Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi si torna agli anni '80, con Il mio vicino Totoro, Goshogun e Goku Midnight Eye.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Elogio della semplicità

Il 16 aprile 1988, con una formula di distribuzione alquanto inusuale, escono contemporaneamente nelle sale giapponesi ben due film dello Studio Ghibli al prezzo di un unico biglietto. Si tratta di "Una tomba per le lucciole" e "Il mio vicino Totoro", rispettivamente per la regia dei sodali e cofondatori dello stesso studio Isao Takahata e Hayao Miyazaki. I due film - così diversi eppure così vicini come due facce di una stessa medaglia - riscossero un notevole successo e grande risonanza tra i fan e gli addetti ai lavori, ma non realizzarono grossi incassi al botteghino. Tuttavia Totoro fece la fortuna dello studio nel ramo merchandising, divenendone il logo ufficiale e il simbolo stesso di un'intera poetica.

Satsuki e Mei sono due sorelle, di undici e quattro anni, appena trasferitesi con il padre in un piccolo villaggio di campagna per potere stare più vicini alla madre ricoverata in ospedale. La piccola Mei, esplorando i paraggi della nuova casa, s'imbatte in un maestoso albero di canfora attorniato da corde di paglia di riso (simbolo scintoista di purificazione) all'interno del quale vive un enorme creatura soffice e pelosa: è Totoro, uno spirito 'kami' della foresta. Questi si rivelerà buono e amichevole, e verrà in soccorso della piccolina quando questa, avventuratasi da sola a consegnare un dono alla sua mamma, si smarrirà nel dedalo dei sentieri campestri.

Il candore e la purezza d'animo consentono ai bambini di vivere in una dimensione magica e immaginifica spesso incomprensibile a certi adulti, i quali, ingabbiati nella routine e nei ritmi della vita moderna, dimenticano di essere stati essi stessi fanciulli. La grandezza di Miyazaki, riconosciuta sia per la bellezza formale delle sue immagini sia per la profondità dei suoi messaggi ambientalisti, consiste anche nella sua sensibilità più unica che rara nel trattare il tema dell'infanzia.
In questo caso l'autore, che racconta una storia in parte autobiografica, ci dimostra come dalle piccole cose possano nascere grandi e sorprendenti scoperte e come un normalissimo episodio di vita quotidiana possa trasformarsi in una straordinaria avventura ricca d'incredibili eventi e mirabolanti prodigi, se solo lo si guarda con gli occhi giocosi e meravigliati di un bambino.
L'amore del regista per i suoi personaggi è palpabile nei teneri ritratti delle due sorelline: Mei con la sua dolce ingenuità e la sua incrollabile curiosità è l'incarnazione stessa della gioia di vivere; Satsuki, matura e consapevole, aiuta responsabilmente il padre nelle difficoltà, ma non dimentica di essere una bambina, si trova perfettamente in sintonia con la sorellina e insieme vivono l'avventura con Totoro.
Ma il "dio degli anime" riserva sempre un posto di riguardo anche ai 'giovani con le rughe', qui rappresentati da Nanny che, nonostante il peso dell'età, lavora ancora nelle risaie, aiuta la famiglia Kusakabe nei lavori domestici e bada a Mei in assenza del padre e della sorella. È molto amata dalle bambine ed è lei a rivelare la natura dei Susuwatari (i nerini del buio): in tutta l'opera di Miyazaki il rapporto degli anziani con i piccoli è diretto e naturale, poiché l'età li ha riavvicinati, in una sorta di ciclico ricongiungimento della vecchiaia all'infanzia.

Immerso in un'atmosfera sospesa tra sogno e realtà, "Totoro" è un elogio della vita bucolica, una fiaba moderna e delicatamente infantile che ha molto da insegnare anche agli adulti. Vi sono espressi i temi classici della poetica 'miyazakiana' avvolti in un tepore intimista: l'amore per la natura, la gentilezza d'animo, la spiritualità di matrice scintoista e la nostalgia verso un passato idilliaco in cui l'uomo viveva in armonia con l'ambiente.
L'icona del grande albero, metafora della maestosità della natura, pur non essendo funzionale al racconto, è un simbolo importantissimo per il maestro: con la sua aura protettiva e materna è una costante nel suo universo narrativo già dai tempi della storica serie "Heidi", 1974, di cui curò lo scene design dei tre enormi abeti che sovrastano e proteggono la baita del nonno.
Da un punto di vista puramente stilistico le geniali invenzioni, le incredibili creature di fantasia, la grazia con cui sono tratteggiati i personaggi, la magia delle ambientazioni, l'intelligenza e la creatività di alcune scene fanno di questo film un autentico capolavoro di poesia: la sequenza del primo incontro di Mei con i tre 'spiriti', la notturna danza propiziatoria e l'apparizione del Nekobus sotto la pioggia battente sono momenti di grande cinema, di una bellezza stupefacente!
Il sapiente lavoro sui colori di Nobuko Mitsuta e le ispirate musiche di Joe Hisaishi vanno a incorniciare idealmente questo dolcissimo 'miracolo' animato.

Ci sono voluti vent'anni per poterlo vedere in una distribuzione italiana ottusamente in ritardo visti anche gli ammiratori eccellenti (Akira Kurosawa inserì "Totoro" nella sua personale lista dei cento film più significativi della storia del cinema e John Lasseter lo omaggia esplicitamente nel premio oscar "Toy Story 3"); ma bisogna riconoscere che in tutto questo tempo la freschezza e la garbata semplicità di "Tonari no Totoro" sono rimaste intatte e fanno di questo titolo una piccola pietra miliare nella storia degli anime e una visione indispensabile per ogni appassionato di animazione tout court.
Un classico da vedere e rivedere a ogni età.



6.0/10
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"Goshogun", noto in Italia come "Gotriniton", è un anime robotico del 1981, l'anno di "Golion/Voltron", "God Mars" e "Bryger". Sono gli ultimi anni del robotico classico, che ormai ha già superato il suo punto più alto e vive di rendita ripetendo stilemi ormai collaudati. Rispetto ai suoi contemporanei "Goshogun" è una serie leggera, all'americana nel senso di "take it easy", ben lontana dalle classiche atmosfere drammatiche del robotico, genere pieno di tragedie, morti e distruzioni. In "Goshogun" nessuno si fa male e i protagonisti passano il tempo a bere il tè e a fare battutine tra loro. Tuttavia, pur con la presenza di varie scenette umoristiche/demenziali, "Goshogun" non è una serie comica alla "Trider G7".

I combattimenti robotici sono di infima qualità: Goshogun appare verso la fine dell'episodio e dopo la sua rituale trasformazione sconfigge il robot nemico in pochi secondi, senza essere mai in difficoltà. D'altra parte il mecha design del robot è molto buono. I tre piloti non hanno una grande personalità e sono piuttosto dimenticabili, tranne la bionda Remì, che si distingue per i suoi discorsi pseudo-femministi (si vede che gli anni Ottanta erano arrivati anche in Giappone), la sua mania per l'ora del tè e il suo desiderio insoddisfatto di trovare un fidanzato. Remì non è un grande personaggio e pilota un robot inutile, ma ha un buon chara design e in italiano è doppiata da Daniela Caroli, voce molto famosa per i conoscitori degli anime d'annata, quindi risulta sopra gli altri. Successivamente diventerà anche la protagonista unica del film "Time Stranger". Ma il vero protagonista di "Goshogun" è il bambino Kenta, che in un episodio prende addirittura il posto di comando del robot. Le 26 puntate descrivono tre anni della sua vita, dai dieci ai tredici anni, fino alla puntata finale, in cui Kenta è fondamentale per la risoluzione storia, basata sull'escamotage del deus ex machina, già visto in altri robotici.

Goshogun presenta qualche caratteristica originale, come per esempio il fatto che non combatte contro nemici alieni o antiche civiltà, ma semplicemente contro un cartello criminale (Veleno Nero) che controlla l'economia del pianeta. In ogni puntata ci viene detto con molto dettaglio quanti milioni di dollari vengono spesi nella lotta contro Goshogun e quanti ne vengono guadagnati con le loro operazioni truffaldine. Nel complesso però l'anime vive su idee collaudate: i protagonisti girano per il mondo a bordo della loro base Beamler, come succedeva in "Gaiking"; il Beamler è dotato di una misteriosa potentissima energia di origine aliena, come in "Gordian" e in "Ideon"; la struttura è la solita di tutti i robotici. L'anime si vede comunque piacevolmente per la simpatica colonna sonora e per la leggerezza. Sorprende che sia stato realizzato dalla Ashi Productions, la stessa casa che ha realizzato Baldios ("Goshogun" contiene anche un paio di camei di Baldios). Evidentemente dopo il fiasco di Baldios, il robotico più triste della storia, sospeso prima del tempo per bassi ascolti, venne deciso di ripiegare su un robotico leggero e decisamente per un pubblico infantile. Il risultato non è dei migliori ma neanche dei peggiori. Vale la pena di ricordare che l'autore e regista di "Goshogun", Takeshi Shudo, l'anno dopo diventerà famosissimo con "Minky Momo", uno dei majokko più celebri degli anni Ottanta. Evidentemente è un autore adatto a quel genere e non al robotico.

Curiosità: il capo della base Beamler, Sabarasu, è un omaggio all'attore Telly Savalas ("Sabarasu" è la grafia giapponese di "Savalas"), nel 1981 famosissimo per il telefilm Kojak. La sua pelata è inconfondibile.



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Una storia ambientata nel futuro prossimo con detective privati, uomini d'affari senza scrupoli e belle donne (spesso svestite), con un contorno metropolitano cupo e altamente tecnologico: "Goku Midnight Eye" si può riassumere così, e non è che ci sia poi molto altro da dire.
Il nome del protagonista e le sue abilità con il bastone sono chiaramente ispirati alla figura di Son Goku (personaggio molto famoso nella cultura orientale nonché pluricitato in numerosi anime e manga), dotato in questo caso, oltre che del tipico bastone, anche di una sorta di superpotere tecnologico: un occhio artificiale computerizzato in grado di interfacciarsi con qualsiasi rete informatica (e più in generale con qualsiasi apparecchiatura) per recuperare informazioni o prenderne il controllo. Quest'abilità risulta molto utile al protagonista, che in tal modo riesce ad affrontare virtualmente qualsiasi nemico, compresi quelli molto più forti di lui fisicamente.

Cominciamo con il dire che tecnicamente l'anime non se la cava male, considerando che stiamo ancora parlando degli anni '80. Le animazioni sono generalmente fluide e si nota un interessante uso di colori e ombreggiature marcate nel disegno di personaggi e ambienti, cosa che fa molto "cyberpunk". La città della vicenda, sempre buia e illuminata da luci artificiali, richiama subito alla mente le megalopoli di "Blade Runner" o di "Akira"; i personaggi sono generalmente ben disegnati.

Detto questo, bisogna però riconoscere una pochezza di fondo nei contenuti che è piuttosto evidente fin dall'inizio. Il protagonista, in particolare, risponde a tutti i cliché dell'investigatore cinico e solitario che ha fatto scuola da Marlowe in poi, con in più una spruzzata di superpoteri fantascientifici che lo rendono quasi onnipotente (superpoteri che oltretutto riceve senza una vera spiegazione - ma probabilmente non c'è stato il tempo di darne, visto che l'anime si esaurisce in 2 OAV). I cattivi naturalmente sono cattivissimi e senza scrupoli, le donne bellissime e spesso ignude (per quanto l'erotismo in questa serie sia davvero molto leggero, quasi di contorno) e la violenza un po' splatter nei combattimenti è immancabile.

Quel che meno convince è forse l'eccessiva seriosità nei toni, con un continuo e ridondante omaggio alle mode fantascientifiche del periodo (leggasi cyberpunk) e un protagonista dal comportamento monocorde, tenebroso e cinico, ma che in fondo in fondo si mette al servizio della stangona di turno per fare trionfare la giustizia. La vicenda peraltro non decolla mai: mentre nel primo episodio si fa perlomeno conoscenza del personaggio principale e i suoi poteri, nel secondo non si aggiunge nulla di nuovo e pare anzi solo l'episodio di una presunta serie che non è più proseguita, per ragioni commerciali, presumibilmente, anche se pure l'ispirazione artistica pare venir subito meno.

A conti fatti, "Goku Midnight Eye" non resiste granché alla prova del tempo, risultando ora come un anime scarsamente ispirato e deboluccio dal punto di vista della sceneggiatura e della caratterizzazione dei personaggi o forse, proprio in virtù di questi suoi difetti e della sua ambientazione, vale almeno un'occhiata per chi è incuriosito dalla fantascienza pop negli anime di fine anni '80.