Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Quanti litri di lacrime ha versato il povero protagonista, Nobuaki, durante lo svolgimento degli Osama Game? Quante volte lo spettatore si è dovuto sorbire i suoi lunghi e noiosi discorsi sul salvare i propri compagni di classe? In quante circostanze Nobuaki ha messo da parte sé stesso per garantire la sopravvivenza degli altri? Ma, soprattutto, questo impegno, questo coraggio, questo desiderio di rivalsa e non arrendersi mai di fronte agli ordini del Re, a cosa è servito? In sostanza, a niente.

Il protagonista ha assistito, inerme, alla scomparsa dei suoi amici, addirittura delle volte causandone egli stesso la morte, per delle decisioni che si sono rivelate affrettate o sbagliate. È proprio la sua concezione di collettivo, di rimanere compatti e uniti, che ha condannato molti a pene atroci e facilitato la risoluzione dell'Osama Game. Nel momento in cui l'essere umano è posto di fronte alla dicotomia tra la vita e la morte, ha la tendenza a privilegiare sé stesso, in quanto intrinsecamente egoista, di conseguenza è paradossale riscontrare l'esistenza stessa di un personaggio come Nobuaki, il quale è così proiettato nel salvare gli altri, che singolarmente non riesce a trasmettere nulla, è un main character vuoto, privo di personalità e troppo irritante, soprattutto quando cominciano a scendere fiumi e fiumi di lacrime. Piange, piange e ancora piange, in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza e per qualsiasi compagno. Sembrerebbe strano, ma esiste davvero una sola occasione in cui il protagonista non ha pianto: quando gli è stato ordinato dal Re. E mentre lui continua a piangere e purtroppo, ahimè, a sopravvivere, alcuni degli studenti in gioco riescono a raccogliere delle informazioni interessanti sull'origine e sullo svolgimento dell'Osama Game. Naturalmente è inutile sottolineare quale sarà il destino di questi poveri ragazzi, i quali, pur apparendo per mezzo episodio durante l'anime, si sono rilevati molto più utili del protagonista, che nel frattempo sta ancora versando ettolitri di lacrime.

Stranamente il protagonista non rappresenta l'unico problema della serie, anche la storia in sé è ricca di forzature e di alcuni particolari eventi al limite del ridicolo. Se è vero che "Osama Game" tra i suoi generi annovera il soprannaturale, gente che prende fuoco e continua a parlare come se nulla fosse, l'informatica che viene confusa erroneamente con la biologia, la scala per il paradiso o anche la completa mancanza di un contesto sociale esterno rendono le vicende poco coinvolgenti e credibili. E a proposito dell'aspetto contestuale della narrazione, è come se la storia fosse ambientata all'interno di uno spazio labirintico nel quale esiste solo ciò che è strettamente necessario: la Classe, il Re e l'Osama Game. Del resto, è cosa da tutti i giorni assistere a una serie di omicidi-suicidi di massa, uno dietro all'altro, oppure di ritrovarsi in ospedale dei ragazzini con ossa rotte o arti amputati senza che nessuno intervenga o si ponga delle domande su quello che stia effettivamente accadendo.

Una delle pochissime note positive, in un oceano di confusione e nefandezza, è il personaggio di Natsuko: la ragazza considerata pazza e spietata da tutti i suoi compagni, in realtà, ha compreso perfettamente la natura del gioco. Non si può uscire dall'Osama Game tutti insieme, perché non solo alla fine deve rimanere solo una persona in vita, ma alcuni degli ordini vengono pensati proprio in maniera tale, da creare scompiglio fra i partecipanti e rendere la collaborazione impossibile. Natsuko è chiaramente la nemesi di Nobuaki, un personaggio a primo impatto da odiare e sperare fino all'ultimo che faccia una brutta fine, invece, con un pizzico di furbizia e follia riesce sempre ad essere un passo davanti a tutti e, soprattutto, a sopravvivere! Perché si sta parlando della propria sopravvivenza, non della banale routine quotidiana, di conseguenza è auspicabile che qualsiasi persona con un minimo di cervello e intelligenza provi in tutti i modi a salvarsi ed evitare di fare una brutta fine.

La grafica rappresenta, in assoluto, il punto di forza dell'anime: il disegno dei personaggi è ben realizzato nei lineamenti, di un altro livello rispetto a quelli del manga in tutte e tre le versioni; anche le OST sono molto belle, la ending è "Lost Paradise" di Pile, mentre la grandissima opening è "Feed the Fire" dei Coldrain, la quale ha centrato in pieno il tema della serie: "This is the end, This is the end, The end"! Anche il doppiaggio è promosso, perché ben coadiuvato alle scene splatter: le urla strazianti, le divagazioni folli di Natsuko e i discorsi inutili di Nobuaki sono stati interpretati alla perfezione.

"Osama Game the Animation" è uno dei peggiori prodotti mai realizzati nella storia dell'animazione giapponese, non si può neanche parlare di una serie dal potenziale sprecato, perché la maggior parte delle vicende non hanno delle vere e proprie connessioni logiche, inoltre le forzature sono all'ordine del giorno. Tutto ciò che si cela dietro l'identità del Re o rispetto ai meccanismi dell'Osama Game è una tremenda forzatura, se poi si aggiungono alcune scelte da parte dei personaggi volte a sabotare sé stessi, senza alcun motivo apparentemente razionale, il gioco è fatto. Sul protagonista sono state spese già tante belle parole, ma non è tutto, Nobuaki ha già partecipato a un altro Osama Game e, sebbene ne sia uscito vincitore, non ha imparato nulla dal precedente gioco, anzi, ha commesso gli stessi identici errori e peggiorato ulteriormente le cose, a differenza di Natsuko che ha compreso in pieno come comportarsi in una situazione estrema del genere. A proposito della storyline, la serie anime è una sorta di crossover tra le tre versioni canoniche del manga, le quali è vero che sono state scritte dallo stesso autore, ma realizzate da tre disegnatori diversi, pertanto è possibile apprezzare Nobuaki e alcuni degli altri personaggi in ben tre differenti versioni.
Sebbene "Osama Game" sia stato criticato negativamente dall'inizio alla fine, è impossibile sconsigliarne la visione. Per quanto si possa trattare di un ossimoro, l'anime si lascia guardare senza troppi sforzi, perché lo spettatore è già consapevole dai primi episodi che si tratta di una serie senza troppe pretese, completamente illogica, insensata e che addirittura non vale neanche la pena soffermarsi a criticare. È possibile attribuire un voto alla serie per tre motivi: Natsuko, il character design e le OST, il resto è inqualificabile. Il To Be Continued alla fine vale il prezzo del biglietto!
Il mio voto è 3!

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«Yami Shibai» (originalmente «Yamishibai: Japanese Ghost Stories») è un anime, a cura dello studio di animazione Ilca, che sfida lo spettatore, con l'intento di spaventarlo in pochi minuti di narrazione.

Il kamishibai è una tecnica di narrazione tipica del Giappone diffusasi principalmente nella prima metà del XX secolo, dove il narratore, con l'ausilio di un palcoscenico in miniatura e di piccole scenografie costruite in legno che cambiava a seconda del momento, raccontava storie appassionanti ai bambini che accorrevano ad ascoltarlo. L'anime prende in prestito questo particolare espediente narrativo, simulando efficacemente nello schermo il risultato con una grafica davvero particolare.

Cinque minuti, no, meno. Eliminando sigla finale e introduzione il racconto dura meno di quattro minuti in realtà: la sfida di ogni episodio è quella di raccontare una storia, quindi crearla, costruirla, fare appassionare lo spettatore e soprattutto spaventarlo in quei pochi minuti. Forse vi sarà capitato di avere la sensazione, mentre si visiona un film horror, di pensare che sarebbe stato più efficace raccontandolo in pochi minuti; a questo risponde la serie: eliminando ogni parte superflua, rimane l'idea del terrore. Il gioco con lo spettatore non si esaurisce nella narrazione, è già partito con il titolo "Yami" Shibai in contrapposizione a "Kami" Shibai, un gioco di parole, in quanto il termine Kami significa sia carta che divinità, mentre Yami oscurità.

"Yotterashai miterashai yamishibai no jikan da yo". L'unico vero protagonista della serie è il misterioso narratore (kamishibaiya) che si mostra ad ogni inizio episodio; ogni racconto mostra nuovi personaggi, nuovi scenari che si concludono sempre in quei pochi minuti, non vi saranno mai personaggi ripresi successivamente. Spesso si ha un'immediata empatia con il protagonista di turno, lo spettatore è portato a chiedersi come avrebbe reagito, cosa avrebbe fatto al suo posto.

Facendo riferimento al folklore giapponese, alcuni riferimenti possono sfuggire, mentre altri molto noti possono dare l'idea del già visto; quello che conta, partendo anche dall'idea più banale, è la realizzazione, l'impronta personale dell'autore. Da segnalare l'ending molto disturbante. La riuscita o meno degli episodi dipende molto dal gusto personale, evidenzio le buone idee contenute nel quinto e nel settimo, uno dei più originali della serie. La serie ha avuto diversi seguiti, sei al momento in cui scrivo.

Consigliato a chi ama le storie horror e a coloro a cui non dispiace la particolare grafica utilizzata.

"O shimai".

8.5/10
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In "Kemono Zume" il Kifuken è un antico dojo dedito alla lotta contro i mangiacarne. Toshihiko, l'erede del dojo, conosce in modo rocambolesco Kufa, e inizia a frequentarla; il problema è che Toshihiko, accecato dall'amore, fatica ad accorgersi che Kufa è una mangiacarne. Apparentemente umana, la donna in certe occasioni può perdere il controllo e trasformarsi in un mostro privo di occhi e dai grandi artigli.

"Kemono Zume" è la prima serie scritta e diretta da Masaaki Yuasa; animato ai tempi in modo completamente unico e sperimentale, l'anime ha una forte componente artistica, componente che risalta più di ogni altro fattore all'interno dell'anime e di cui tutto il resto è funzione. Oltre alle ormai famose animazioni minimaliste ma eccezionalmente plastiche e fluide del regista e del suo staff, "Kemono Zume" si distingue per l'uso del colore che spesso satura la scena e comunica con forza le emozioni scaturite dai personaggi allo spettatore. Il colore in questa serie è un medium così potente come soltanto in pochi altri anime mi è capitato di vedere: "The Tatami Galaxy" e "Casshern Sins", serie che fra l'altro condividono in parte, o totalmente, lo staff con "Kemono Zume".

La storia d'amore fra il mostro e il cacciatore di mostri è al centro dell'intreccio narrativo, ma non ritengo sia una rivisitazione in chiave moderna di "Romeo e Giulietta", poiché il problema principale dei due innamorati non sarà quello di essere sgraditi al dojo o ai compari di lei, ma dall'essenza stessa del loro rapporto contro natura. I due devono accettare il rischio che un giorno o l'altro, travolta dalle emozioni, Fuka potrebbe divorare Toshihiko, ma i due non riescono a restare uno lontano dall'altra; emblematico il fatto che uno dei momenti in cui Fuka si trasforma è durante il sesso, ma non per questo i due innamorati vi rinunciano. "Kemono Zume" a ben guardare, più che a "Romeo e Giulietta", assomiglia alla favola del riccio, in cui gli animali in letargo devono decidere se restare lontani fra di loro e patire il freddo oppure restare vicini e ferirsi con gli aculei del vicino.

L'anime non è comunque di genere romantico, si mantiene in equilibrio come un funambolo fra un lato passionale e drammatico e uno invece grottescamente comico e bodyhorror. "Kemono Zume", come il suo predecessore "Mind Game", è molto fisico quando mostra il cibo, il combattimento e il sesso, e la serie fa un enorme uso del nudo, non solo per intenti ecchi, ma anche per sottolineare la vulnerabilità dei personaggi: più di una volta Toshihiko si ritroverà nudo come un verme in posizioni e situazioni non proprio epiche.
Purtroppo Yuasa non è un tuttofare: se le sue capacità artistiche e registiche sono indubbiamente fuori dall'ordinario, risulta sempre essere un gran pasticcione come sceneggiatore dei suoi soggetti originali, soprattutto riguardo ai finali. Yuasa mostra i suoi difetti come scrittore con il villain principale della serie, un nemico sicuramente memorabile ma forse pure troppo: Il grande nemico della serie, prima armonico con gli altri personaggi, risulta sempre più velocemente sopra le righe, trasformando l'intera opera nel suo parco giochi personale, e arrivando ai due episodi finali in cui il funambolo Yuasa, spinto dall'ingombrante figura del suo villain, cade dalla fune e precipita rovinosamente dal lato del grottescamente comico. I due episodi raggiungono sicuramente l'apice tecnico della serie, ma d'altro canto mandano sostanzialmente a quel paese l'atmosfera fino ad allora creata. Da notare con disappunto anche come Yuasa si sbarazza di certi buoni personaggi secondari, buttandoli sostanzialmente via e vanificandone il percorso.

Nonostante alcuni difetti di sceneggiatura, "Kemono Zume" è un anime che terrà incollato al video lo spettatore con la bellezza delle sue animazioni, dei suoi colori e con la potenza narrativa di certe situazioni.