La civiltà è morta, ma Chito e Yūri sono ancora vive. Così salgono a bordo della loro amata moto Kettenkrad (un cingolato tedesco della seconda guerra mondiale) e vagano senza meta, tra le rovine del mondo che una volta conoscevano. Giorno dopo giorno vagano in cerca di cibo e di carburante per il loro viaggio. Ma fintanto che le due sono insieme, anche un'esistenza triste come la loro ha un raggio di sole, sia che stiano mangiando una razione di zuppa o che siano alla caccia di ricambi per rattoppare la moto.
Per due ragazze in un mondo pieno di nulla, le esperienze e i sentimenti che condividono danno loro qualcosa per cui vivere.

Shōjo Shūmatsu Ryokō

Quello di Shōjo Shūmatsu Ryokō è un setting davvero particolare. Chito (Chii) e Yūri (Yū) si trovano a vagare per un mondo probabilmente ultra-tecnologico, ma che è stato ormai totalmente devastato dalla guerra. Non ci vengono dati dettagli su come si sia quasi estinta la vita sulla Terra e neppure sul background delle due ragazze, ma è in linea con la filosofia dell'opera ed è giusto così: quello che conta è il presente, non ciò che si è stati in passato.
Più che raccontare una storia, l'anime vuole trasmettere malinconia, sensazioni, ottimismo...
Sì, proprio ottimismo. Perché in un setting da post-apocalisse, che può ricordare il nichilista Texhnolyze, ci sono due protagoniste vive, che sono riconoscenti di esserlo, che sono grate della loro reciproca compagnia, che sognano di poter vivere in una casa accogliente, che sono felici di trovare una barretta di cioccolato o di potersi fare un bagno caldo.

Shōjo Shūmatsu Ryokō

Nessuna scena di azione, nessun cliffhanger ansiogeno, nessuna rivelazione sconcertante e anche nessuna scenetta moe, nonostante da una prima superficiale occhiata il design possa portare a pensarlo. Invece, sebbene le deformazioni dei personaggi servano ad alleggerire l'atmosfera e a far meglio interpretare il rapporto tra le due, non si crea nello spettatore quell'istinto di protettività o affettività tipico del moe. Non c'è neppure il tentativo di far empatizzare il pubblico con le protagoniste, che anzi nei primi episodi non sembrano neanche poter andare d'accordo fra di loro, tanto che Yū punta tranquillamente il suo fucile contro l'amica. L'empatia si realizza però in modo naturale immergendo lo spettatore nell'atmosfera di un mondo totalmente desolato.

Ad aiutare questa totale immersione contribuisce una colonna sonora davvero eccezionale, forse la migliore dell'anno, con pezzi orchestrali d'alto livello e musichette allegre e stupide che ricordano un po' gli anni '30.
Chi ha giocato a Nier: Automata potrà ritrovare esattamente le stesse sensazioni del gioco. Se qualcuno ha mai provato a esplorare il vasto mondo desolato del videogame con il sottofondo di "Bipolar Nightmare" o "Memories of Dust", o ha ascoltato la musichetta della bancarella di Emil, con questo anime troverà le stesse identiche vibrazioni.

Shōjo Shūmatsu Ryokō

Ma non è finita qui l'analogia col mondo di Nier: Automata. In entrambe le opere è evidente il riferimento al capostipite "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" di Philip K. Dick, da cui è stato tratto anche il film di Blade Runner.
Il mondo di Shōjo Shūmatsu Ryokō è finito dopo aver raggiunto un elevato sviluppo tecnologico, tanto che nell'episodio 9 c'è un incontro con macchine umanoidi pensanti.
Qual è la differenza tra umano e robot, si chiedono le due protagoniste. E la risposta iniziale che trovano è l'empatia, proprio quella stessa empatia che nel romanzo di Dick (o nel celeberrimo film di Ridley Scott) era la base della differenziazione tra uomini e replicanti, con tutte le implicazioni morali poi derivate da questo...
Che Tsukumizu (autore del manga originale) abbia inserito contaminazioni in stile Blade Runner è evidente, così come che Takaharu Ozaki, regista della serie animata, abbia voluto strizzare l'occhio a Nier: Automata per attirare un pubblico più giovane: il risultato è stato decisamente pregevole.

Shōjo Shūmatsu Ryokō

Al netto dell'episodio 9, che insieme a quello conclusivo è il migliore della serie, sarebbe comunque riduttivo pensare solo alle influenze di Dick e di Nier:Automata. La serie riesce anche a fornirci spunti di riflessione di tipo filosofico e religioso e a farci cogliere l'essenza del viaggio e della scoperta. Riesce insomma proprio nella stagione in cui c'era una serie maggiormente deputata a farlo, quel Kino no Tabi, che orfano del mai troppo rimpianto Ryutaro Nakamura, non è riuscita con il remake a raccogliere il testimone della serie del 2003.
E proprio a proposito di Kino, rispetto  alla serie disegnata in modo più classico nel 2017, quella originale del 2003 presentava un effetto tela, come se tutto l'anime fosse un dipinto. Allo stesso modo sul video di Shōjo Shūmatsu Ryokō c'è un leggero effetto graining, che trasmette la sensazione come se fosse stato realizzato su una vecchia pellicola. Un confronto per capire come l'idea e la tematica non bastino per creare un capolavoro. Anche l'interpretazione attraverso il mezzo (in questo caso un cartone animato) è importante.

Shōjo Shūmatsu Ryokō

Ogni episodio meriterebbe un approfondimento a sé, ma se proprio dovessimo andare a cercare un filo conduttore comune, lo potremmo ritrovare nelle teorie dell'esistenzialismo ateo di Jean-Paul Sartre. Pensate al giudizio delle protagoniste sulla guerra che ha condannato l'umanità all'estinzione: non c'è giudizio di merito su bene o male, ma soggettivismo; le guerre nascono per il cibo o per le risorse, ma da un punto di vista soggettivo ognuno è dalla parte del bene. Così come allo stesso modo per Yū è del tutto lecito utilizzare i libri per scaldarsi, non comprendendone l'utilità pratica. O ancora il discorso tra Yūri e Kanazawa: non serve una ragione per vivere, vivi e basta.

Shōjo Shūmatsu Ryokō

Sebbene l'anime non copra interamente il manga (terminato in questi giorni), sin da subito fa capire dove si voglia andare a parare, tanto da riuscire a cogliere pienamente il significato della versione cartacea anche nel finale. Se lo spettatore sperava di vedere Chito e Yūri terminare il loro viaggio al sicuro in una qualche comunità di sopravvissuti, rimarrà deluso. Non è con la ricerca di un "ens causa sui" che si conclude il cammino dell'uomo, ma è la coscienza che definisce l'individuo.
E non c'è nemmeno salvezza in Dio o nella religione. L'autore è tranchant anche su questo punto. Il mondo iper-tecnologico è finito in rovina e persino quelle macchine iper-tecnologiche quasi divinizzate sono ormai anche loro all'apice del declino.

Non c'è rabbia, depressione o impotenza nell'estinzione della razza umana, non c'è la frustrazione del finale di SukaSuka (per rimanere in tema con un altro anime post-apocalittico di quest'annata); ma c'è il rifiuto di una concezione antropocentrica, c'è il bene di Chii che capisce l'importanza che ha per lei Yū, c'è il desiderio di perseguire la felicità anche in un mondo morente.

Shōjo Shūmatsu Ryokō
 
Forse White Fox non fa un lavoro del tutto perfetto con animazioni, grafica e mecha design, ma il giudizio finale è comunque quello di un anime molto particolare, che sfiora veramente il capolavoro. Una storia che però non è per tutti, che offre momenti lenti e lunghi episodi in cui non succede quasi mai nulla, in cui molto simbolismo e molte scene apparentemente inutili vanno lette tra le righe. Un anime per gli amanti di Texhnolyze, ma che nega Texhnolyze e in qualche modo ne va agli antipodi, per offrire la sua diversa risposta. Un viaggio come in Made in Abyss o Kino no Tabi, ma che più di questi accompagna mano nella mano lo spettatore. Un anime che attinge da tante fonti, senza mai però che queste siano fini a se stesse, e che si offre a diverse chiavi di lettura. In definitiva, un anime da non perdere.