Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento con tre serie dell'anno appena concluso e che hanno fatto discutere parecchio: Erased, Orange e Rewrite.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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8.0/10
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Mantenere alto il livello di una produzione per l’intera durata della serie, soprattutto se questa parte alla grande, è un’impresa assai rara e "Boku Dake ga Inai Machi", o più semplicemente "Erased", fallisce nel portarla a termine.
Ha però il grande merito di recuperare un finale che sembrava ormai compromesso, risultando nel complesso una serie animata che vale la pena di seguire e consigliare.

Le vicende vengono introdotte senza troppi preamboli e la trama acquisisce sin da subito sfumature tipiche del genere investigativo, sconfinando in certo momenti nel thriller. Non mancano le atmosfere più rilassate, possibili solo grazie alla geniale introduzione di un elemento soprannaturale che costringe Satoru, ora un ragazzo introverso e disilluso, a rivivere la sua infanzia per venire a capo di un mistero che forse è la causa della sua difficoltà a rapportarsi con il prossimo. Di certo dovrà riuscire nella sua impresa, se non vorrà vedere divorate quelle briciole di felicità che gli sono rimaste: gli viene data la possibilità di cambiare il corso della storia, tornando nel passato e rivivendo la sua infanzia, ci riuscirà? Nel corpo di un bambino, ma con la mente di un adulto, sarà in grado di sventare le tragedie che colpirono i suoi compagni di classe e in questo modo guadagnarsi un futuro più luminoso?

L’idea dei viaggi temporali non è certamente nuova, tuttavia il tema è trattato in modo insolito e originale, con Satoru che è costretto ad abituarsi ad essere considerato un bambino, fattore che gli offre evidenti vantaggi, ma è anche fonte di una serie di problemi difficili da ignorare. Pur apparendo improvvisamente più maturo e attento alle persone che lo circondano, è piacevole vedere come riesca a sfruttare a suo vantaggio la sua età e l’ingenuità che viene attribuita ad un bambino. Il mistero è inizialmente ben costruito, con diversi possibili sospetti, tuttavia la parte investigativa presenta diverse lacune: se mi posso aspettare alcune ingenuità da un bambino, meno posso accettarle da un adulto, ancor più se sta cercando indizi per trovare quello che ha tutti i tratti per poter essere un pedofilo. Non è esente da critiche nemmeno la procedura d’investigazione adottata dal protagonista, che sembra quasi esclusivamente limitarsi alla protezione delle vittime, mentre grazie agli elementi appresi dal futuro si sarebbe potuto spingere un po’ oltre o, perlomeno, Satoru avrebbe potuto sfruttare alcune situazioni potenzialmente a suo vantaggio.
Erased parte benissimo, con quattro/cinque episodi che riescono a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Il merito è sicuramente di una sceneggiatura ben scritta e raccontata in modo esemplare, con personaggi realistici, dialoghi intelligenti, introspettivi quel che basta, e un antagonista misterioso e che pare inafferrabile. Il sapere che Satoru è in qualche modo speciale e che ha le potenzialità per sconfiggerlo è un altro motivo che rendono questo incipit di serie così appassionante. I problemi nascono quando viene a mancare fluidità alla sceneggiatura, che si trova costretta, per mantenere alto l’interesse e la tensione, a forzare gli eventi, rendendo il comportamento di Satoru meno adulto, costringendolo a cadere in trappole piuttosto prevedibili e a glissare su evidenti indizi che avrebbero spinto chiunque a porsi perlomeno degli interrogativi. Un paio in particolare li ho trovati particolarmente gravi.

Proprio quando "Erased" sembra cadere e buttare alle ortiche tutto lo splendido lavoro fatto nei primi episodi, l’anime rialza la testa e conclude la vicenda in modo inaspettatamente azzeccato.

Sebbene non tocchi i picchi che speravo, vi consiglio di vedere questa serie animata: riesce a offrire un po’ di mistero, di tensione, qualche pizzico di dolcezza ed emozione. Vi riuscirà a coinvolgere, emozionare, probabilmente in certi passaggi vi deluderà, ma alla fine sentirete di aver visto un prodotto al giorno d’oggi raro e di qualità.



7.5/10
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Procedo schematicamente.
Cosa mi è piaciuto di "Orange"? Sicuramente la sua complessità: ben vengano le serie, soprattutto scolastico-sentimentali, che come questa si portano dietro un bel fardello emozionale. Per una volta infatti ci troviamo davanti ad adolescenti con problemi da adulti, non le solite turbe giovanili alle quali siamo abituati ma veri e propri ostacoli al limite dell'insormontabile intrecciati alla natura dell'essere: il rimorso e l'attribuzione di peso alle proprie scelte, giusto per dirne due, che ti si attaccano addosso e che non ti lasciano facilmente. E, come estensione delle tematiche di cui parlavo, ho apprezzato anche quella persistente sensazione di tristezza che mi ha accompagnato per tutte le tredici puntate. Insomma, sul piano prettamente psicologico secondo me l'anime è riuscitissimo, e ben venga se si tratta di una serie di per sé triste e malinconica: un po' di originalità, rispetto a tante sue simili (sulla carta), è ben accetta.

Cosa non mi è piaciuto, invece? In quanto studente di fisica ho trovato un po' pressapochistica la scelta del messaggio spedito indietro nel tempo. Una scelta che è sicuramente fondamentale per tutta la serie, dato che è proprio su questo che l'anime si basa, ma che non mi ha convinto appieno, soprattutto nel finale. Ben introdotta durante le lezioni scolastiche dei ragazzi, va dato atto, ma svolta in maniera semplicistica, alla carlona, nel finale: i ragazzi la considerano la soluzione, come se fosse qualcosa di certo, di assodato, di garantito. Sarà per deformazione professionale, ma questo aspetto non mi ha convinto molto. Non saprei come si sarebbe potuto migliorare questa situazione, così strettamente legata a tutto l'anime, ma così come è stato fatto mi ha lasciato un poco l'amaro in bocca. Molto più delle difficoltà stilistiche incontrate a metà dell'anime: certamente hanno anche loro un certo peso, ma non ne faccio un dramma, alla fin dei conti se la base è buona ci si può adattare anche a grafiche scarse.

In generale l'anime è piacevole, personalmente mi ha emozionato e catturato, ma certe lacune non sono proprio riuscito a mandarle giù.



3.0/10
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Generalmente non amo sparare sulla Croce Rossa, l’accanimento su qualcosa che già di per sé è scarso, in modo palese ed eclatante per giunta, non mi è mai piaciuto, ma in questo caso c’è un qualcosa che ha sbrigliato la mia voglia di descrivere e di raccontare, di elogiare pure da un certo punto di vista e un po’ meno di valutare, trattandosi di un prodotto che di buono non ha davvero nulla. Quel qualcosa è il seno. Sì, una n sola, niente errori. Ci vuole davvero tanto coraggio per creare un’opera pretenziosamente seriosa e farla ruotare attorno al seno femminile - fallendo miseramente in fatto di seriosità, tra l’altro. La mente del lettore potrebbe già essere partita al galoppo come il Johnny di “The Tatami Galaxy”, ma no, in “Rewrite” non c’è neanche del fanservice così esplicito, o almeno non di quel tipo. Ci sto girando intorno al succo di quest’opera, ma non senza un motivo, perché “Rewrite”, in sostanza, non parla di nulla. La voglia di appropriarsi di un seno femminile è con ogni probabilità l’elemento più costante della serie, quello su cui lo spettatore fa leva per riuscire a seguire trama e svolgimenti, un po’ una chiave di lettura nascosta tra le righe dai produttori e dagli autori, nonché la più grande delle aspirazioni e vocazioni del protagonista.

Kotarou Tennouji è un ragazzo come tanti, circondato da ragazze come tante, che fa cose comuni, tipo pestarsi con il suo amico-rivale, corteggiare e molestare un po’ le compagne di scuola e godersi in questo modo la propria adolescenza. Ah, nulla di più apparentemente falso. Il corso degli episodi, che definire intreccio sarebbe oltremodo oltraggioso verso il significato stesso del termine, mostra come ciascuno dei personaggi, nessuno escluso, abbia in realtà delle abilità nascoste, stia lottando per il destino del pianeta e in segreto desideri ardentemente avere una relazione con Kotarou - pure l’amico-rivale, a giudicare da come si comporta, proprio per non farsi mancare nulla -, ma, stante che il materiale di partenza è una visual novel, ciò non desta troppo stupore. Quello che invece stupisce è come queste scoperte concatenate da parte del protagonista, e di conseguenza dello spettatore, non siano minimamente inerenti l’una all’altra; un gran bel calderone di sentimenti urlati in faccia, azioni sconsiderate, passati struggenti che farebbero invidia ai migliori personaggi di Dickens e tanto buonismo che in questi casi male non ha mai fatto. In mezzo a questo mare di noia e ripetitività il solo desiderio, sempre vivo nella mente di Kotarou, riesce a distrarre lo spettatore che non può che compatire il povero, frustrato protagonista, tanto vicino ogni volta a agguantare il proprio obbiettivo che invece, puntualmente, gli sfugge di mano.

C’è un però, ossia quel malsano tipo di intrattenimento vacuo e insensato che si può trarre da situazioni come questa. Parlo di quel piacere malsano che solo il trash riesce a regalare e che solo nel trash è lecito ricercare.
Tuttavia quell’espediente che era stato pensato come vero motore della serie assalta il perfetto equilibrio dettato dal nulla che nei primi sei episodi si era affermato; fosse rimasto un mediocre Quinto Fabio Massimo staremmo parlando di un altro anime e sicuramente con meno rammarico, ma il coraggio per rimanere un prodotto anticonformista era manchevole nello staff e la luce di una trama inizia quindi a filtrare nella coltre di nulla della settima puntata. Si scoprono le fazioni, gli schieramenti, i combattenti e le loro ragioni, ma si finisce per condensare forzatamente il tutto in uno spazio così limitato che per forza di cose stona e stride nel contesto che era stato fino a quel momento allestito; “Rewrite” tenta il passo più lungo della gamba, quasi si fosse svegliato all’ultimo momento e cercasse ora in ogni modo di rimettersi in carreggiata, ma cade, ridicolizzandosi ancor di più e stavolta senza far ridere chi guarda. Il finale, vien da sé, è un qualcosa di ibrido tra il susseguirsi di eventi casuali e inspiegati - nonché inspiegabili, giacché casuali - dietro ai quali pur si percepisce il tentativo di conferire al tutto una parvenza anche minima di senso compiuto; un groviglio insensato di nuovi drammi ed eventi tragicomici vengono riesumati dal passato dei protagonisti, sempre in modo totalmente casuale e dissonante. Né carne né pesce, mezzo fritto e mezzo lesso, uno Psy che interpreta il suo famoso balletto con i Pantera di sottofondo. Insomma, no.

Sul piano tecnico la serie non se la cava tanto meglio, illudendo al principio con un episodio introduttivo sì lungo e tremendamente noioso, stendendo un velo sul character design, ma altrettanto curato e ben realizzato nelle animazioni, per poi digradare lentamente verso quell’approssimazione e quella scarsezza che sanno tanto o di pochi soldi o di poco tempo. Restano le musiche, decenti almeno quelle, che si perdono però nel mare di nebbia generato da tutto il resto, sceneggiatura in primis.

Il coraggio di “Rewrite” è stato quello di costituire per più di metà serie la trashata perfetta, aria fritta all’ennesima potenza, il nulla più assoluto che si regge sul solo desiderio di seno del protagonista, ma, dal momento che pure questo è venuto meno e che ha tentato di prendersi un pelo sul serio, si gioca anche l’appellativo di trashata e rimane indefinito, come i suoi personaggi e la sua trama. La seconda stagione? Masochismo per esperti, si può immaginare, ma d’altronde per un seno prosperoso si fa questo e altro.