma anche di sorprese più o meno piacevoli: l'autrice ha scelto un contesto vivace ed affascinante per ambientare la sua storia, e lo sfrutta in maniera coinvolgente e ammaliante. Credo che sia riuscita a raffigurare con una buona precisione la reale natura della corte ottomana e dell'harem: non il paradiso della perdizione, della lussuria e del peccato che noialtri spesso ci figuriamo - non senza una certa dose di desiderio, lo ammetto - ma una realtà complicata, stratificata e lacerata da divisioni e omertà, quasi un centro abitato a parte, dove il padrone, in questo caso il sultano, ha quasi il ruolo di un dio col potere di giudicare se una donna può assurgere ad una posizione superiore, oppure essere gettata nelle tenebre dell'oblio senza poter più far ritorno alla luce.

Un manga davvero notevole. Credo che lo seguirò con attenzione, a costo di leggerlo in lingua originale, tanto più che le versioni che si trovano in giro non sono tradotte in maniera così esaltante. Non credo di dire una bestemmia affermando che Yume no Shizuku, Ogon no Torikago ha sufficiente impatto visivo da non poter passare inosservato a lungo: a differenza di quasi tutte le opere non giunte nel Bel Paese che ho provveduto a recensire in passato, credo fermamente che questo manga abbia le carte in regola per un'eventuale release italiana. Non so dirvi quando, ovviamente, né posso mettere a tacere quell'un per cento del mio cuore che mi dice che sto sbagliando, ma nel caso dovesse accadere non posso che raccomandarvi caldamente la lettura di quest'opera, qualunque sia il genere che vi appassiona di più, perché è uno di quei manga così multidimensionali da poter risultare appassionante per ogni categoria di lettore.