Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Appuntamento odierno dedicato ai classici con Mary e il giardino dei misteri, Sandy dai mille colori e Astroboy.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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"Mary e il Giardino dei Misteri" è un meisaku canonico, tratto dal romanzo "The secret garden" di Frances Hodgson Burnett, pubblicato per la prima volta nel 1911. Scrivo canonico perché ci sono tutti i temi tipici del genere: la bambina orfana, il burbero vecchio zio, il bambino paralitico, l'ambientazione vittoriana, le scene bucoliche e l'immancabile lieto fine commovente. L'anime ha notevole somiglianze con "Lovely Sara" e "Il piccolo Lord", non a caso opere della stessa autrice; del resto Frances Hodgson Burnett vince la palma di autrice più trasposta in meisaku. Anche Hector Malot ha tre meisaku al suo attivo ("Remì", "Peline Story" e "Dolce piccola Remì") ma "Remì" appare due volte, quindi non conta.

Alcuni considerano canonici solo i meisaku della Nippon Animation e gli altri imitazioni; io invece mi baso non sulla casa produttrice - in questo caso è la NHK - ma sulle caratteristiche distintive del genere e "Mary e il Giardino dei Misteri" è canonico in questo senso. Gli anni novanta sono anni in cui il meisaku perde il favore del pubblico, tanto che il numero solito di puntate viene ridotto: lo si vede anche in "Mary", meisaku di "sole" 39 puntate invece delle classiche 52. In questi anni il meisaku viene anche censurato ed edulcorato rispetto agli standard degli anni settanta e ottanta. Fortunatamente nel 1991 la decadenza è agli inizi e si trovano ancora delle serie pregevoli; negli stessi anni di "Mary" uscivano meisaku di serie A come "Papà Gambalunga" (1990) e "Cantiamo Insieme" (1991), l'anno dopo uscirà il buon "Nello e Patrasche", remake del classico del 1975.

"Mary e il Giardino dei Misteri", paragonata ai suoi contemporanei e ai suoi predecessori (in particolare "Lovely Sara" e "Il Piccolo Lord") è un meisaku minore. È evidente che sono state effettuate delle interpolazioni per renderlo più appetibile ai piccoli spettatori: per esempio un notevole spazio è assegnato al gatto di Mary che non esiste nel libro originale. Invece l'abilità di Dick (il migliore amico di Mary) di parlare con gli animali è presente anche nell'originale, per quanto possa apparire inverosimile. Il cambiamento principale è comunque l'introduzione della "strega" Camilla e della storia che la riguarda, completamente inventate di sana pianta. Va detto comunque che il libro originale non è certo il migliore dell'autrice, essendo un po' troppo semplice e semplicistico: è stato chiaramente necessario aggiungere molto materiale per adattarlo alla lunghezza del meisaku.

L'anime inizia in maniera lenta ma è in costante miglioramento e non è privo di spunti interessanti e meritevoli di attenzione. In primo luogo il carattere di Mary, ragazzina scorbutica e maleducata, soprattutto nei primi episodi: nel seguito diventa più gentile, ma rimane sempre e comunque dotata di un gran caratterino, ben lontana dalla "santità" dei protagonisti di altri meisaku. Lo stesso si può dire per il carattere del viziatissimo Colin, il bambino paralitico. Ma il peggiore di tutti è il signor Craven, il padre di Colin, un vero mostro dal punto di vista caratteriale. Tutti questi studi caratteriali sono realistici e molto indovinati, mentre Dick è un personaggio senza mordente. Certamente il meisaku sarebbe stato molto più drammatico se fosse stato realizzato qualche anno prima. Va detto però che il libro originale è abbastanza blando. Il finale è comunque ottimo, un punto in cui tutti gli spunti disseminati ad arte durante lo svolgimento della storia vengono sciolti in una scena di grande effetto: certamente non inaspettata, ma che dà piena soddisfazione allo spettatore.

Meritano un plauso gli ottimi colori e l'indovinato chara design di Mary, in particolare la sua "criniera" di capelli biondi. Il voto è più di un 7 ma meno di un 8: è sullo stesso livello di "Milly un giorno dopo l'altro", ma inferiore al "Piccolo Lord" e molto meno coinvolgente di "Lovely Sara".



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Vi sono vari presupposti per considerare "Sandy" la più sfigata tra le varie maghette Pierrot. Innanzitutto la durata: venticinque episodi appena a fronte dei 40/50 delle precedenti produzioni, coprendo così solo due stagioni televisive (primavera-estate del 1986) invece di un anno completo. Seconda cosa, i poteri dati a Sandy (che da ora chiamerò Yumi) non la rendono capace di trasformarsi, ma solo di creare qualcosa dal nulla, e questo è un inspiegabile passo falso nel filone majokko dello Studio Pierrot per diversi motivi; uno fra tutti la mancanza di quel percorso di maturazione che tanto aveva caratterizzato "Creamy" e "Emi", ma anche il conseguente allontanamento di un pubblico maschile, vista l'assenza di una attraente controparte adulta della bimbetta protagonista.

La visione dei primi episodi risulta in realtà gradevole, grazie al solito ottimo apparato artistico dello Studio Pierrot atto a rendere la città teatro della vicenda un luogo vivo e pulsante, a metà tra fiabesco e reale, a partire dall'adorabile casetta di Yumi che sembra uscita da un negozio di giocattoli, passando alla costruzione di legno costruita abusivamente da suo nonno nel bosco, fino all'abitazione sul mare di Kenta. Tutto bello, se non fosse che ben presto il nuovo staff (se escludiamo il character designer Kouji Motoyama), capitanato da un regista inesperto, si dimostra del tutto incapace di plasmare una trama un minimo interessante, "accontentandosi" di servirci una serie composta esclusivamente da episodi autoconclusivi (con addirittura tre riassuntivi), alcuni dei quali davvero di scarso appeal.

I personaggi che popolano "Pastel Yumi" si affidano al puro principio della casualità narrativa: il sogno di Yumi di diventare una mangaka, per esempio, non solo non viene sviluppato, ma neanche lontanamente accennato negli episodi più avanzati. I due folletti, dopo aver donato i poteri alla protagonista, non faranno assolutamente nulla per tutta la durata della serie, se non litigare come degli idioti; non parliamo poi delle questioni sentimentali, basate solo su banalissime gelosie e litigi di livello infimo. Ed è anche un peccato, dato che il cicciottello Kenta è diverso e decisamente più simpatico rispetto a un insopportabile Toshio, ma alla fine tutto rimane invariato.
È questo il maggior difetto di Pastel Yumi rispetto ad altri prodotti simili, la sua inerzia, la sua stabilità. Yumi, così come la conosciamo nel primo episodio, tale sarà nell'ultimo, e lo stesso vale per gli altri personaggi, se si escludono gli assurdi sbalzi di umore del maggiordomo Kunimitsu Saburo. Le carenze di sceneggiatura di questa serie sono così evidenti, se confrontate con i percorsi di crescita di Yuu Morisawa e Mai Kazuki, e saranno artefici anche del "periodo di riflessione" che lo Studio Pierrot si concederà prima di tornare sul genere, con Fancy Lala, decisamente fuori tempo massimo.

Di buonissima qualità invece la soundtrack, forse a tratti superiore anche a quella del precedente "Emi", mentre le sigle si attestano sugli standard del periodo. Solita frittata di nomi italianizzati da parte di Mediaset così come era lecito fare in quegli anni, con dei nomi di così scarsa inventiva (Maurizio, Ciccio, Carmelo...) da non meritare neanche un commento in proposito. Bravi invece tutti i doppiatori.
In definitiva, consiglierei "Sandy dai Mille Colori" solo ai fan dei majokko più sfegatati, e ai nostalgici degli anni ottanta; gli altri possono dedicare le loro attenzioni a prodotti con ben altri meriti storici e narrativi.



8.0/10
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Mi sono imbattuto in pareri discordanti sui cinque volumi editi dalla Planet e sul manga di Astro Boy in generale. In primo luogo, penso di poter comprendere l'astio di chi avrebbe voluto che l'edizione italiana comprendesse tutti i ventitré volumi della serie originale, ma al contempo mi ritengo soddisfatto di questa selezione di racconti: sono convinto che dia comunque un'ottima idea del "fenomeno Astro Boy" e del perché Atom sia un personaggio così popolare, tanto da assurgere a simbolo quasi incontrastato di manga e anime giapponesi nel panorama internazionale. In secondo luogo, mi avevano detto che è un manga sulle cui spalle grava pesantemente la sua età (più di cinquant'anni, considerato che fu pubblicato dal 1952 al 1968): su questo punto dissento totalmente poiché, nonostante in effetti alcune storie di Astro Boy siano piuttosto ingenue, "vecchie" e alcune persino inconcludenti (mi viene in mente quella in cui ci viene presentato Cobalt, il fratello (?) di Atom, una brutta copia spiccicata del robottino a ragione ben più famoso, e che scompare improvvisamente così com'era apparso), altre invece dimostrano una profondità intrinseca dotata di grande fascino, oltre che ad essere quasi sempre molto divertenti e godibili.

L'ossatura alla base delle storie di Astro Boy è questa: in un futuro ormai passato (Atom nasce ufficialmente nel 2003, e i giapponesi hanno festeggiato il suo compleanno dieci anni fa come se si trattasse di una persona in carne ed ossa), la vicenda ruota attorno ad Atom, piccolo robot a propulsione atomica e dalla potenza di centomila cavalli vapore (una definizione dal gusto retrò che non posso fare a meno di adorare) inventato e costruito dal geniale scienziato Tenma nel tentativo di sostituire il figlioletto deceduto in un grave incidente d'auto. Resosi conto che una macchina non può rimpiazzare un figlio perduto, fugge abbandonandolo; da quel momento in avanti, a prendersi cura di Atom sarà Ochanomizu, il dottore dal naso prominente che anticipa una sequela di personaggi dello Star System tezukiano che appariranno di lì in poi, e Baffone (Higeoyaji, in lingua originale), un simpatico insegnante col pallino per l'investigazione (anche lui appare in Kimba e in diverse altre opere del maestro).

Di qui una serie di avventure, di casi da risolvere, di battaglie a colpi di propulsione atomica, mitra che escono dalle natiche (!) e tanto buon cuore. Atom è sì fatto di meccanismi e ingranaggi, ma ciò nonostante è una macchina spesso più pura e buona di certi uomini efferati e senza scrupoli, un robot molto umano che si fa portavoce dei diritti dei robot (tenendo conto anche del fatto che questi non possono ferire in alcun modo gli umani, con un chiaro riferimento alle leggi della robotica di Asimov). Man mano che proseguivo la lettura racconto dopo racconto sentivo di volerne ancora, ma i cinque volumi della Planet sono comunque molto soddisfacenti. In particolar modo, ho apprezzato la possibilità di leggere il racconto originale che ha ispirato il recente Pluto di Naoki Urasawa, ovvero "Il più grande robot del mondo": leggere tanta genialità in una storia estremamente semplice attraverso balloon e tavole scritte e disegnate negli Anni Cinquanta mi ha aperto gli occhi su un mondo sterminato di cui Astro Boy ne è solo un popolare esempio. Mi sentirei di consigliare la lettura almeno di questa storia, ma complessivamente consiglio Astro Boy su tutta la linea.