Personalità di rilievo del panorama fumettistico italiano, al centro di tanti progetti legati al mondo dei comics, del cinema e della letteratura, Roberto Recchioni è uno scrittore, sceneggiatore, e disegnatore romano, classe ‘74. La sua carriera parte da lontano, con le autoproduzioni e la fondazione della casa editrice indipendente Factory, approdato poi a innumerevoli collaborazioni con le maggiori case editrici (Comic Art, Rizzoli, Magic Press, Astorina, Eura Editoriale, Bonelli, Disney, Panini, Star Comics, Heavy Metal), ha scritto per icone storiche come Tex, Diabolik e Topolino, e creato personaggi originali fra i quali John Doe, Detective DanteOrfani. Attualmente sta rilanciando un autentico cult come Dylan Dog, pronto a festeggiare i suoi trent'anni alla prossima Lucca. Nel tempo Recchioni ha compiuto un percorso di maturazione che ha trovato un apice quando è stato scelto come Magister 2017 del Napoli Comicon, successore di artisti del calibro di Milo Manara e Silver.

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Il Bari Geek Fest, tenutosi dal 27 al 29 maggio scorso presso il PalaFlorio nel rione Japigia, ha ospitato Recchioni nell’ambito di due conferenze: Il ritorno di John Doe; e Dylan Dog – 30 anni di incubi. Il BGeek ha anche dedicato una mostra personale all'autore romano, offrendo al pubblico un'ampia panoramica sulla sua attività di disegnatore. Ben settanta opere esposte dal 18 maggio al 18 giugno presso il Museo Civico di Bari situato in Strada Sagges 13.
Di seguito riportiamo il testo integrale delle due conferenze e una breve intervista rilasciata alle telecamere di AnimeClick.it.

Roberto Recchioni - Il ritorno di John Doe. BGeek 2016 Photo by AmimeClick.it.JPG

Roberto Recchioni - Il ritorno di John Doe, moderatori Raffaele Caporaso e Pasquale Gennarelli, BGeek, sala Tatooine, 28/05/2015.

Parliamo del ritorno di un tuo fumetto realizzato tanti anni fa ma ancora molto attuale in questo periodo, si tratta di John Doe, pubblicato in una nuova edizione da Bao Publishing. questo è un ritorno importante, quanto sei stato soddisfatto a livello artistico ma anche umano di questa nuova edizione di questo tuo fumetto che hai condiviso con tanti artisti ma soprattutto con Lorenzo Bartoli?

E’ stato un percorso strano. Da un punto di vista professionale le edizioni Bao hanno fatto un buon lavoro capitato in un momento particolare della nostra vita, con un grado enorme di consapevolezza e di follia, e questo è l'aspetto facile, l'aspetto più complicato è stato ritrovare Lorenzo (Lorenzo Bartoli, Roma, 1966 – 2014, n.d.r.), perché non si tratta di una semplice ristampa ma di una completa riedizione. Abbiamo rimasterizzato i dialoghi, non in maniera invasiva ma ritoccando le limitazioni tecnologiche che c'erano all'epoca, è stata un'esperienza molto particolare anche perché molte storie erano state create in momenti delicati della nostra vita, c'è tanto di noi in quel fumetto, in 13 anni di pubblicazioni nel nostro rapporto l'uno con l'altro John Doe entra prepotentemente, sul piano emozionale è stato piuttosto difficile da gestire, poi io non sono un sensibilone, non vi starò a raccontare i dettagli, ma è stata una forte emozione tornare a lavorare su John Doe. Sul piano professionale il discorso è diverso, 13 anni fa è uscito in un momento in cui tutti i bonellidi, cioè le testate non della Sergio Bonelli Editore ma che avevano il loro stesso formato, Lazarus Ledd era l'esperienza più lunga, era riuscita a sopravvivere e sembrava che quel tipo di esperienza fosse conclusa, l’Eura, nelle figure di Enzo Marino e Sergio Rossi, una mattina ci disse: perché non sviluppate un monografico (così lo chiamavano loro) di 94 pagine, avventuroso? Loro volevano qualcosa di piuttosto tradizionale, noi avevamo lavorato a delle storie libere per Lancistory e Scorpio, per me e per la famiglia di Lorenzo è importante vedere che John Doe a 13 anni di distanza è un fumetto che ha fatto la differenza sotto molti punti di vista, per i fumettisti che ha lanciato, per il modo in cui è entrato nel mercato, ma ora si presenta in una nuova veste e vorrei concentrarmi sul linguaggio. Il linguaggio nel fumetto come nella narrativa in generale è importantissimo.

Parlaci del tipo di formato che hai dato a quest'opera che è paradossalmente avveniristico per l’epoca, al tempo hai proposto uno storytelling molto televisivo, anche la costruzione del titolo con la scansione a stagioni risulta molto contemporanea. 13 anni fa io ero un bambino quest'opera non l’ho letta, lo ammetto, all'epoca magari leggevo ancora Disney o Marvel, quindi ritrovarla a 28 anni e pensare che ha 13 anni di vita mi meraviglia perché sembra scritta oggi. Nella nuova riedizione quanto è cambiato il linguaggio come impostazione e come interazione dei personaggi tra loro?

Il segreto del successo di molti fumetti che poi rimangono sta: o nel fatto che vivono il momento preciso, il momento del presente o nel fatto che lo anticipano. Io 13 anni fa avevo 29 anni, avevo già 10 anni di attività alle spalle, ero fissato di serie televisive, all'epoca cominciano ad arrivare i pezzi da 90, le serie che veramente hanno cambiato la televisione americana come New York Police Department, E.R. che aveva fatto la prima enorme differenza nei telefilm americani, inizia a esserci una scrittura di qualità che non si trovava più nel cinema, arrivano I Soprano, Buffy, Xena, HerculesThe Shield, poco prima c'era stato X-Files, chi stava attento capiva che nella serialità americana stava arrivando un onda lunga. Oggi parlare di serie televisive rientra nella normalità, all'epoca io litigavo con le persone perché parlavano di seconda serie quando realtà si riferivano alla seconda stagione! Quel tipo di linguaggio l'ho messo su John Doe, il pensare in stagioni e scriverlo con un linguaggio che si rifacesse alle serie americane dell'epoca, tutta una serie di meccaniche che derivavano dalla televisione americana di quegli anni è prettamente mia. Per farlo capire ancora di più i personaggi all'interno di John Doe parlano spessissimo di serie televisive. Vi confluivano dialoghi referenziali alla cultura pop, che sembra una cosa che ha inventato Tarantino, in realtà Tarantino l'aveva copiata da Elmore Leonard che per me è ancora oggi il più grande dialoghista che sia mai esistito sulla faccia della letteratura ed io li ho portati in John Doe. Il lato un po' più profondo è da attribuire a Lorenzo che portava una forte componente letteraria, i suoi scrittori preferiti erano DeLillo, Fante, Chiedilo alla polvere era uno dei suoi romanzi preferiti che confluirono poi nella sensibilità prettamente di Lorenzo. Fra virgolette avevamo ragione nel dire che all'interno di quel tipo di meccanismo seriale c'era qualcosa che sarebbe rimasto oggi, i fumetti sempre più spesso vengono pensati in stagioni e John Doe è stato il primo, siamo stati i primi a dire la prima stagione di John Doe dura 24 albi infatti si può creare un arco che parte da John Doe e arriva a Orfani che in questo momento è la conclusione di tutta una serie di esperienze che vengono anche da John Doe. Qui entriamo un attimo in un discorso tecnico, per preparare una serie Bonelli ci vogliono, quando le cose vanno bene, due anni, quando decidi di fare le cose con vera ambizione ce ne metti anche quattro, quattro e mezzo. Per mandare orfani in stampa ci abbiamo messo quattro anni, quando vuoi avete trovato l'albo in edicola io e Emiliano Mammucari, quattro anni prima avevano iniziato a pensarlo. John Doe è stato messo in cantiere in sette mesi, perché i tempi fuori dalla Bonelli sono diversi, i pagamenti sono diversi, facciamo una stima media: un disegnatore Bonelli era pagato all'epoca 3-4 volte più di un altro disegnatore e quindi dovevi trovare disegnatori bravi che si sarebbero prestati a lavorare su quel tipo di progetto a breve termine, disegnatori che avrebbero dovuto accorciare i tempi di produzione, oppure dovevi trovare disegnatori molto bravi che non erano ancora stati presi da Bonelli e che volevano farsi notare, nel momento in cui si facevano notare ti dicevano ciao e andavano in Bonelli.

Roberto Recchioni - Il ritorno di John Doe. BGeek 2016 Photo by AmimeClick.it (3).JPG

Per Dylan Dog sei stato molto attento nella scelta dei disegnatori e hai portato dei nomi che era impossibile immaginare prima sul personaggio.

Abbiamo fatto uno scouting feroce, il primo disegnatore, Emiliano lo portò Lorenzo che lo aveva conosciuto a una fiera. Emiliano aveva fatto delle produzioni indipendenti, era molto bravo ma in Bonelli ancora non c'era entrato, ci sarebbe entrato di lì a pochissimo, alla stessa maniera c'era Walter Venturi e anche lui era in odore di Bonelli ma non era ancora entrato, possiamo dire che abbiamo dato per certi versi un trampolino di lancio imprevedibile perché è anche vero che molti dei nostri autori sono poi andati in Bonelli, che era una cosa abbastanza normale, lo scopo che ricoprono generalmente le testate più piccole è proprio quello propedeutico a fare un salto di qualità su testate maggiori vale per tantissimi autori compreso lo stesso Manara che era partito con i porno. La cosa strana di John Doe è che lo ha reso estremamente di moda per i disegnatori di grande talento, alla prima fiera, era Napoli Comicon quando ancora si teneva al castello, un editor della Vertigo ha preso i numeri di John Doe che avevamo fatto e tornato in America ha iniziato a chiamare i nostri disegnatori. Werther Dell'edera venne chiamato alla Vertigo e diversi altri disegnatori hanno lavorato anche per la Marvel e per la DC, tra questi c'è il copertinista di John Doe, Massimo Carnevale, che fu il primo a venire contattato e dalle copertine di John Doe è passato a fare le copertine di Terminator, Batman Superman eccetera. Prima di John Doe Massimo non aveva pubblicato niente nel suo stile pittorico, aveva fatto Uomini e topi come fumetto, ma quello stile per le copertine è stato utilizzato per la prima volta su John Doe, e le copertine fanno parte del successo del personaggio. Le copertine delle mie cose nascono sempre dalla collaborazione tra me e il disegnatore poi dipende dal disegnatore che sia Angelo Stano o che sia Massimo Carnevale o Emiliano Mammucari, Gigi Cavenago o chiunque altro il lavoro sulle copertine è sempre un lavoro di concerto.

Più che parlare di John Doe la domanda che volevo fare è: in che modo oggi nelle tue produzioni possiamo vedere gli elementi che hai instillato in John Doe?

In termini produttivi c'era una costante ricerca di autori interessanti, in termini visivi e in termini narrativi una costante provocazione, nel senso che si doveva combattere in un ambito in cui le testate bonellidi fallivano nel momento in cui tentavano di fare l’imitazione di Bonelli, come dicevo prima gli albi Bonelli erano fatti con tempistiche e standard ineguagliabili, insomma scimmiottare la Bonelli veniva male, quindi la decisione che abbiamo preso con Lorenzo è stata di non replicare anzi di fare tutto ciò che la Bonelli non faceva, abbiamo cambiato la gabbia (la griglia in cui sono inserite le vignette, n.d.r.), abbiamo cambiato i tempi di lettura, prendendo spunto da Dylan Dog di Tiziano Sclavi, che aveva dimezzato i tempi di lettura rispetto al Bonelli tradizionale. Se prendiamo L'alba dei morti viventi (primo numero di Dylan Dog, n.d.r.) lo leggi in 10 minuti netti, perché c'è un tempo ultra dilatato, una narrazione veloce, quella cosa che si era un po' persa nel Dylan Dog di quel periodo io volevo riportarla pesantemente in John Doe, quindi alzare la velocità narrativa, cambiare la gabbia alla Bonelli, che imponeva tassativamente una gabbia a tre fasce perché è un trademark della Bonelli, quindi andava bene fare qualcosa che fosse completamente diverso, l'uso di splash pages, l'uso di una narrazione fortemente provocatoria, l'uso di un personaggio che Sergio non avrebbe mai pubblicato. Nelle prime pagine John Doe è un figlio di puttana!
Dopo l'uscita del primo numero Bonelli ci invita a pranzo, partiamo io e Lorenzo per Milano con un grosso punto interrogativo. Ci vediamo e ci fa: speravamo peggio. E’ stato il più grande complimento c'è mai stato fatto da Sergio Bonelli! Il secondo più bel complimento è stato: se l'avessimo fatto noi avrebbe venduto molto di più, ma non avremmo mai potuto farlo. Quello che è cambiato dall'epoca rispetto ad oggi è che io sono entrato in Bonelli e che poi quel tipo di esperienza è stata l'esperienza è stata permessa in Sergio Bonelli tanto su Orfani quanto su Dylan Dog, quindi ho portato quello che è stato il mio metodo di scrittura e di ricerca.
 
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Pensi che sia un metodo ormai consolidato, cristallizzato o che si possa evolvere in qualche modo nei tuoi prossimi lavori?

Io sono vecchio ormai, non credo che debba essere ancora io quello che porta le novità. Quello a cui stiamo lavorando in questo momento sono le prossime stagioni di Orfani, che per alcune soluzioni narrative è ancora più estremo di John Doe e anche molto più ambizioso e transatlantico, infinitamente più complesso, con il colore. Un mio progetto per la Bonelli da portare avanti in questo momento è le serie sui samurai, che è una cosa fortemente autoriale, l'idea è quella di 12 albi che rappresentino una graphic novel compiuta. Credo che per quello che riguarda me il discorso sia ampiamente esplorato, ma vado anche a cercare sfide diverse però è vero anche che alcune cose di quell'esperienza oggi in Bonelli sono diventate il sistema e non riguardano esclusivamente me.

La cosa che colpisce di John Doe è la sua rottura con i personaggi storici come Tex o Dylan Dog.

Guarda, io quando sento dire che Dylan Dog è un classico temo di non stare facendo bene il mio lavoro! Quando è uscito Dylan Dog devi pensare che in edicola c'erano Tex, Zagor, Mister No e Martin Mystere, che era quello strano, e Dylan fu un personaggio rivoluzionario, antieroe, con tante fobie, incapace di fare quasi qualsiasi cosa, con un tempismo una grammatica del fumetto folli e disegnata da uno che portava in Bonelli lo stile di Egon Schiele nei fumetti, ancora oggi fa strano. Io non ho avuto, con Lorenzo, l'idea di essere iconoclasti rispetto alla Bonelli ma piuttosto quella di capire che cosa funzionava di Dylan Dog, il fatto che fosse un fumetto completamente diverso, sorprendente, provocatore nei confronti del pubblico Bonelli, il numero 9 finisce con Dylan morto, all'epoca non era normale una cosa del genere, lo scopo era quello, Tiziano è stato uno dei riferimenti più importanti, tant'è vero che le prese per culo di Dylan Dog e all'interno di John Doe si sprecano, viene più volte parafrasato, è preso in giro perché è super sensibile e imbolsito, era un fumetto che provocava apertamente l'eroe di Tiziano. La cosa divertente è che se io sto dove sto adesso all'interno della Bonelli come direttore di Dylan Dog e perché Tiziano era un ammiratore di John Doe. Mi chiamò Mauro Marcheselli e mi disse: ma lo sai che a Tiziano e Cristina piace un sacco John Doe? In realtà John Doe è antitetico a Dylan nella misura in cui Dylan rappresentava quella sensibilità degli anni 90, l'uomo sensibile, un po' depresso, molto romantico, vegetariano, quindi è una reazione volutamente antitetica. John Doe è un figlio di puttana, se gli dai insalata lui la butta via e ti chiede una bistecca e c'è una serie di (dis)valori come le macchine di lusso, le donne più belle, ma poi viene punito in questo…

Com’era il rapporto di lavoro con Lorenzo Bartoli?

Funzionava così: io e Lorenzo ci vedevamo, ci dicevamo due stupidaggini e poi ognuno tornava a casa a scrivere il suo, io mi sono sempre occupato della continuità e Lorenzo si è occupato dei singoli episodi quindi non era difficile lavorare in quell'ambito, praticamente ci vedevamo quasi tutti i giorni per confrontarci sulle storie, ci davamo l'un l'altro molta libertà, avevamo dei soggetti di massima e poi li sviluppavano in maniera molto libera. John Doe nasce in una maniera strana, Eura ci chiese di realizzare questa serie, lavorammo molto sodo in quel periodo, all'inizio abbiamo ideato la storia di un vampiro surfista che surfava solo di notte, alla luce della luna ed era odiato dagli altri vampiri più classici. La notte prima di consegnare questo documento capisco che è una cazzata, lo spunto era carino ma non avrebbe mai retto una serie, chiamai Lorenzo e lui aveva la stessa idea. Attacco il telefono e riprendo in mano una storia che avevo scritto per Lanciostory che s'intitolava Trapassati e affini, mischiandola con un'altra storia mia che si chiamava la 25a ora. In Trapassati e affini c'erano tutti i prodromi di quella che sarebbe diventata la Trapassati Inc., in la 25a ora c'erano il Tempo e la Morte, però la Morte era un uomo, che ballavano sulla 25a un valzer nel ristorante al termine dell'universo. Poi prendo due storie di Lorenzo, La morte romana, un'idea in cui ogni città aveva una morte che era rappresentativa dello spirito di quella città. e un'altra storia sul dio dei luoghi comuni, le metto insieme in una notte piuttosto febbricitante, ne tiro fuori un soggettivo lungo una pagina, lo porto a Lorenzo, stiamo parlando di 13 anni fa i modem erano molto lenti! A Lorenzo piace tantissimo e la mattina dopo andiamo in Eura e lo consegniamo. Torniamo a casa sulla sua Alfa 33, che lo ha accompagnato tutta la vita, con le ruote fuori convergenza che viravano tutto a sinistra. Ci chiama l’Eura e ci dice che la serie si fa. Siamo passati da essere persone che non avevano mai pubblicato una albo di 94 pagine a persone che dovevano realizzare una serie. Non avevamo disegnatori, né copertinisti, ma avevano una serie! Mentre mangiamo il pesce per festeggiare chiamiamo Massimo Carnevale, al che abbiamo organizzato una specie di XFactor chiamando tutti i disegnatori indipendenti che lavoravano in piccole realtà a casa di Lorenzo. La Terrazza di Lorenzo è diventata poi il posto dove pensavamo e organizzavamo tutte le storie.
Come stata la genesi del personaggio di John Doe?

Quando ho scritto a Massimo Carnevale, il disegnatore, gli dissi che il modello era Tom Cruise di Vanilla Sky vestito come Brad Pitt in Ocean's Eleven, era facile, abbastanza riproducibile, poi come tutti i personaggi durano un attimo, si prende spunto da un attore poi l’artista inizia a disegnare e prende vita il personaggio vero e proprio. Un personaggio che ci ha divertito tanto è stato su idea di Lorenzo, quello di Tom Bosley che interpreta Pestilenza, abbiamo pensato: chi è che ti attacca il raffreddore? un amico, uno che ti sta vicino, quindi deve avere una faccia amichevole e allora abbiamo usato il personaggio di Happy Days.

Alla luce della nuova edizione con i dialoghi rimasterizzati, a distanza di tempo come ti sei riletto e come ti sei coniugato con il primo numero?

Non lo leggevo da tanto perché io tendo a rileggermi più volte una cosa che faccio subito appena esce ma poi me la scordo. Avevo molta paura, in realtà le cose che ho cambiato sono solo alcune volgarità nel senso di alcune uscite che aveva, o del tipo di vino che gli ho fatto bere, ho limato, ogni tanto c'era qualche ripetizione qualche ridondanza, non ho stravolto, una cosa importante che ha fatto la Bao per esempio è il riposizionamento dei balloon. L’Eura aveva un principio: i balloon si mettono dove si trovano, quindi in qualche vignetta della versione Eura il personaggio aveva un balloon in piena faccia! Ho tolto alcuni dialoghi, è stato come il lavoro che faccio oggi sulle sceneggiature degli altri, ho fatto l'editor di me stesso, era facile perché era un me stesso molto lontano.

Una domanda sul cambiamento della carta dal primo numero dell’Eura rispetto a questo ristampa della Bao.

La carta e la stampa Eura non hanno mai brillato da questo punto di vista, la grafica all'epoca l'abbiamo proposta noi, all'Eura abbiamo messo il nostro grafico, lo stesso principio vale oggi per la Bonelli, le opere che sono curate da me non hanno un grafico interno alla Bonelli, scelgo io il grafico da fuori e poi seguiamo insieme il progetto. L’Eura ricevette il progetto grafico del primo numero e lo stampò così com'era. Il nostro grafico di allora non era proprio il massimo della competenza e professionalità quindi sono molto felice delle nuove scansioni e della nuova veste grafica. Sulla pulizia delle tavole, è un fumetto che per la prima volta viene presentato così come era stato pensato e non voglio sembrare irriconoscente nei confronti dell'Eura, il debito che abbiamo nei loro confronti è infinito.
 


Dopo la conferenza abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con Roberto Recchioni nel backstage del BGeek. Di seguito riportiamo il resoconto dell'intervista.

Dal momento che lei ha avuto rapporti con innumerevoli disegnatori ce n'è qualcuno a cui è particolarmente legato o con cui si è sentito particolarmente in sintonia?

Tanti! Alcuni sono amici cari ad esempio Walter Venturi, insieme abbiamo fondato la Factory quando avevamo vent'anni, ancora oggi è un amico di una vita, però quello a cui ancora oggi sono legato ancora di più è Andrea Accardi che ha fatto il n.6, bisogna dire che quando l'ho chiamato per John Doe ero convinto che mi avrebbe detto di no, perché per me Andrea era un maestro del fumetto di un certo tipo, era un fighetto del fumetto dell'epoca e andava molto di moda, era irraggiungibile, il fatto che ci disse di sì, sconsigliato da tutti quelli che aveva intorno sul fatto di realizzare un bonellide sconosciuto, fu incredibile. Ancora oggi stiamo lavorando su una nuova serie di samurai, poi è riconosciuto come uno dei cinque migliori disegnatori italiani in assoluto, è stato il primo professionista che aveva una carriera alle spalle che ha detto di sì e quello ha cambiato tanto le cose. Ci ha fatto notare che un professionista forte iniziava a lavorare con noi e al contempo molti fumettisti che lavoravano con noi iniziavano ad essere chiamati da Vertigo e Bonelli. Per anni lavorare su John Doe era diventata una sorta di moda, negli anni 2000 qualsiasi book di qualsiasi aspirante fumettista conteneva almeno due tavole di John Doe, potrei fare un libro solo sulle tavole di John Doe. Quindi direi Accardi fra tutti quelli a cui sono molto legato.

AnimeClick.it è un sito che si occupa essenzialmente di anime e manga, quindi ha un carattere di ispirazione orientale, sappiamo dal suo curriculum che ha anche lavorato a dei soggetti di ambientazione orientale mi riferisco soprattutto a La redenzione del samurai e Long Wei: ci vuole parlare di questi due progetti?

Long Wei non è mio, io ho solo concepito l'idea, in effetti è di Diego Cajelli, invece La redenzione del samurai fa parte delle due storie che ho realizzato la testata Le storie della Sergio Bonelli e sono state raccolte in un volume edito dalla Bao, dal titolo Chanbara, in un volume di pregio con copertina in carta di riso. Sono storie di samurai che presto diventeranno una serie regolare per la Sergio Bonelli. Le ho scritte io e le ha disegnate Andrea Accardi. Sono un grande appassionato sia di manga e sia di cultura giapponese in generale, sono quasi primo dan di Kendo, è una storia lunga col Giappone. Il mio rapporto col Giappone nasce nel 77-78 con l’arrivo di Goldrake in Italia sulle reti Rai, è una storia d'amore che continua da lungo tempo.

C'è qualche mangaka che la colpisce in particolar modo nella scena contemporanea?

Nella scena contemporanea è più complicato, ma seguo con molto interesse One punch man.

Può parlarci della sua collaborazione con le riviste? lei ha anche fondato una casa editrice indipendente la Factory, volevamo che ci parlasse di questo suo rapporto tra le case editrici maggiori e il mondo indie.

Il mondo indie che posso raccontare io è la preistoria, nel senso che la Factory nasce prima del 2000, era una casa editrice indipendente ma in un contesto che adesso non esiste più, eravamo otto autori di vari gruppi editoriali indipendenti che facevano fumetti autoprodotti all'epoca e che si riunivano in una casa editrice ombrello che si chiamava appunto Factory. L'esperienza dell'autoproduzione è estremamente importante secondo me perché ti permette capire tutta una serie di problematiche sul che cosa significa mandare una rivista o un fumetto alle stampe, è una cosa che consiglio a tutti, però adesso il mondo è davvero cambiato rispetto all'epoca.

Lei ha una lunga esperienza ormai, cosa si sentirebbe di dire a un ragazzo che si affaccia oggi a questo strano mondo del fumetto e che magari ha intenzione di scrivere delle storie?

Di essere ossessionato. L'ossessione è l'unica cosa che ti permette di continuare a fare fumetti, se non sei ossessionato, se in qualche misura fare fumetto o aspirare a fare fumetto non ti sta rovinando la vita vuol dire che non lo fai abbastanza forte.
 

Dylan Dog – 30 anni di incubi. Roberto Recchioni, Werther Dell’Edera e Giorgio Pontrelli, moderatori Davide Tessera, Raffaele Caporaso e Pasquale Gennarelli, BGeek, sala Tatooine, 28/05/2015.

Partiamo dalla movimentata conferenza di Lucca 2013, in cui si annunciava la nuova fase di Dylan dog con Roberto Recchioni in veste di curatore. Sei soddisfatto dell’andamento della testata? E cosa è cambiato rispetto al passato con la tua gestione?

Circa tre anni fa Dylan era la seconda testata più venduta d’Italia, ma c’erano una serie di problemi, fra cui un calo annuale dei lettori che preoccupava la casa editrice. Qualcosa non funzionava
nel modo in cui era interpretato il personaggio, più che altro c’era una sorta di stanchezza del personaggio e Tiziano (Sclavi) non era contento, aveva espresso la volontà di cambiare e riportare Dylan ai livelli di un tempo al centro della comunicazione, e per farlo hanno indicato me come nuovo curatore. All’inizio ho rifiutato, avevo delle perplessità sulla difficoltà della sfida, oltre al discorso del tanto lavoro perché Dylan Dog è la testata che pubblica più pagine all’anno nella Sergio Bonelli Editore, tra le 3200 e le 3500 pagine all’anno. Riportare Dylan al centro del dibattito culturale avrebbe portato a determinate scelte che avrebbero spaccato il pubblico. Ad oggi, dopo tre anni possiamo dire che l’operazione è a un buon punto, ne siamo soddisfatti, siamo riusciti ad arrestare la forte erosione di pubblico, il primo anno abbiamo guadagnato lettori rispetto all’anno precedente. L’entropia è sempre inevitabile quando si è di fronte a personaggi con una storia così forte. Il creare due eventi l’anno per attirare l’attenzione dei lettori e migliorare, per quanto ci è possibile le storie, hanno aiutato il personaggio. Tutte le testate sono state ripensate, adesso ogni testata ha una sua identità, c’è il mensile che porta avanti un certo discorso che legato a una continuity che per ora è molto blanda ma diventerà sempre più serrata, c’è l’Old boy che presenta il Dylan cristallizzato nella forma della sua genesi, c’è il Color che sempre più è pensato per gli esperimenti grafici e narrativi, per altro è cambiata la periodicità, c’è il magazine annuale con storie in cui Block ha un ruolo più importante, infine c’è Il Pianeta dei morti che è lo speciale settembrino, è uno dei nostri albi più apprezzati, ambientato in un universo post-apocalisse zombie. Quindi siamo moderatamente contenti (essere troppo contenti è un pericolo!), andiamo verso il trentennale, in cui molto di quanto fatto troverà la massima espressione, fra le altre cose un albo speciale scritto da me e disegnato da Gigi Cavenago, dal titolo Madre addolorata, ci sarà il ritorno di Tiziano Sclavi alla sceneggiatura, disegnato da Casertano con una copertina che farà discutere, e un albo speciale da presentare a Lucca. A breve presenteremo il programma delle celebrazioni del trentennale, è prevista anche una grande mostra. C’è tanto lavoro da fare e c’è molta carne al fuoco. A mio avviso le storie sono migliorate, fa parte della serialità accettare l’idea di un fallimento ogni tanto, non si azzeccano tutti i colpi, impossibile quando si parla di 2500 pagine all’anno. Ultima cosa che vorrei sottolineare è che Dylan oggi è cambiato tanto, tanti artisti ne sono interessati così come il pubblico, c’è un dibattito molto animato intorno al personaggio. Ci sono nuovi artisti che lo disegnano fra cui i presenti, Giorgio Pontrelli che in realtà aveva già lavorato a tre albi di Dylan e che ha cambiato molto il suo stile di disegno in senso personale, e Werther Dell’Edera che è una colonna portante di Orfani ed è alla sua seconda storia su Dylan Dog.

Parliamo dei due disegnatori, che hanno lavorato molto anche all’estero. Werther Dell’Edera: come è stato per te lavorare su un personaggio iconico come Dylan Dog?

Werther Dell’Edera: E’ stato molto faticoso perché più sono iconici i personaggi e più approcciarsi nel modo giusto, farsi domande, cercare di interpretare i personaggi è difficile. Un personaggio del genere con cui in parte sono cresciuto si porta dietro tantissime cose, non è per niente semplice da approcciare. La realtà dei fatti è molto semplice, se si guarda a tutto il lavoro svolto dagli autori che si sono succeduti su Dylan, il personaggio ti permette una libertà molto ampia quindi è più una sorta di timore reverenziale. In questo caso (mostra una slide, n.d.r.) ho voluto omaggiare il Dylan di Micheluzzi. Questa storia è stata disegnata a quattro mani con Ambrosini, è una sorta di doppia storia che si svolge nello stesso tempo ma su due piani della realtà diversi. Si possono cogliere molte differenze di stile. C’è anche un collegamento con la storia del Diavolo Arlecchino, sempre di Ambrosini.

Dylan Dog, 30 anni di incubi. BGeek 2016 Photo by AmimeClick.it.JPG

Passiamo la parola a Giorgio Pontrelli che ha un rapporto molto complesso con Dylan Dog: cosa ha rappresentato per te prima come lettore e poi come artista?

Giorgio Pontrelli: Sono sempre stato un lettore di Dylan Dog, e quando si è presentata questa possibilità non è stato facile. Primo perché negli anni sono cambiato e poi perché anche Dylan è cambiato e ho avuto la possibilità di aggiungere qualcosa di più personale. Sono d’accordo su quanto sia difficile interpretarlo, trovare il giusto segno, il giusto numero di segni, le giuste proporzioni. Questa (si riferisce alla slide, n.d.r.) è la mia quarta storia lunga, scritta per la serie regolare da Giando Masi, sono le prime tavole, adesso sono alla 39. E’ ambientata in una Londra sotterranea e parla dello scuoti bare, una specie di becchino che tratta le bare al fine di non farle esplodere per via dei gas. Chi ha visto le mie prime tavole si sarà accorto della differenza di stile, allora c’era molto più nero e molto più volume.

Volevo chiedere a Roberto Recchioni: quando c’è stata l’occasione di ritrovare Sclavi come sceneggiatore, come questo si è inserito nei tuoi progetti originali, che magari vertevano su una continuity un po’ più stretta?

In quello non mi ha influenzato, la continuity non è mai stretta, ma estremamente blanda che andrà avanti nel corso del tempo, a poco a poco strato dopo strato diventerà più fitta, in modo che alcuni elementi che finora sono stati sparsi, strada facendo inizieranno ad affastellarsi fino a dei numeri chiave in cui cambieranno alcune cose. Dylan non è un 100 metri, ma una maratona, è una serie infinita, sappiamo che ci serve fiato, il primo anno di produzione da parte nostra è stato durissimo, in meno di un anno abbiamo dovuto mettere in piedi una testata con sceneggiatori e disegnatori tutti da provare, alcuni si sono espressi meglio di altri. Si sono fatte le valutazioni su ciò che funzionava o meno. Per esempio non sono contento dello sviluppo che ha avuto il personaggio di Carpenter, mi è mancata una storia, nel primo arco di storie avrebbe dovuto esserci una storia su quel personaggio ma lo sceneggiatore che era stato chiamato a realizzarla l’ha proprio mancata, e quel tassello chiave rimane tuttora in sospeso. Siamo convinti che arriverà una nuova storia su Carpenter e il personaggio acquisterà corpo. La storia di Tiziano nasce da un meccanismo strano, di solito lo vado a trovare e discutiamo degli argomenti più disparati. Una volta ci fu una discussione molto sentita su quelli che secondo me erano i doveri del creatore di un personaggio e ho pensato di aver tirato molto la corda. Tornato a casa, la settimana dopo mi è arrivata una sceneggiatura e poi ancora una seconda. E’ stato un momento interessante, sono stato il primo a leggere una nuova storia di Tiziano Sclavi, poi l’ho dovuta far leggere a qualcun altro. Alla fine della sceneggiatura c’erano due righe: sei il mio curatore, curami! E’ difficile trattare un testo di uno che sta nelle antologie di letteratura italiana nei licei. Ad ogni modo c’erano un paio di sfumature che non mi convincevano, ci abbiamo lavorato su e abbiamo raggiunto un compromesso. La prima storia è molto sentita perché è una storia sull’alcolismo e i fantasmi, è molto bella ed è disegnata da Casertano.
 
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Quando sei entrato in Dylan Dog, quali erano i problemi che tu da lettore hai cercato di cambiare come autore?

Sul mio blog c’è stata una lunga disamina sui problemi di Dylan Dog, un personaggio che esercita il dubbio a differenza di Tex che invece è il classico personaggio che da le risposte. Nel momento in cui trasformi Dylan in un personaggio che dà le risposte, non stai più scrivendo Dylan. l problema è sorto quando il pubblico ha cominciato a sentirsi rassicurato da Dylan Dog. Però non è colpa degli sceneggiatori e dei curatori che mi hanno preceduto, il problema è che Tiziano voleva fare tutto è il contrario di tutto e lo poteva fare in quanto autore. Tutte le case editrici hanno una forza calmante che tende a livellare gli autori: Non è che la Bonelli sia cattiva, è una normale attitudine delle case editrici cercare di normalizzare quello che stai proponendo e Tiziano aveva la forza di difendere le sue scelte radicali e l'autorità di poterlo fare. Una volta che se n'è andato Tiziano gli sceneggiatori che si sono trovati davanti a Dylan lo hanno dovuto codificare, si sono chiesti: come replichiamo il successo del personaggio? Tiziano si poteva permettere anche di scrivere un Dylan antipatico che diceva cose sgradevoli, perché lui conosceva il personaggio. Io ho provato a fare una cosa diversa perché non ho lo spirito di conservazione io non voglio rimanere qui per sempre il mio scopo è occuparmi di questo progetto per un po', di portare Dylan dove desidero e poi lasciarlo in altre mani che lo interpreteranno in un'altra maniera, la mia visione è: cerchiamo di fare del nostro meglio rischiando il tutto per tutto. La mia prima storia forse non è la storia di Dylan ma è la storia di un clone, il che è già abbastanza destabilizzante. È ovvio che la reazione dei lettori su Facebook si polarizza, ma va bene. Che qualche storia non venga bene è normale e fisiologico, sto per dire una bestemmia: neanche tutte le storie di Tiziano sono bellissime, non tutte, su 140 ci sono solo 100 capolavori.

Uno dei problemi di Dylan era proprio una sorta di autoreferenzialità, col tuo nuovo lavoro invece a quale target di persone ti stai rivolgendo?

E’ un equilibrio complicato quando lavori con un personaggio che ha un successo ancora così forte e dei lettori fedeli da così tanti anni. Dylan rispetto a Tex ha un problema in più perché le prime generazioni dei lettori di Tex se non sono morte ci siamo quasi, stiamo parlando di 60 anni. La generazione che l'ha letto magari a 30 anni il primo numero di Tex oggi ne ha 90. Le generazioni che hanno comprato Dylan Dog numero 1 stanno tutte qui e si ricordano gli anni della loro giovinezza mentre leggono Dylan, il che significa che quando leggono Dylan non solo proiettano il piacere del personaggio ma proiettano un desiderio di tornare a quegli anni lì, quindi tu combatti in primo luogo contro la nostalgia. Quel tipo di lettori vorrebbe che tutto resti uguale ma che tutto cambi, se gli dai la solita formula ti dicono è sempre la stessa cosa se la cambi non è più Dylan Dog, un po’ come quando si parla dei Metallica che hanno fatto bei dischi solamente fino al Black Album. A me piace il cambiamento, anche rischiando, non sempre concordo però certe volte i cambiamenti folli che all'inizio mi hanno lasciato interdetto poi mi sono piaciuti. Parlando di fumetti americani che si stanno ponendo molto questo problema in questo momento, la Marvel secondo me sta dando le giuste risposte mentre la DC no. La DC sta su delle posizioni di estrema protezione perché continua a rivolgersi al suo lettore nerd fortissimamente storicizzato, cioè dà ai lettori quello che i lettori vogliono e non riesci ad ampliare un bacino; la Marvel rischia, a volte perde brutalmente, però cerca pubblico nuovo. Anch’io vorrei dei lettori nuovi, io voglio che Dylan Dog continui a vivere e per farlo continuare a vivere serve sangue giovane. Ieri stavo in un ristorante e un ragazzino mi ha fatto: e chi è Dylan Dog? Ecco questo non deve succedere, gli devo far dire: Dylan Dog? Figo! Voglio cercare di accontentare i lettori tradizionali raccontandogli belle storie però voglio anche sfidarli, perché voglio i lettori nuovi.
 
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Orfani è la serie creata da Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari, è sicuramente uno dei progetti più innovativi che siano apparsi in Sergio Bonelli Editore, adesso è nel cuore della sua terza stagione è su un mondo nuovo dove sono cambiate tante cose, Orfani è partita con un determinato registro, con determinati personaggi e si è evoluta in maniera imprevedibile, sicuramente penso che nessuno dopo la prima stagione l'avrebbe mai pensato a quello che stiamo leggendo adesso. Guardando il futuro in funzione del passato, cosa senti dopo questi due anni e mezzo di Orfani, per la quale avete lavorato per 4 anni prima che lettori potessero leggere un primo numero? Dato che sei il papà di questa serie cosa senti di dire quando ci pensi guardando ciò che è stato?

E’ complicato, nel senso che sapevo già dove volevo andare a parare, quando è uscito molti hanno pensato che assomigliasse ad Halo e la cosa che fa ridere è che quelli che si lamentavano che il primo numero assomigliasse ad Halo oggi dicono che non è più bello come il primo numero! Mi dispiace che qui non ci sia Emilano perché l'abbiamo fatto in due, meriti e demeriti sono di comuni. Per Orfani vale molto di più quello che abbiamo detto prima su Dylan. Su Dylan rischio con cautela, anche perché è un personaggio ormai rispettato. Su Orfani rischio senza nessun tipo di timore, se faccio una stupidaggine sono disposto a pagarla in prima persona. Io ringrazio tantissimo la Bonelli per aver pubblicato questa serie e ringrazio tutti i disegnatori che ci vengono dietro, disegnatori e coloristi straordinari, in particolare questa terza stagione spinge moltissimo sull'acceleratore circa gli esperimenti nella gabbia, nella narrazione, abbiamo fatto una tavola ribaltata, abbiamo fatto albi a labirinto, abbiamo fatto fare delle follie ai disegnatori sulle pagine di Orfani, quello che esce questo mese è uno dei più assurdi in assoluto, si chiama Frammenti anche perché è molto discontinuo. Andiamo avanti verso la conclusione della storia perché poi è vero che il tema che a me interessava raccontare è ancora al centro della narrazione, un tema politico preciso che con la fine della terza stagione diventerà sempre più chiaro, il tema è sempre: che cosa fanno i poteri forti con le generazioni. Il tema di questa terza stagione è su come nasce il terrorismo, sostanzialmente che cosa spinge una generazione di ragazzini a diventare quelli che noi chiamiamo terroristi ma che altri chiamano combattenti per la libertà. Prima di tutto è un fumetto di intrattenimento però si può fare intrattenimento anche raccontando qualcosa che faccia riflettere. Ci sono altre tre stagioni in cantiere di cui due brevi, la prossima di tre albi sarà la stagione più sgradevole, malata e moralmente ambigua di Orfani, scritta da Paola Barbato, quella successiva è di Emiliano Mammucari, scritta da lui, riguarderà quello che ci siamo lasciati indietro quindi il mondo sulla terra. L'ultima stagione in cantiere la scrivo io con Michele Monteleone. Orfani è stata la serie che più velocemente abbiamo venduto all'estero e in maniera migliore, è uscito davvero in tante nazioni, una cosa importante tenendo conto che una volta era un problema in particolare per Sergio Bonelli spoprattutto pubblicare in Francia. Poi uscirà il romanzo incentrato sul personaggio di Ringo, dedicato agli anni di Ringo fra le due stagioni, un progetto che cerca di essere calato in tante declinazioni.

L’idea del romanzo in prosa l'hai sempre avuta in cantiere o è una cosa che ti è nata dentro, nel senso che hai sentito la mancanza del personaggio e hai sentito l'esigenza di continuare a raccontarlo dando anche ai lettori la possibilità di tenerselo vicino?

Hai presente quanto viene amata dal pubblico la spontaneità di Zerocalcare? Be’ io non ce l'ho. Del romanzo di Ringo ne avevo parlato a Sergio Bonelli già durante la programmazione della serie, io pianifico tutto, avevo già previsto un editore che me l'avrebbe pubblicato. Orfani è pensato veramente tanto, tutto quello che vedi oggi sono tutte cose che stanno nel primo documento che ho consegnato. Orfani è considerato uno dei primi esperimenti di permanenza. Io mi lamentavo anni fa della non permanenza negli anni degli albi Bonelli, c'erano albi che necessitavano di un anno, un anno e mezzo, per essere realizzati e vivevano in edicola 30 giorni, io ipotizzavo all'epoca di creare un sistema per cui questi albi vivessero una seconda vita permanente. Orfani è stato il primo tentativo forte di rendere permanente una serie Bonelli. Chi volesse cominciare una serie Bonelli può rivolgersi alla libreria.
 
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Il documento iniziale di Orfani quando è stato letto dall’editore, qual è stata la risposta?

Ho un po' barato, mi era stato detto che era tempo di presentare una serie nuova e abbiamo fatto tutta una serie di ipotesi, una delle quali parlava di un veterinario che si occupa di animali mitologici. Ci abbiamo lavorato un po' su, era tipo un Godzilla malato, unicorno malato, poi però abbiamo detto: torniamo alle cose serie! Come idea di base sono partito dal film Il Grande Uno Rosso (regia di Samuel Fuller, del 1980, n.d.r.) ambientato durante la seconda guerra mondiale. C’erano delle cose che Sergio odiava brutalmente, tipo le storie di bambini, e noi gli abbiamo presentato una serie che aveva un titolo ben preciso, quindi dovevamo trovare un sistema per far sì che ci fossero anche degli adulti, da lì è nata l'idea di fare come in Full Metal Jacket, di dividere in due nettamente la storia con una narrazione che correva su due binari, questo ha fatto sì che si poteva tollerare il fatto che ci fossero tanti bambini, però lui odiava anche le storie di samurai e invece poi ho fatto La Redenzione del Samurai. In quel documento c'era un grosso bozzettone di Orfani, non c'è ancora tutta la seconda parte. Oggi ne parliamo poco perché sembra normale ma tre anni fa i colori c'erano solo negli albi speciali di Bonelli. Quando è uscito orfani si è creata un po' una professione sui colori e la Bonelli li ha riconosciuti come artisti e ha riconosciuto un salario dignitoso e tutta una serie di diritti che prima non erano riconosciuti ai coloristi, e i colori non vengono visti più solo come realistici ma come aventi funzioni narrative ben precise e implicazioni emotive, dando un timbro emotivo ulteriore per rafforzare le scene.

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