Nel nord dello Shikoku, in una parte del Giappone che sembra immacolata e ferma nel tempo, si trova la prefettura di Kagawa, detta anche “Prefettura dell’udon”. Souta Tawara vi fa ritorno dopo una lunga permanenza a Tokyo, poiché dopo la morte del padre decide di prendersi una pausa dal lavoro per riflettere su quella che è stata la sua vita fino a quel momento.
Souta ha lasciato Kagawa non appena finito il liceo, è andato via di casa sbattendo la porta davanti ad un padre che non sembrava capire i suoi sogni, troppo ancorato alla tradizione e al mestiere di famiglia, troppo felice e soddisfatto di vivere in quel lembo di terra per capire i tormenti di un adolescente desideroso di libertà.

Mentre passeggia per il dismesso negozio di udon del genitore, Souta trova una strana creaturina rintanata tra le sporche vettovaglie: un po’ bambino, un po’ animale, di cosa si tratterà? Il primo incontro di Souta e Poko è all’insegna della paura, ma basta davvero poco perché tra i due nasca un’intesa. Il giovane decide di tenere il piccolo con sé, almeno finché non avrà trovato una soluzione, e inizia così la convivenza dei due. La narrazione è scandita dal fluttuare dei ricordi impressi in ogni angolo della casa, che portano alla mente di Souta tanti momenti felici quante riflessioni amare sul tempo che passa e sull’impossibilità di ritrovare chi è andato via per sempre.
Tratto dal manga seinen di Nodoka Shinomaru, Udon no Kuni no Kiniro Kemari è pronto a coccolare il vostro cuore in un brodo di gustosi udon.
 
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Siamo abituati a vedere giovani protagonisti orfani in manga e anime, spesso come se fosse una cosa naturale e sulla quale c’è poco da dire, mentre altre volte abbiamo assistito a storie in cui la mancanza di questo o quel genitore (o di entrambi) si fa perno di tutta una storia, caratterizzando in tal modo i suoi protagonisti.
Souta non è un ragazzino, ma al contempo non è neanche un adulto fatto e finito, fa parte di quella generazione di giovani adulti, i trentenni, che ad ogni latitudine sembrano vivere in uno stato di precariato lavorativo e/o sociale. Intenti a chiedersi se la strada imboccata sia quella giusta, se sia ora di mettere su famiglia, se sia indispensabile farlo, ma soprattutto se si è davvero pronti ad assumere le responsabilità che precedentemente gravavano sulle spalle dei genitori, essi si barcamenano tra il desiderio di fare e il dubbio sulle proprie capacità, in un limbo che fa loro spesso rimpiangere quella fretta di crescere che li contraddistingueva fino a qualche anno prima.

In Udon no Kuni no Kiniro Kemari vengono trattati essenzialmente tre elementi: la paternità, il rapporto con i padri e il lavoro.
Mentre in questa terra verde Souta rivive il passato e si interroga sul futuro, il piccolo Poko diventa il suo compagno di viaggio, nonché colui che gli permetterà di vivere nuove esperienze e trovare risposte a dubbi e rimpianti. Poko è un cucciolo di tanuki che grazie ai suoi poteri può assumere forma umana, prendendo quindi le fattezze di un tenerissimo bambino di circa tre-quattro anni. Lo spaesamento iniziale di Souta è ovviamente tantissimo, ma subito qualcosa in quella dolcissima creatura smuove il suo cuore e, passando oltre la sua misteriosa natura, decide di tenerlo con sé, instaurando con lui un vero e proprio rapporto paterno. Il ragazzo impara a sue spese quanto sia complicato prendersi cura di un bambino, quanta attenzione, pazienza e dedizione ci vogliano ogni giorno, riuscendo così a ricordare con maggiore dolcezza il rapporto con il defunto padre.
 
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Souta era un ragazzino come tanti, ma in quella fase della vita in cui i figli sembrano dover prendere decisioni opposte a quelle dei genitori, neanche se fosse una misteriosa forza superiore a volerlo, si ritrova in aperto conflitto con il padre, il quale vorrebbe che imparasse il mestiere di famiglia. Quando Souta lascia Kagawa, il rapporto si incrina del tutto e, dopo la morte del genitore, arriva il momento di chiudere per sempre questa relazione, in qualunque modo essa fosse diventata, a dispetto di qualsiasi rimorso e rimpianto.

Ci si sofferma spesso a riflettere o raccontare di quanto sia terribile perdere un genitore in giovane età, ma meno spesso ci si ferma a pensare agli effetti della perdita di un padre su un giovane adulto quale Souta. In una fase della vita ancora in bilico tra il ragazzo e l’uomo (ma è un discorso che vale anche per le donne), quando la propria esistenza è precaria in ogni senso, quando non ci si sente ancora pienamente appagati e soddisfatti dei risultati raggiunti e dentro si coglie la mancanza di quel qualcosa che rende adulti e autonomi, la perdita di un genitore può essere un massacro interiore, specie se questi era visto come il pilastro della famiglia. L’autorità, la sicurezza, il timore reverenziale che induce un padre, ma anche il solo peso della parola “papà” mettono a dura prova chi perde tutto ciò, specie se all’improvviso, lasciando una terribile sensazione di terreno che si disgrega sotto i propri piedi. Se poi, come nel caso di Souta, il rapporto con il genitore si è chiuso tra le incomprensioni, diventa tutto più complicato.
 
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Vivendo a sua volta il ruolo di padre con il piccolo Poko, Souta ricorda e capisce quanto suo padre si sia impegnato per crescerlo al meglio, quanta pazienza abbia avuto e quanti sforzi gli abbia dedicato giornalmente. Il ruolo del piccolo Poko è proprio questo: permettere a Souta di venire a patti, nel suo cuore, con il padre defunto.
Apparentemente è come se Souta fosse colui che si prende cura di Poko, ma ad ogni episodio scopriamo come in realtà sia il piccolo bimbo-tanuki a curare l’anima del ragazzo, ora con i suoi poteri magici, ora con la sola forza del suo sorriso puro e ingenuo.

È vero che Udon no Kuni no Kiniro Kemari, pur nel suo contesto fantastico, soffre di piccole ingenuità che, pur non pregiudicando affatto la visione, sono impossibili da non riconoscere. Souta a volte è fin troppo distratto; chi si addormenterebbe in spiaggia con un bambino piccolo che gironzola in preda all’entusiasmo? Chi non penserebbe che sia strano voler adottare un bambino fin dall’inizio presentato come figlio di un conoscente?
Questi piccoli difetti non inficiano comunque la bontà dell’opera, la quale, nonostante tutto, presenta un cast molto divertente e ben caratterizzato. Oltre i due protagonisti spicca immediatamente Shinobu Nakajima, amico di lunga data di Souta, medico e anch’egli trentenne alla prese con i problemi dell’età e le aspettative dei genitori. La dolce e bella Rinko, premurosa sorella di Souta sempre pronta a sostenerlo. Nagatsuma è un po’ la macchietta, Hamada l’adulto di riferimento.
 
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In perfetta relazione con il suo contenuto dolce e sognante, Udon no Kuni no Kiniro Kemari si presenta in una veste grafica semplice ma efficace, dai colori tenui e dagli sfondi dipinti che trasmettono una sensazione di calore e familiarità. Il tratto è semplice e morbido, proprio come quello del manga da cui nasce, i personaggi sono tondeggianti e i bambini pucciosissimi, ma a volte il tutto pecca nelle proporzioni. Le musiche sono pacate, quasi ninna nanne. L’andamento della serie è lento quanto necessario ma mai noioso, perché i personaggi riescono a rendere tutto vivace e divertente.
La bella opening S.O.S dei WEAVER e la malinconica ending Sweet Darwin dei Goodwarp sono il riflesso dei contenuti e delle atmosfere della serie, praticamente perfette.
Pare che dopo Inuzuka di Amaama to Inazuma, Yuuichi Nakamura abbia preso gusto nell’interpretare i papà, e anche in questa occasione il suo lavoro è ottimo. La sua spalla anche nella vita reale, Tomokazu Sugita, interpreta Nakajima, ed è magistrale anche Shiho Kokido nei panni del piccolo Poko, con le sue parole sbiascicate e le pronunce per nulla perfette. Tra gli altri troviamo l’amatissima Kana Hanazawa, Mai Nakahara, Shinnosuke Tachibana, Takaya Kuroda e Jun Fukuyama.
 
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Il cast dei doppiatori alla fine delle riprese della serie
 
Udon no Kuni no Kiniro Kemari è una storia semplice che ci racconta come sia possibile ritrovare sé stessi e capire il proprio posto nel mondo ritornando a ciò che si era, dando uno sguardo indietro a ciò che avevamo ed eravamo prima di arrivare dove siamo. Un po’ come successo in Barakamon, anche in questo caso è il sorriso di un bambino ad aprirci la strada, a condurci con la sua piccola mano verso chi siamo e chi saremo, a farci capire come la felicità e l’amore siano fatti di tanti piccoli e grandi sforzi quotidiani e della stessa pazienza necessaria per creare gli udon migliori.
Ciò che i nostri genitori ci hanno insegnato, ciò che ci hanno lasciato le persone che non ci sono più, gli sbagli, i rimpianti, il coraggio che ci è mancato nel dire le cose importanti… non dimentichiamo niente di tutto ciò, perché, come dice Poko, chi va via resta nel nostro cuore e il prossimo incontro può dar vita ad un nuovo, grande amore.