Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con l'anime Love Live! 2, il manga Ushio e Tora e il live action Sonatine.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Seconda stagione di "Love Live!", uscito nel 2014 e composto anch'esso da tredici episodi. Di fatto, rispetto alla prima serie, si aggiunge ben poco, anzi, i protagonisti rimangono pressoché uguali e anche l'obiettivo è invariato. Sinceramente, una volta concluso, non sapevo bene come valutarlo, in quanto il confronto tra quest'opera e il suo predecessore è inevitabile: la prima stagione era risultata interessante per la formazione del gruppo, mentre, di fatto, questa lo è per l'effetto opposto.
Le "μ's" sono composte da studentesse di tutti e tre gli anni, dunque non può che sorgere il problema di cosa fare una volta conclusa la carriera scolastica di alcuni dei suoi elementi. Smettere? Continuare con lo stesso nome? Creare un gruppo nuovo? Insomma, un dilemma alquanto complesso, che attraverserà tutti e tredici gli episodi.

Ma incominciamo dal principio, mostrando come, più o meno inaspettatamente, l'irresponsabile e spensierata Honoka è riuscita a ottenere l'incarico di rappresentante degli studenti (eh? Va bene che è la protagonista e la leader del gruppo, ma l'avete vista cari studenti? Una più incapace di lei non c'è in questo settore). Lasciando da parte questa elezione sorprendente, passiamo a descrivere la vita delle nostre nove idol successivamente al ritiro dal Love Live. La malattia di Honoka non ha permesso loro di partecipare al torneo, come si è visto nella passata stagione, ma, guarda caso, una nuova opportunità è alle porte. Visto il successo del precedente Love Live, gli organizzatori hanno pensato bene di bandire un nuovo Love Live, leggermente diverso dal precedente, ma comunque di prestigio.
Le "μ's", dopo alcune titubanze legate soprattutto ai timori di Honoka, decidono di buttarsi nuovamente in quest'avventura. Creano nuove canzoni e cercano in tutti i modi di migliorare le loro prestazioni, visto anche l'inevitabile scontro con le "A-rise" (che, personalmente, trovo molto migliori). Ce la faranno oppure saranno nuovamente costrette ad arrendersi al fato? Ma, soprattutto, riusciranno ad affrontare l'inevitabile separazione che giungerà al termine del Love Live?

Per quanto riguarda l'analisi dell'opera, c'è effettivamente poco da dire: i personaggi sono gli stessi della prima serie e, a parte un'analisi più approfondita della famiglia di Nico, le altre ragazze non mostrano niente di nuovo. Interessante anche la comparsa delle "A-rise", che, questa volta, entrano nel vivo dell'anime, presentandosi alle "μ's". Più spazio alle sorelline di Honoka ed Eli, che vogliono entrare anche loro nella Otonikizaka, ma il loro ruolo è più che altro circoscritto alla richiesta di entrare in futuro nelle "μ's" e ai dubbi che nascono nell'attuale gruppo di idol.
La storia in sé l'ho trovata piuttosto banale e alquanto stereotipata; come al solito emergono i classici sentimenti straripanti delle protagoniste, che mostrano tutta la bellezza e la forza di una sincera amicizia. Insomma, tutto bello, peccato che, preso in dosi elevate, può portare alla nausea. Anzi, rispetto alla prima serie, manca anche l'effetto sorpresa dell'entrata di nuovi membri. Tutto verte su due temi principali: l'imminente Love Live e i dubbi esistenziali sul futuro delle "μ's". Ad essere onesti, mi sarei aspettato qualcosa di più.

La grafica non cambia poi molto rispetto al suo predecessore, anzi, praticamente è identica. Bene per quanto riguarda i colori e i disegni, ma ancora non ci siamo per i balletti, che appaiono troppo computerizzati e dai movimenti robotizzati. Un'accozzaglia di marionette che si muovono in gruppo.
Belle le musiche (ci mancherebbe), ma rivaluterei un attimo la giuria del torneo... perbacco (e uso proprio questa esclamazione), sono assolutamente più brave le "A-rise". Va bene la forza dell'amicizia e tutto, ma almeno create delle canzoni leggermente peggiori, così da apparire effettivamente inferiori a quelle delle "μ's". Va beh, in fin dei conti si tratta di gusti personali.
Discreto anche il lavoro della regia, che, in soli tredici episodi, riesce a concludere la storia, lasciata in sospeso nella passata stagione, e darle un senso compiuto.

E dunque che dire? Tutto sommato si tratta di un'opera avvincente che, nel suo piccolo, riesce a emozionare e coinvolgere. Non è proprio il mio stile preferito e forse questo pregiudica la mia valutazione, ma i gusti personali non possono essere cancellati del tutto. Un serie carina, che si conclude però nel più classico dei modi. Bello eh? Ma fin troppo scontato e melodrammatico.

P.S. Mi mancherai Maki. Senza dubbio la migliore delle "μ's".

Voto finale: 7 meno




10.0/10
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La trama all'inizio potrebbe sembrare banale, ma col proseguire della storia si arricchisce di elementi originali, e spesso il modo in cui i nostri protagonisti riescono a tirarsi fuori dalle brutte situazioni non è per nulla scontato. Niente viene lasciato al caso e nessun elemento viene trascurato o dimenticato; non ci sono incoerenze; tutti gli elementi sono armoniosi e ben inseriti.
Non mancano i momenti leggeri e divertenti, specie tra Ushio e Tora. Essi contribuiscono ad alleggerire l'atmosfera, ma senza essere eccessivi: ci sono i momenti per essere seri e quelli per far ridere.
Ciò che rende fantastico questo manga è il finale: mentre leggevo la prima parte pensavo sì che fosse un manga interessante, ma non ero al punto da definirlo un capolavoro; tuttavia il finale ha piazzato questo manga nella mia classifica di quelli più belli. Esso però non viene così dal nulla; per costruirlo tutta la parte prima è necessaria. Vi renderete quindi conto che molti episodi, o cose, che sembravano fini a se stessi o marginali, in realtà hanno significato e fanno parte di un grande disegno.
Subito dopo averlo terminato, Ushio e Tora è diventato quindi uno dei miei manga preferiti.

I personaggi sono numerosi e aumentano col passare dei capitoli, ma sono tutti molto ben caratterizzati, sia umani che mostri. Gli stessi mostri non hanno un ruolo marginale, ma diventano loro stessi parte fondamentale della storia (lo capirete meglio leggendo).
Se Ushio può ricordare abbastanza il tipico protagonista shonen, non si può dire lo stesso per Tora, che ha un ruolo molto atipico e, anche quando pensate di averlo capito, continua a sorprendere nella sua personalità e modo di agire. Ci si affeziona molto ai personaggi.

Il disegno migliora lungo la storia, anche se chiaramente parliamo di una serie dei primi anni '90; lo stile, quindi, è tipico di quel periodo. Si adatta comunque alla storia e alle azioni descritte; il tratto migliora sempre più, diventando in certe scene molto particolareggiato.

L'edizione purtroppo risente sia dell'età sia del fatto di essere passata per due editori, quindi specie nei volumi Granata Press tendono a scollarsi le copertine; quelli Starcomics invece denotano una maggiore cura, anche se sono nel classico formato anni '90 senza sovraccoperta e molto essenziale. Cambia anche il numero di pagine: a un certo punto della storia si passa da cento e qualcosa a duecento pagine, quindi i 14+33 volumi, in realtà, se dovessero essere tutti composti duecento 200 pagine, sarebbero meno.

Prima di arrivare al finale non gli avrei mai dato 10 ma, dopo averlo letto e aver anche capito come tutta la parte precedente concorra a crearlo, il 10 viene spontaneo.
Lo consiglierei davvero a tutti; non mi sento di fare delle distinzioni tra tipologie di pubblico.




9.0/10
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Un uomo, con il sorriso da giullare e gli occhi neri come l'abisso, si sta puntando una pistola in testa. Il suo è un atteggiamento beffardo, ma allo stesso tempo freddo e consapevole; per Murakawa, gangster al termine della sua carriera criminale, la morte sembra essere diventata una compagna in grado di dare conforto, una meta da raggiungere per trovare, dopo una vita di paura e violenza, la pace interiore. Questa scena chiave, in grado di condensare la poetica di Takeshi Kitano in una sola immagine, è sia un punto di partenza che un punto di arrivo, attorno al quale il regista costruisce un mosaico in grado di andare oltre i classici topoi del gangster movie, al fine di veicolare una potente riflessione inerente la condizione umana. Una condizione dettata irrimediabilmente dal cambiamento - quella medaglia le cui facce sono la vita e la morte - e dal rapportarsi dell'uomo con esso, sino alle tragiche conseguenze della sua irrimediabile lotta contro l'impermanenza delle cose.

Il contrappunto tra "sonno" e "risveglio" è un simbolismo caratteristico del film. Il protagonista viene mandato dal suo boss - che ovviamente intende tradirlo - in un posto in cui il tempo sembra essersi fermato; ivi Murakawa, ormai vecchio e stufo di fare lo yakuza, torna bambino; si mette a giocare sulla spiaggia con i suoi scagnozzi, i quali diventano le vittime dei suoi scherzi infantili; ride, balla, lotta, si diverte con Miyuki, una ragazza salvata per caso da uno stupro, e instaura con lei un rapporto stranamente innocente, puro, diretto. Parlando con questa donna, Murakawa guarda indietro, nel suo passato, e non trova nulla, a parte la necessità di confrontarsi con la morte per sentirsi veramente libero.

Sei un duro! Mi fanno impazzire i duri...
Se fossi un duro non porterei la pistola.
Ma tu sei veloce a sparare!
Perché sono veloce ad avere paura.
Ma della morte non hai paura.
Quando vivi nella paura arrivi al punto che vorresti essere morto (sorride).


Nei film di Kitano, gli uomini sono assimilabili a degli automi completamente succubi delle circostanze esterne, del passato, di loro stessi; dei veri e propri tragici greci schiavi di un sistema rigido, imperturbabile e impersonale - sia esso la società, la mafia, in ultima sintesi la natura -, i quali non possono fare a meno di adattarsi ad esso e alle sue regole, senza tuttavia perdere la libertà di violarle - pagando un caro prezzo. Nella poetica del regista, è il modo in cui si muore che fa la differenza: per Kitano morte e vita hanno lo stesso valore, pertanto il riscatto finale dei suoi antieroi equivale al coronamento del loro percorso formativo, tristemente osteggiato dalle insormontabili circostanze esterne. Soltanto con la consapevolezza filosofica della morte si può comprendere veramente la vita. Tali riflessioni del regista trovano curiosamente molti punti in comune con gli insegnamenti dei mistici di tutte le epoche.
Fondamentale è la scena in cui Murakawa e i suoi scagnozzi ballano all'interno di un cerchio tracciato sulla spiaggia, muovendosi come dei robot e comportandosi come dei buffoni; essi si prendono gioco del loro stesso destino, della loro miserabile condizione, e lo fanno lucidamente, perché sanno che qualcuno prima o poi verrà ad ucciderli, eseguendo un ordine dettato dall'alto - ed ecco che, in questo caso, lo sfuggente ed anziano leader degli yakuza diventa assimilabile ad una sorta di demiurgo il cui compito è di applicare le crudeli leggi del mondo.

Contrariamente al film di debutto "Violent Cop", vero e proprio gangster movie dai toni esasperatamente cupi ed angosciosi, "Sonatine" presenta un montaggio alquanto particolare (curato da Kitano in persona) nel quale il flusso temporale degli eventi procede in modo discontinuo, quasi come le tavole di un fumetto, in modo da creare un effetto straniante nello spettatore. Lo stile minimalista del Kitano regista/montatore viene definitivamente consolidato con questo film, il primo grande traguardo della sua poetica dopo la fase di transizione delineata da "Boiling Point" e dal personalissimo "Il Silenzio sul Mare".
Nonostante queste premesse, "Sonatine" è comunque un film realistico, nel quale si muovono personaggi perfettamente plausibili in una società giapponese messa completamente a nudo. In particolare, come accadeva altresì in "Violent Cop", la violenza non viene affatto spettacolarizzata: è cruda, secca, priva di alterazioni sonore. Nel suo realismo, la violenza dei film di Kitano contribuisce a creare frammentazione e contrasto, spezzando i momenti di quiete, poesia ed escapismo con potenti scariche di "realtà" - si pensi anche al successivo "Hana-bi", in cui questa discontinuità è ancora più marcata.

Di grande contributo al particolare mood dell'opera sono le composizioni del celebre Joe Hisaishi: brani potenti come "In the Beginning" sono in grado di calare immediatamente lo spettatore nell'atmosfera del film, e si fondono maestosamente con quel mosaico di immagini drammatiche le quali, nella loro totalità, costituiscono un vero e proprio monumento all'arte dell'uscire di scena, del mettere la narrazione in secondo piano per andare più in profondità, in quel minaccioso mare che si rivela affascinante, quieto, ma allo stesso tempo terribile, senza pietà alcuna per quelli che se ne stanno lì, sulla riva, a giocare, danzare e ad ammirarlo in tutta la sua enigmatica vastità.