Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Il mondo dei manhwa, i fumetti coreani, sta diventando sempre più noto, da quest’anno anche nell’ambito dell’animazione. Com’è logico che sia, per cominciar a far conoscere queste opere, spesso realizzate da ragazzi anche giovanissimi che si cimentano nel disegno e nella scrittura dei loro lavori del tutto da soli, si punta in quelle più lette e quindi più famose, in particolare sulla piattaforma WEBTOON.
Io capito proprio “a fagiolo”, dato che è da quasi un anno che ho cominciato a leggere questi manhwa proprio tramite l’app WEBTOON, quindi ero molto felice di poter vedere animate le storie che avevo appena letto.
Se per “Tower of God”, trasmesso poco prima della serie che sto recensendo, l’hype era a mille perché tra i manhwa è senza ombra di dubbio tra i miei preferiti (lascio stare il giudizio sull’anime, dato che meriterebbe una recensione a parte), “The God of High School” mi entusiasmava, all’uscita dei primi trailer, per le animazioni e anche per quello che doveva essere il tema centrale: le arti marziali. Di fatto, non lo avevo letto, quindi non sapevo cosa aspettarmi, ma proprio in occasione dell’uscita dell’anime avevo deciso di anticiparmi leggendo i primi capitoli dell’opera su WEBTOON. Risultato: delusione. Ma avevo ancora speranza: le animazioni avrebbero aiutato a far gradire la storia in generale e, da quel che sapevo, dato che comunque il manhwa fu iniziato diversi anni fa, per una questione legata all’adattamento, sarebbero stati apportarti alcuni cambiamenti. Tutto ciò mi ha portata ad arrivare alla prima visione di “The God of High School” tutto sommato emozionata, nonostante l’impatto con il manhwa non mi avesse soddisfatta.

Allora… Se devo essere onesta, trovo alcune difficoltà a recensire quest’opera, perché, presa nel complesso, è così confusionaria da mettersi le mani nei capelli, ma cerchiamo di procedere con calma.
Prima le cose buone o quelle cattive? Va beh, partiamo dai punti più facili, ovvero i primi.
Ciò che, senza se e senza ma, di questa serie si salva sono due cose: le animazioni e la colonna sonora. Per quanto riguarda le prime, scorrevano fluide: una vera e propria gioia per gli occhi. Per un anime sulle arti marziali (mettere le ultime due parole tra tante virgolette), guardare i movimenti dalle varie angolature era a dir poco soddisfacente: allo studio d’animazione non si può dir altro se non che abbiano svolto un lavoro eccellente.
La colonna sonora merita anch’essa degli elogi: azzeccatissima per il tipo di anime e davvero particolare: diciamo che una soundtrack simile in altri anime difficilmente si trova, o almeno tra quelli che ho visto non ho sentito nulla del genere. Anche qui tanti complimenti al compositore.

Bene, potrei spendere anche altre parole per questi due punti, giusto per equilibrare il testo della recensione tra gli elementi buoni e non della serie, ma mi ripeterei, quindi preferisco dedicarmi alla parte dura: gli aspetti negativi di “The God of High School”.

Dunque, il discorso qui si fa insidioso, dato che le cose che non hanno funzionato in quest’anime sono troppe, ma vorrei partire da quello che forse è l’elemento che primo tra tutti salta all’occhio: la trama.
Diciamo che è parecchio difficile sintetizzare quest’opera o anche solo questa serie (o stagione? Per la lunghezza del manga, questi tredici episodi sono a malapena l’introduzione, quindi è probabile che si voglia proseguire con l’animazione dei capitoli successivi...), dato che in poco più di una decina di puntate accadono talmente tante cose che, cercando di voler riassumere, si va inevitabilmente incontro all’esasperazione. Diciamo che un quantitativo di eventi, rivelazioni, power-up (e chi più ne ha più ne metta) della portata di quelli presenti in “The God of High School” l’avrei trovato accettabile in una serie lunga minimo il doppio dei soli tredici episodi proposti. Ma che dico? Il triplo.
Seriamente, succedono così tante cose in un solo episodio che, allo stesso tempo, sei elettrizzato e confuso, per poi arrivare alla fine dei venti minuti cominciando a meditare: “Ma che cavolo ho visto?”. Non è che la stragrande maggioranza degli eventi che accadono in questa serie siano senza senso, ma... in fin dei conti lo sono. Il problema principale, più che la quantità di avvenimenti nell’arco di pochissime puntate o addirittura minuti, è la mancanza assoluta di spiegazioni per quanto accade, e, anche quando sono presenti, sono ridotte all’osso e incomprensibili. Se queste fossero state accettabili, avrei anche provato a capire i milioni di eventi in questa serie, ma, se non ricevo uno straccio di chiarimento, mi sembra tutto buttato a caso, tanto per rendere personaggi e opera in generale più “fighi”.
Okay, ma questo è solo l’inizio, no? Diranno coloro che hanno letto i quattrocento e passa capitoli del manhwa. Se un discorso del genere l’avrei accettato per “Tower of God” (non perché l’abbia effettivamente letto, ma proprio perché l’introduzione dell’opera è visibilmente solo un inizio, con le spiegazioni necessarie e i punti interrogativi messi nei posti giusti. Non realizzato nel migliore dei modi, ma questo è un altro discorso...), non faccio altrettanto per “The God of High School”. Questi tredici episodi non sembravano l’inizio della storia vera e propria, quanto più una specie di riassunto-minestrone della storia completa realizzato con i piedi, tanto per comprimere tutto in poche ore.
Con il manhwa non sono arrivata allo stesso punto della fine della serie, quindi non saprei dire se l’adattamento abbia saltato delle esplicazioni, ma qui io non mi permetto di giudicare l’opera originale. Questa recensione si basa solo sull’anime, e la trama in questa è gestita malissimo.

Passando ai personaggi, altri elementi chiave nelle serie, me ne saranno piaciuti due/tre, ma neanche più di tanto. Diciamo che come la trama sono tenuti in piedi su delle basi di sabbie mobili, anche quelli principali. L’unico del trio dei protagonisti che apprezzavo era Daewi, dato che sembrava l’unico con un obiettivo definito e un carattere un po’ più delineato, ma anche lui ad un certo punto si perde tra la miriade di eventi a caso che accadono in questa serie, tanto da diventare un personaggio insulso: sembra quasi che da un episodio in poi venga a mancare anche la sua personalità.
Lasciando stare i personaggi principali, anche quelli secondari non scherzano per quanto concerne l’inutilità e la mancanza di senso assoluto. Anche questi sono tantissimi, molti dei quali non si capisce chi siano e a cosa servano. Non ce n’è uno che spicca, in generale. Non mi è rimasto impresso davvero nessuno, paradossalmente in una serie tanto ricca di personaggi come questa.

Credo che debba concluderla qui, anche perché, se volessi continuare entrando più nel dettaglio, mi scoppierebbe la testa, ripensando a tutto ciò che succede in “The God of High School”. Cavolo, se avesse un minimo di senso... La cosa più brutta di questa serie è che ti lascia davvero l’amaro in bocca: guardi delle cose spettacolari, al momento sei anche elettrizzato, ma l’attimo in cui tutto finisce scompare la magia, come se tutto fosse stato un miraggio.
In conclusione, la mancanza principale di quest’anime è il senso: se ce ne fosse stato non dico in quantità normale, ma almeno decente, molti degli avvenimenti che ricordo per il 90% grazie alle animazioni incredibili avrebbero avuto un effetto emotivo molto più grande.

Ultime riflessioni: vedrò un prosieguo laddove dovesse essere animato? Difficile a dirsi, ma probabilmente direi sì solo per guardare i combattimenti animati magistralmente dallo studio MAPPA, senza più preoccuparmi di trovare un senso a ciò che vedo, ma prendendolo tutto come un modo per allegrare gli occhi.
Consiglio l’anime? Ovviamente, dato il mio giudizio, sarebbe ovvio che dica di no, ma credo che chi non abbia molte pretese (anche se, pensandoci meglio, il cervello deve lavorare molto per trovare una logica nella trama...) e voglia godersi una serie dalla portata di animazioni e colonna sonora molto elevata potrebbe anche appezzare questa serie.

Giudizio finale: 5. Se gli elementi positivi non fossero stati tanto buoni, la valutazione sarebbe stata molto inferiore.

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Sono passati diversi anni da quando il leggendario Joseph Joestar, in un susseguirsi di assurdi, iperbolici colpi di scena, accompagnato da improbabili, ed eccentrici compagni, finì per confrontarsi con la minaccia ultima e assoluta, i famigerati “uomini del Pilastro”. Dagli strascichi di quel duello micidiale prenderà forma una nuova, favolosa avventura che vedrà come protagonisti, ancora una volta, la famiglia Joestar e compagni.
Maschere che tramutano esseri umani in vampiri, antichi semidei che paiono spogliarellisti aztechi in gonnellini succinti e una mitologia folle e oscura: molto tempo è trascorso e tante cose sono cambiate, ma i pericoli non sono certo svaniti... forze nefaste e diaboliche covano in segreto, accrescendo il loro rancore e generando creature terribili e spaventose, invero note a pochi: è il 1987, e in Egitto, esattamente al Cairo, si sta per verificare qualcosa di davvero spaventoso.
Protagonista e nuovo “Jo-Jo” di questo terzo arco narrativo (seconda tranche animata) è Jotaro Kujo, diciassettenne duro, tenebroso, teppista spigoloso e inizialmente irrequieto, che per qualche strano motivo ha deciso di farsi rinchiudere in una delle celle nella centrale di polizia a Tokyo, e ora non vuole più andarsene! Sostiene di essere stato posseduto da un fantasma, o forse uno strano demone oscuro, capace di nuocere indistintamente alle persone che ha intorno. Il destino vuole che, proprio il giorno di questa singolare bizzarria, a Tokyo giunga niente poco di meno che Joseph Joestar, nonno di Jotaro (!), e, come ci si poteva immaginare, ben al corrente di ciò che sta passando il nipote.

Araki, dopo i primi due archi narrativi che sapevano di antico, intrisi d’un retrogusto gotico atipico e discordante, decide di aggiungere l’elemento che, da qui in avanti e in modo definitivo, distinguerà “Le bizzarre avventure di Jojo” più di ogni altro fattore: gli “Stand”, ovvero manifestazioni spirituali del carattere e della forza combattiva di chi li possiede. Essi possono assumere qualsiasi forma o aspetto, ma sovente hanno sembianze antropomorfe che ricordano bizzarri esseri umani, anche se in realtà non esiste una regola che li contraddistingua; uno “Stand” è strettamente collegato al proprio portatore e i suoi tratti distintivi si rifanno ad esso. Dotati talvolta di forza sovrumana o di peculiari poteri caratteristici, intraprendono direttamente gli scontri, le battaglie e le lotte all’ultimo sangue al posto dei protagonisti. Questo stretto legame spirituale fa sì che i “portatori” debbano manovrarli esercitando una volontà combattiva, condividendone per altro sensazioni, percezioni e danni subiti. Ebbene sì: un cambio di narrazione che rimescola le carte in tavola e trasforma il prodotto in qualcosa di più fresco e innovativo, una visione marziale ulteriormente evoluta e incredibilmente apprezzata dai fan di tutto il mondo.

“Stardust Crusaders” ricalca le epiche, scioccanti orme di “Battle Tendency”, raccogliendo senza vergogna quel retrogusto di trash sconsiderato e quasi imbarazzante che tanto abbiamo amato, rimodellandolo su nuovi standard e inasprendolo a livelli di una divertente vena demenziale mai vista prima. Hiroiko Araki rielabora il cattivo gusto e lo humor nonsense proposti precedentemente con ancor più disagio e follia, strappando allo spettatore genuine risate e un sincero disgusto per alcune situazioni che definire grottesche sarebbe ben poco.
Come le avventure di Jonathan e (soprattutto) Joseph ci hanno insegnato, gli elementi trash s’intrecciano benissimo con la trama principale e talvolta risultano addirittura funzionali ad essa. Molto più longeva delle precedenti, “Stardust Crusaders” rivela la sua vera natura sin dalle prime battute: non una storia compassata dove il male si focalizza ed emerge pian piano, bensì una corsa forsennata verso la meta, una sorta di “Giro del mondo” da completare in cinquanta giorni anziché ottanta. Dal Giappone all’Egitto, meta finale Il Cairo, attraversando praticamente tutta l’Asia meridionale. Una persona cara da salvare, una missione impossibile da compiere, una schiera di nemici grotteschi, pericolosissimi e imprevedibili: ecco che il mitico, eroico, intelligente Joseph Joestar, divenuto ormai anziano - più simile a un Indiana Jones fuori di testa che allo strafottente spaccone a cui eravamo abituati - organizza questa ardua, rischiosa traversata per giungere alla meta. Come in ogni viaggio che si rispetti, i comprimari si riveleranno elementi fondamentali e variegati, spesso di buon cuore e ricchi di sorprese: Polnareff, Avdol, Kakyoin e Iggy, personaggi che, se amate il trend e il gusto di Araki, rimarranno senza dubbio nel vostro cuore.

Durante lo scorrere dell’opera, due sostanziali differenze si evincono con naturale chiarezza: la prima è che il prodotto si sia definitivamente evoluto in uno “shonen beat’em up” a tutti gli effetti, ricco di colpi ad effetto e micidiali power up capaci di ribaltare la sorte dei duelli. Non che prima ne fosse esente, ma in “Stardust Crusaders” tali caratteristiche assumono contorni ben delineati, e con l’inserimento degli Stand la componente marziale si acuisce in maniera estrema. Il ritmo della storia è totalmente differente da quello dei due capitoli precedenti; spesso affannoso, un rapido susseguirsi di colpi di scena, avvenimenti inaspettati e stravolgimenti di fronte costellato di ben poche pause.
La seconda è, come accennato poc’anzi, la durata: addirittura quarantotto episodi. Tale costruzione permette di inserire numerosi avversari, molteplici flashback che parlino del passato dei protagonisti, una infinita quantità di gag demenziali e momenti comici, ma al tempo stesso è forse l’unico vero punto debole di tutta la struttura: a volte si ha l’impressione che ci si dilunghi troppo, e alcuni elementi - anche a caldo - rallentano eccessivamente la narrazione, quando invece il plot che l’autore ci comunica vuole essere incalzante e stringente, una vera e propria corsa contro il tempo. Tolti due o tre episodi anonimi e di misera attrattiva, il resto dell’opera risulta ad ogni modo eccellente.
La trasposizione animata del capolavoro di Araki riflette perfettamente le emozioni e il caotico mondo degli Stand cartacei, invisibile a chi non li possiede, potere che prende definitivamente il posto delle ormai desuete Onde Concentriche (Hamon), e che si rivelerà imprevedibile, devastante e sempre mutevole.
In “Stardust Crusaders”, “Le bizzarre avventure” divengono ancor più bizzarre. Per aver la meglio sui nemici, i cinque protagonisti dovranno dare fondo a tutte le loro risorse fisiche e mentali, ingegnandosi in strategie fra l’assurdo e l’audace, sia coraggiose che ridicole al tempo stesso (e sia Joseph, maestro di espedienti, che suo nipote Jotaro e compagni si dimostreranno molto abili in questo).
Tassative, anche stavolta, una gran quantità di citazioni e riferimenti a gruppi musicali, film di Hollywood e momenti storici: Araki non si tira indietro e dipinge un nuovo, mirabolante, esplosivo quadro di adrenalina e follia che inizialmente mostra alti e bassi, ma nella seconda metà si irrobustisce e sfoggia una granitica potenza narrativa, crescendo di episodio in episodio, stordendo lo spettatore in un finale spettacolare, tragico ed epico al tempo stesso. Un nemico tanto crudele quanto storico sta per tornare... come si potrà mai arginare il potere de “Il Mondo”?

Graficamente lo stile cambia ancora, provando ancor più ad attenersi all’originale manga, e, probabilmente, migliorando lo stile, meno confusionario e più nitido. Colori sgargianti, outfit privi di logica e pose fra l’imbarazzante e l’assurdo deliziano lo spettatore sin da subito, ma è la colonna sonora che vola altissima grazie a tracce indimenticabili, opening da paura e soprattutto ending celebri riprese dagli anni settanta (“Walking like an Egyptian” delizia, ma “Last Train Home” dei Pat Metheny non la potrete più dimenticare).

Ancora una volta “Jojo” si permette d’intrattenere lo spettatore in modo originale ed esaltante, suggerendo risate, stupore, emozionando e sconvolgendo: un altro tassello della storia dei Joestar, forse non il migliore, ma sicuramente di alto livello.
Che dire? Imperdibile, soprattutto per i fan di Araki.

7.0/10
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«World Trigger» è un anime, a cura dello studio di animazione Toei Animation, tratto dal manga scritto e disegnato da "Daisuke Ashihara", frizzante, ricco di azione e di strategia.

In una piccola città del Giappone un giorno si apre momentaneamente un portale da dove fuoriescono creature misteriose, evocate, si dice, da un'altra dimensione. Questi esseri, che vengono chiamati Neighbor, attaccano la città, seminando il panico. Da quel momento sono trascorsi quattro anni, e nel frattempo si è costituita un'organizzazione per affrontarli, i Border. I portali intanto continuano ad aprirsi e chiudersi. Un giorno Osamu, un normale studente, incontra un misterioso ragazzo, Yūma Kuga, che si presenterà come un Neighbor.

Gli agenti Border sono suddivisi in classi (A, B, e i più deboli C), e raggruppati in squadre di più elementi specializzati in diverse categorie: assalitori, cecchini, etc. Durante i combattimenti gli agenti Border utilizzano un corpo fittizio composto unicamente di Trion (un'energia che si trova in ogni individuo); una volta che questi corpi vengono gravemente danneggiati (feriti), il soldato viene riportato automaticamente nella base.

Questa idea molto semplice porta un grande vantaggio nelle sfide: i soldati possono essere spericolati quanto vogliono, possono sacrificare braccia, gambe, anche la vita stessa, tanto non moriranno. Al contempo questa interessante caratteristica porta immancabilmente a una considerazione: non si muore, non si può morire, non si può rimanere feriti. L'unico handicap che si avrà sarà quello di non poter intervenire nuovamente subito, ma non si rischia nulla.

Durane gli allenamenti, gare e tornei che vedremo nel corso della serie questa caratteristica è un qualcosa che appassiona lo spettatore, ma, quando invece sono degli extraterrestri ad attaccare, parte del pathos viene meno, mentre i nemici rischiano facilmente di fallire. In pratica, può arrivare un nemico potentissimo, dopo una lotta accanita può anche "uccidere" tutti i soldati, ma, se non distrugge la base, non avrà arrecato il minimo danno.

I Neighbor non hanno solo sembianze mostruose ma anche, come nel caso di Yūma, quelle umane, e i più forti saranno proprio quelli con tali sembianze. Ma i motivi per cui esistano forme simili si chiarirà in parte durante la serie, così come l'origine di Yūma e il motivo per cui ha deciso di venire sulla Terra.

Il punto debole maggiore è dato da due protagonisti, Osamu Mikumo e Yūma Kuga, per motivi completamente diversi.
Osamu è debole, ma non nel senso che uno si aspetta. In una storia dove la strategia, l'intelligenza, la combinazione di talenti si dimostrano fondamentali, non importa se un personaggio sia debole nel combattimento, basta avere quell'astuzia (stile "Jojo") che ti permetta di prevalere, farti notare, essere decisivo; lui non lo è. In pratica, è un individuo debole in tutti i sensi, può risultare simpatico, ma gli manca quel qualcosa per renderlo davvero protagonista, scelta voluta o meno che sia.
Yūma Kuga è forte, fortissimo, soprattutto all'inizio. Poi, con il passare del tempo, la sua forza sembra improvvisamente variabile, a volte è invincibile, a volte sembra che chiunque lo possa sconfiggere, basta che l'avversario sia determinato o che utilizzi l'ingegno. Data la provenienza di Kuga, certi suoi errori straniscono.
Chika Amatori, amica di Osamu, è ben caratterizzata. In realtà, un punto di forza sono la caratterizzazione dei tantissimi comprimari (talmente tanti che alcuni li conosceremo solo verso la fine della storia), forti, abili, astuti, dei veri guerrieri, a discapito del loro trascorso quasi pacifico.

Durante le tante sfide vedremo l'uso di strategie efficaci, appassionanti, diverse, dove ogni singolo individuo sarà difficile da battere, chiunque sia il proprio avversario. Considerando che combattono a squadre, e che solitamente le sfide prevedono il combattimento simultaneo anche di tre o quattro, il tutto sarà reso veramente entusiasmante. Alcuni elementi "B" sapranno affascinare anche più di alcuni classificati come "A". Fra i tanti, cito Sōya Kazama, Kei Tachikawa e Yūichi Jin. Interessante anche l'abilità denominata "effetto collaterale" che i vari personaggi posseggono, utile o meno ai fini delle loro battaglie.

Alcuni episodi, alcune parti, potranno essere considerate eccessivamente allungate. (Avviso lo spettatore che gli episodi dal 49 al 63 non sono tratti dal manga)
Per quanto riguarda le opening, sono tre, tutte molto dinamiche: "GIRIGIRI" dei Sonar Pocket, molto orecchiabile, "Ashita no Hikari" di AAA e "Dream Trigger" di Pile. Le animazioni solo nella norma, ma, data la lunghezza della serie, è comprensibile che non siano eccellenti come si avrebbe voluto; per fortuna ogni combattimento è ben reso, le scene di azione sono sempre comprensibili e godibili. I disegni sono buoni.

Da consigliare a coloro a cui piace una storia ricca di azione e strategia, originale per come è strutturata, e che non si scoraggino, visti i tanti episodi che compongono la serie.