È notizia recente l'arrivo in streaming su Netflix dei film dello Studio Ghibli, l'apprezzato studio d'animazione fondato da Hayao Miyazaki e Isao Takahata e diventato col tempo uno dei fiori all'occhiello dell'industria animata giapponese. Ma se per più di una generazione di appassionati i film di Miyazaki e Takahata sono ormai classici intramontabili, da vedere e rivedere, ci siamo resi conto col recente annuncio di quanti siano gli spettatori, specialmente tra i più giovani, che ancora non hanno avuto occasione di vedere uno o più di questi titoli. 
Abbiamo quindi deciso di portarvi una panoramica di alcuni dei titoli più famosi e apprezzati dello studio in concomitanza alla graduale distribuzione dei film su Netflix. Quest'oggi ci dedichiamo al primo film realizzato dal "giovane" Yonebayashi, uno dei più talentuosi animatori all'epoca in forza allo studio.
 
Studio Ghibli

Si inizia dal suono, stavolta, che è il comparto migliore di Arrietty. Se fossimo alti dieci centimetri i rumori, anche quelli a noi più impercettibili si amplificherebbero. La piccola Arrietty, alla sua prima caccia notturna di oggetti "presi in prestito" con il padre, sente il ronzio degli elettrodomestici e il ticchettio degli orologi in lontananza, con un certo timore, che si unisce allo stupore nell'assistere all'imponenza dei mobili e di tutti gli altri oggetti della cucina. Sì perché il film Ghibli non si limita a rimpicciolire i personaggi per poi farli interagire con gli umani, crea due mondi ben distinti, quello a noi visibile, e quello invisibile.

Punto fermo del maestro Miyazaki da oltre vent'anni, la trasposizione animata dei racconti Gli sgraffignoli (traduzione errata di The Borrowers, "prestanti" o meglio ancora "prendinprestito") di Mary Norton è finalmente realtà, grazie alla tenacia del produttore Toshio Suzuki che, una volta scartata l'idea di affidare la regia allo stesso Miyazaki, convoca il giovane ma già navigato Hiromasa Yonebayashi per questo importante progetto, che si era fatto notare per le sue doti di animatore (sua è la scena più spettacolare di Ponyo, quella con le onde a forma di pesce). Scelta che si rivelerà vincente, è dal 1998, anno della tragica e prematura scomparsa di Yoshifumi Kondō (Mimi wo Sumaseba) il più promettente tra i registi, che i due fondatori cercano potenziali successori. Ovviamente è ancora presto per stappare lo spumante, ma indubbiamente la prima è buona, Yonebayashi, pur con la supervisione di Miyazaki, ha dimostrato di essere all'altezza dello Studio, Karigurashi no Arrietty è un piccolo gioiello che di Ghibli ha tutto, dai dettagliatissimi scenari ai movimenti dei capelli della protagonista che ne fanno cogliere le emozioni.
 

Se la narrazione resta semplice e abbastanza basilare per tutta la sua durata, come spesso capita sono i piccoli accorgimenti e i fattori di contorno a rendere il lavoro pregevole, dal già citato sound editing agli splendidi sfondi, che non sono solo ornamento, ma vanno a completare un meraviglioso affresco che coniuga al contempo immaginario e quotidiano. La famiglia di Arrietty è praticamente formata da stereotipi al punto che sembra quasi una sit-com, dal padre lavoratore alla madre casalinga e perennemente in ansia, completa ovviamente il quadro la figlia adolescenza e curiosa di scoprire il mondo. Il contatto tra la ragazza e Sho, giovane umano cagionevole di salute - chiaro omaggio al personaggio di Colin de "Il Giardino Segreto" -, stravolge l'armonia familiare che si vede costretta a traslocare qualora vengano scoperti dagli umani. Sho è un personaggio atipico nel panorama Ghibliano, figura cinica e negativa, guarda la razza dei prendinprestito con compassione, piuttosto che con interesse, essendo in via di estinzione, e non mancherà di ferire i sentimenti di Arrietty per via della sua inadeguatezza nell'approcciarsi con il prossimo. Ciononostante la regia si adopera nel disporre i personaggi sullo stesso piano fotografico, fare sì che i loro sguardi si incrocino, nonostante la differenza di statura, con lui sdraiato sul letto nei primi incontri, lui sdraiato sull'erba in quello successivo, lei sulla cima di una staccionata nell'ultimo, quello del congedo. E gli sguardi, tanti, presenti nel lungometraggio, sono uno dei punti di forza del linguaggio non-verbale, è incredibile come si riesca a scaturire moltitudini di emozioni tramite il semplice character design Ghibliano, dal primo, interminabile e silenzioso incontro tra Sho e Arritty, e i successivi.

Le musiche, a cura della cantante e musicista Cécile Corbel (che interpreta il tema finale Arrietty's Song in diverse lingue, italiano compreso), sono di sicuro impatto, con le loro tonalità celtiche e anglosassoni, ma che a mio avviso non si sposano perfettamente nel contesto del film, forti e sovente invadenti, belle ma poco adatte ad accompagnare lo stile Ghibli. Non essendo la Corbel una musicista cinematografica i brani risultano quasi fuori posto, aggiuntive, al contrario delle melodie di Joe Hisaishi, che invece trovavano perfetta armonia con le immagini.
 
 
In questa recensione ho preferito sorvolare sugli evidenti messaggi lanciati dal film, sul consumismo di massa, sulle etnie che scompaiono, proprio perché evidenti, preferendo focalizzare l'attenzione sulle piccole cose, perché Arrietty è questo, uno sguardo curioso su un mondo a noi così vicino, eppure ignorato. Ché si può stare ore ad affermare che tutto sommato il film riprende il Ghibli a noi noto, che non ha l'immaginario del miglior Miyazaki o l'impatto emotivo di un Takahata, ma indubbiamente cattura lo spettatore e manipola il tempo, non lo subisce, un inno al passato e al contempo uno sguardo al futuro, al nuovo che incombe, nello Studio Ghibli come nel mondo. Insomma che volere di più, un intreccio? Personaggi "profondi"? Andiamo.