Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Il regista Makoto Shinkai, del tanto parlato “Your Name.”, nel 2013 si imbatté in un mediometraggio narrante la storia di un ragazzo quindicenne, Takao, che in un giorno di pioggia, nel suo luogo preferito, incontra una donna intenta a bere birra e mangiare cioccolata di prima mattina. Da quel momento, i giorni di pioggia e quel luogo saranno il motivo dei loro incontri e del loro nascente interesse nei confronti di una persona tanto sconosciuta quanto familiare.

“Il giardino delle parole” non permette di approfondire lo sviluppo psicologico e una caratterizzazione sostanziosa dei personaggi, in contrasto con ciò che uno spettatore possa aspettarsi da un'atmosfera così malinconica, ma tremendamente reale. Non è un aspetto che sorprende e nemmeno criticabile, poiché è esattamente la durata di quarantasei minuti che prepara lo spettatore alla visione di personaggi un po' acerbi, come se fossero lo schizzo preparatorio di un disegno. Considerando l'age gap di dodici anni che intercorre tra i due personaggi, si può affermare che non si tratti di una relazione romantica e soprattutto, per personale riflessione, ridurre questo film a una mera coppia di innamorati lo snatura della sua essenza.
Se dalla parte di Takao si trova un'attrazione, un incanto verso la luce di Yukino, da parte di quest'ultima non si può parlare propriamente dello stesso: per Yukino, il ragazzo è come uno specchio su cui la sua figura viene riflessa, in Takao trova il conforto che nella sua vita non riesce a trovare e non ha mai trovato. Nei loro modi di essere, Yukino e Takao, nel profondo si sentono estraniati dal mondo, entrambi alla ricerca del loro posto per fuggire dai “diversi” e dal costante disagio interiore con cui sono costretti a vivere. Non sono opposti che si attraggono, ma simili che si capiscono intimamente; il loro legame sfonda la realtà circostante e si stanzia esattamente nei loro cuori, creando una complicità da brividi, nonostante il ragazzo sia ancora poco maturo da poterlo capire.

L'animazione è incantevole, ho gradito molto meno quella dedicata ai personaggi che crea un simil reale non tanto piacevole, ricordando un po' i personaggi di un videogioco, ma che per il paesaggio ha funzionato alla perfezione: la riproduzione del Shinjuku Gyoen lascia senza fiato, dal laghetto con i suoi dettagli, tanto da farlo sembrare reale, alla chioma che si stende su di esso e che scandisce il passare delle stagioni. Per il comparto sonoro, il rumore della pioggia misto alla matita di Takao mossa sul foglio crea una sensazione di appagamento, contornata da una colonna sonora ad hoc; ciò che, però, permette al film di emozionare ed essere così godibile sono le riprese guidate dalla mano di Makoto Shinkai, il quale riesce a racchiudere la malinconia nelle più piccole azioni.

Un film che nella conclusione si mostra più che sufficiente e che consiglio di vedere senza troppe pretese, ma con uno sguardo aperto e attento alle poche parole che Yukino e Takao si scambiano.

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Dal design particolare ed estremizzato che non ho apprezzato particolarmente, “After the Rain” si rivela in tutto e per tutto un classico dell’infatuazione, riplasmando la “Lolita” di Nabokov in veste moderna e fin troppo leggera, vissuta dal punto di vista più della minorenne infatuata che dall’adulto in crisi. Da questo grande classico dell’immaginario erotico contemporaneo derivano le più disparate fantasie ove il consistente divario d’età e i differenti ruoli sociali - in tal caso una cameriera e il suo datore di lavoro - fungono da perni su cui ruoteranno gli elementi d’attrazione e di desiderio, nonostante la vicenda narrata in questi dodici episodi finirà per scoprirsi più delicata e vagamente platonica, evitando attentamente uno spietato realismo di radice occidentale che sarebbe potuto risultare probabilmente più convincente e incisivo; non si può comunque negare l’ottimo risultato delle scelte narrative, focalizzate sulla sfera psicologica e sentimentale.

La diciassettenne Akira Tachibana è una liceale algida, introversa, incredibilmente bella e spontaneamente sensuale, ammirata e invidiata dalle compagne e desiderata dai maschi di tutta la scuola, sebbene appaia irraggiungibile e altezzosa. Dal caratterino volubile e dotata di una discreta testardaggine, lavora part-time in un caffè dall’altra parte della città, alle dipendenze di un uomo di quarantacinque anni di nome Masami Kondo, divorziato, un figlio a carico e in piena crisi di mezz’età.
Sembrerebbe un classico quadretto urbano della Tokyo dei giorni nostri (poco underground e molto borghese), se non fosse che Akira è di lui segretamente innamorata - più corretto dire infatuata - ed è evidente sin dalle prime battute che la cosa non potrà rimanere nascosta a lungo.
Prodotto da Wit Studio, la vicenda di Kondo e della sua giovane dipendente ci regala sin da subito una colonna sonora di grande qualità. Brani studiati per le atmosfere, note che introducono ai sentimenti e raramente viceversa, con una opening orecchiabile che magari non lascerà il segno, al contrario della ending, “Ref:rain” di Aimer, gioco di parole fra “pioggia” e “ritornello”, un vero e proprio capolavoro magnetico e struggente, sgorgante di romantica malinconia che vi entrerà nella testa e ci rimarrà per diverse settimane.

Questo è l’anime dai silenzi più rumorosi e dagli sguardi più impliciti a cui potrete mai assistere. L’anime delle giornate di pioggia estiva, dei volti specchiati in grandi pozzanghere mentre il cielo torna azzurro e lo sguardo indugia amaro, l’anime del coraggio di guardare in faccia i propri fallimenti e i propri desideri, l’anime delle parole non dette, ma comunque comprese.
La pregiata colonna sonora va quindi a braccetto con un’ambientazione urbana contemporanea, dinamica e piacevole. Il caos metropolitano e delle periferie nipponiche si mescola ai raggi di sole fra nubi grigie e il freddo vento che annuncia la fine dell’estate, dando vita a un palcoscenico dettagliatissimo di pregiata fattura. I fondali risultano realistici e incredibilmente curati e i fermo immagine studiati ci rimembrano vere e proprie riprese cinematografiche, anche se, purtroppo, le animazioni non riescono a raggiungere lo stesso livello. Nonostante gli argomenti trattati, questa breve vicenda non ripiega esclusivamente su situazioni di profonda introspezione o delicata malinconia, ma mette sul piatto anche numerosi spunti d’ilarità, principalmente gag scontate e banali, comunque piacevoli, spezzanti l’andamento omogeneo e compassato che strappano più di un sorriso: alcune freddure sortiscono un effetto immediato e altrettanto superficiale, riuscendo perfettamente nell’intento di smorzare il filo conduttore d’amara infatuazione e di ardua gestione.
Le lunghe assenze di dialoghi, le sequenze animate senza proferir parola e gli sguardi intensi che si scambiano i protagonisti, talvolta riescono ad esprimere più di quanto si possa dire aprendo bocca. Come in una malinconica galleria d’arte sono le immagini a parlare, e lo fanno così chiaramente da far sciogliere l’anima. Le cose non dette si rivelano quindi gli elementi più preziosi della trama, ben più di ciò che viene espresso ad alta voce (a parte un paio di riflessioni di Kondo, davvero profonde e di solida saggezza): si tratta di sfumature legate all’attrazione, elementi d’aspetto, apparenza, intesa e sintonia che riescono a instaurarsi soltanto quando fra due persone si crea un’alchimia particolare, una sorta di corrente a cui non si può girare intorno, capace di prendere e trascinare senza un esito certo o scontato. In amore non esistono regole, e nel gioco del corteggiamento ognuno segue il sentiero più spontaneo che conosce.
Pochi - ma utili all’evolversi della vicenda - i comprimari, che, a parte qualche comparsata, non incidono immediatamente a livello di trama, anche se daranno il loro importante contributo a medio-lungo termine (l’amica del cuore di Akira e Chihiro, lo scrittore, sicuramente i più importanti e apprezzati).

A livello artistico, come preannunciato, il prodotto si rivela più che discreto. Una colorazione brillante, fra l’acquarellato e il dinamico pigmentato, crea contrasti cromatici che valorizzano scenari e relazioni fra personaggi; il character design scelto, espressamente retrò, calza perfettamente con il genere di storia, anche se paga in morbidezza e avvenenza, essendo troppo spigoloso e demodé. C’è grande cura nei dettagli e negli spaccati delle abitazioni, e ogni locazione interna viene spesso proposta con primi piani su dettagli casalinghi che arricchiscono il realismo, e ci permettono di percepire un senso di comfort e di calore quotidiano.
Esattamente come riporta il titolo, la pioggia è il malinconico, affascinante e languido tema portante, accompagnato da una colonna sonora altrettanto malinconica e struggente, che calza come un guanto dalle maliziose trasparenze, velatamente innocenti: un ossimoro adolescenziale non così raro. A fronte di tale ingenuità che trapela nei primi piani dedicati ad Akira, si contrappone lo sguardo dello spettatore che troverà sicuramente connotati d’indiscussa sensualità nelle lunghissime e affusolate gambe della giovane protagonista, gambe sottili e scattanti formate grazie ad anni d’atletica leggera, aggraziati compassi che sostengono un fisico snello e alto, spesso messe in mostra per merito di cortissimi pantaloncini estivi, sfoggiati in momenti di innocente quotidianità casalinga e d’inconsapevole, attraente purezza; elementi di una donna che ancora non è tale ma che, con le dovute tempistiche, sta prendendo coscienza di sé. L’aspetto di lei è stato studiato nei minimi dettagli per colpire e affascinare, una silfide dalle iridi fra l’indaco e il blu dalle sfumature di viola all’imbrunire dopo una giornata uggiosa, lunghi capelli corvini lisci come seta bagnata e pelle chiarissima. Quest’aspetto incredibilmente avvenente nasconde invero un carattere immaturo che rivela l’adolescente qual è, e inserito nell’ambiente asettico di una vicenda abbastanza realistica, anche se non sempre credibile, risulta in ogni caso pertinente e naturale.
Più classico lui, il (fin troppo) gentile signor Kondo, uomo tutto d’un pezzo, dallo sguardo pieno di sogni infranti ma ricco di determinazione, in lotta con la quotidiana accettazione di uno stile di vita che non era fra i suoi sogni di ragazzo, ma con cui oggi deve comunque fare i conti. Le sue tentazioni, i suoi desideri, le sue paure e sofferenze si riveleranno Demoni della Passione che tuttavia non riusciranno a rovinargli la vita, e se per certi versi potranno apparire poco originali, risulteranno invero credibilissimi, più reali che mai, nascosti dietro una maschera di serenità che tanti adulti indossano per relazionarsi, ma che equivale a una mesta, classica messinscena pirandelliana.
A fronte di questi elementi uno più affascinante dell’altro, è la costruzione della trama l’elemento meno incisivo di tutto il prodotto: sebbene si tratti di qualcosa di atipico e fuori dagli schemi, decisamente diverso dalla solita novella romantica, viene a crearsi un’attesa, episodio dopo episodio, che a conti fatti non si conclude né limpidamente né concretamente. Si ha la sensazione di un non-finale, come se dovessero accadere ancora determinati eventi e si dovessero raggiungere determinati traguardi; l’epilogo aperto è accettabile, ma si percepisce vincolante, a prescindere dalle scelte di vita dei protagonisti e delle loro sorti, la sensazione che manchi qualcosa di solido e più approfondito.
Ad ogni modo, la narrazione sussurrata e ricolma di sguardi indagatori, sornioni, attenti, complici e intensi funziona a meraviglia, ed essa s’irrobustisce principalmente nella seconda metà dell’anime, in una sequenza di episodi delicati ma carichi di sentimento, dove pennellate di tanto atteso realismo arrivano sulla tavolozza delle emozioni sia sotto forma di giovane sofferenza, sia attraverso una silenziosa, combattuta maturità: un incontro di due generazioni, che, guardandosi negli occhi, cercheranno di capirsi senza mai incontrarsi veramente, se non sfiorando l’anima l’uno dell’altra, al di là del buon senso e delle abitudini sociali.
Come ampiamente sottolineato, “After the Rain” è a tratti realistico e a tratti surreale, un crossover di comportamenti plausibili intrecciato a situazioni utopistiche da romanzo rosa: la sua più grande mancanza è l’assenza totale di carnalità, di desiderio indiscriminato, anche soltanto accennato. Non c’era ovviamente nessuna necessità né di mostrarla né di farla intendere a tutti i costi, ma per un maggior realismo si sarebbe almeno potuto leggere fra le righe. Ne andava bene un pizzico, anche insipido e sbiadito, mentre invece il tutto scivola verso qualcosa di dolcissimo, sofferto (raccontato ad arte, sia chiaro), malinconico, un pre-romanticismo difficile anche solo da far sbocciare. E alla fine va bene così, in fondo sono questi i temi che l’autore ha desiderato trattare e illustrare allo spettatore, ma, causa l’estrema (e apprezzabilissima) leggerezza d’insieme, ne scapita uno schietto e onesto realismo che in alcuni frangenti non avrebbe affatto guastato. Come se non bastasse, gli ultimi due episodi sono ricchi di divagazioni personali trattanti temi esterni al filone principale, che un po' confondono poiché distolgono l’attenzione dalla questione centrale, salvo poi riallineare ogni elemento in extremis.

I binari di questa serie portano principalmente in luoghi di gentile introspezione fino ad esplorare i primi passi di una fragile infatuazione, e tirando le somme ne vien fuori una valutazione più che positiva.
La vera, profonda, spassionata bellezza di “After the Rain” è il rimembrarci di quanto sia dolce e palpitante l’ingenua tenerezza e l’inconsapevole spensieratezza con cui si vivono le prime cotte adolescenziali, ignorando totalmente le conseguenze di una spontanea istintività, una irrefrenabile e meravigliosa forma d’incoscienza propria dell’inesperienza relazionale, nonché schietto sintomo di un’attrazione che a quell’età non può che essere pura, sincera e travolgente, quasi sciocca per quanto vera.
Un tema speciale trattato coi guanti, un ritratto acquarellato intriso di malinconica pioggia, da vedere assolutamente se siete amanti del genere.

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In poco meno di un'ora "Happy-Go-Lucky Days" ci propone tre storie con protagonisti diversi ma collegate da due temi, sessualità e scuola, mostrati sotto punti di vista che cambiano a seconda dei personaggi.

In particolare il sesso viene affrontato sia approcciandosi all'omosessualità, sia alla sua scoperta da parte degli adolescenti, proponendo uno spaccato della società moderna fatta di queste situazioni che evadono dalla classica storia d'amore proposta da sempre. Storie raccontate in modo molto leggero al punto da far strappare qualche sorriso per la loro dolcezza, ma che in realtà contengono una forte carica emotiva, se ci si mette nei panni dei protagonisti. Storie forse troppo brevi per sviscerare argomenti così complessi anche se bastano per intrattenere chi ricerca del romanticismo, magari un po' diverso dal solito. La scuola non è un semplice sfondo a questi racconti, ma è il luogo che porta alla scoperta dell'altro e di se stessi, proprio da buona "galeotta" per tutti i ragazzi che ci passano.

La prima vicenda racconta la storia di due ragazze, ormai donne, che si incontrano per caso al matrimonio di una comune amica. Tutto normale tranne che entrambe sono state innamorate di lei (al liceo una, all'università l'altra) e da questo fortuito incontro nasce una relazione lesbica poggiata sul ricordo di quella ragazza che al tempo le aveva così ferite. Nella seconda un professore di un istituto maschile riceve all'improvviso una dichiarazione d'amore da parte di un suo ex studente, così da influenzare il rapporto che avrà con il suo lavoro, con i suoi colleghi, con la sua famiglia e con i suoi futuri studenti. La terza storia (divisa in due parti) parla di una coppia di giovani studenti delle elementari-medie che scoprono il sesso con tutte le titubanze della pubertà. Insomma la scuola, più o meno indirettamente, scatena la consapevolezza di essere omosessuale tra due donne, la necessità proibita di amore tra professore e studenti, l'approccio precoce alla sessualità tra due poco più che bambini.
Dal punto di vista tecnico il film non regala virtuosismi delle animazioni visto che presenta scene piuttosto statiche, il tratto è netto e gli sfondi ben curati. I vari protagonisti sono molto espressivi grazie ad un character design che enfatizza molto gli stati d'animo, merito forse di questi occhioni a volte esagerati. Una nota di merito va alla caratterizzazione di una delle protagoniste della prima storia che mi ha colpito molto sia per il design, sia per la maturità. Le musiche accompagnano tranquillamente la narrazione senza niente di esaltante.
Il pregio maggiore di questo film è quello di raccontare delle storie che affrontano la sessualità in maniera non convenzionale per quella che è la società o lo stereotipo dell'amore proposto consuetamente, un rapporto con l'altro che di sicuro provoca del turbamento ai personaggi, con una leggerezza che fa scivolar via tutte le apprensioni, come se fosse un giorno di scuola come un altro. Se la brevità dei racconti che preclude un approfondimento delle varie situazioni può essere un difetto, in realtà rende lo spettatore complice di queste vicende (un po' sconce) empatizzando a sufficienza con almeno uno dei protagonisti. Un'oretta che scorre veloce, che fa pensare all'ingenuità nei nostri cuori.