Se dovessi descrivere con un solo aggettivo Hirohiko Araki, molto probabilmente "bizzarro" è proprio quello che mi verrebbe in mente. La mente dietro la creazione delle avventure della famiglia Joestar è indubbiamente uno dei creativi più singolari sulla faccia della terra, e ha più volte dato modo di dimostrarlo (incluso quando fu ospite dell'edizione 2019 del Lucca Comics & Games, clicca qui per recuperare il suo intervento in teatro). Il suo continuo rifarsi a persone reali da lui osservate, l'esaltazione dei dettagli fino a portarli al limite dell'assurdo mischiati alla demenzialità e alla stoicità dei personaggi (ossimoro voluto) e il sempre crescente numero di citazione alla cultura moderna hanno indubbiamente forgiato Le bizzarre avventure di JoJo nell'immaginario culturale (compreso quello di chi scrive).
 

Tuttavia, se escludiamo momentaneamente la "prima generazione" dei fan di JoJo, ci accorgiamo che esiste un gap temporale colossale della popolarità della serie, che è tornata alla ribalta dopo un po' di tempo trascorso nella nicchia grazie all'adattamento animato a cura di David Production nel 2012. Annunciato in pompa magna come una vera e propria "impresa", atta a trasporre l'intera epopea della famiglia Joestar, il progetto animato fu accolto con estremo entusiasmo dal fandom di JoJo, felice di vedere finalmente una trasposizione completa di uno dei manga più famosi di sempre.
Facciamo quindi tornare le lancette dell'orologio a 10 anni fa, al 6 ottobre 2012 (chi scrive compiva 14 anni), perché stiamo per tornare a quando ancora gli Stand non esistevano, ai tempi delle maschere di pietra e del meme più molesto che Internet abbia mai conosciuto.
 

Innanzitutto, trasporre uno stile polimorfico come quello di Araki in un anime era un compito molto difficile: un tentativo già era stato fatto tra il 1993 e il 1994 con la trasposizione OVA di Stardust Crusaders, il terzo arco narrativo della saga. Tuttavia, nonostante il risultato fosse un buon prodotto, era palese che qualcosa non funzionasse: togliendo lo stile che poco c'entrava con quello di Araki, mancava completamente tutta la componente assurda descritta prima, le esagerazioni tipiche di Araki, ma anche tutto quello "spirito umanistico" che permea l'opera e che l'autore cita spesso e volentieri quando parla della genesi di JoJo e delle sue tematiche ricorrenti. Molto più spazio era stato dato alla trama in sé e alla "rotondità dei personaggi", rendendoli molto più seri e realistici di quanto non lo fossero davvero. L'errore fu molto probabilmente qui: JoJo ha sempre circoscritto i momenti in cui la storia si prendeva sul serio proprio per dare a essi più valore, ma mantenendo comunque quell'esagerazione tragica che rendono l'opera, di fatto, paragonabile a una piéce teatrale. Con un anime che si prendeva troppo sul serio il risultato fu inevitabilmente un prodotto che, come già detto, resta indubbiamente valido... ma che non era JoJo perché mancava di tanti, troppi elementi caratteristici dell'opera di Araki.

David Production, probabilmente conscia dei motivi dello pseudo-fallimento degli OVA, tracciò sin da subito una linea molto precisa: innanzitutto, fedeltà assoluta allo stile di Araki, adattando la serie al tratto più moderno dell'autore (mantenendo però il voluto omaggio a Ken il guerriero nel personaggio di Jonathan Joestar) in modo da renderla più appetibile al pubblico. I corpi dei personaggi risultano pertanto sempre statuari e plastici come nella controparte cartacea, ma indubbiamente anatomicamente molto più corretti di quanto Araki fece durante la pubblicazione. Inoltre, la serie doveva essere "JoJo"in tutto: lo stile, la regia, la fotografia, la presenza dei personaggi su schermo, persino la sigla. Indimenticabilmente iconica è infatti la sequenza di apertura di So no chi no sadame, che vede un rewind a partire da Parte 7 dei protagonisti delle varie parti in versione manga fino ad arrivare a Jonathan che prende vita dal fumetto e sfonda lo schermo facendo apparire, per la prima volta, la scritta Le bizzarre avventure di JoJo. Ogni singolo elemento doveva avere un motivo per esistere e, una volta deciso, doveva essere reso folle e assurdo, proprio per conferire a ogni episodio la giusta dose di demenzialità di cui è sempre stato pregno JoJo. L'uso dei menacing, delle scritte a schermo che accompagnano l'azione esagerando il tono, drammatico o serio che sia, furono un'ottima scelta, tanto che venne poi mantenuta anche all'interno delle stagioni successive.
 

Un altro elemento importante fu la scelta di ripartire da zero: un nuovo inizio in medias res (magari adattando Diamond is Unbreakable) non avrebbe fatto altro che confondere il pubblico intenzionato ad approcciarsi al brand. Per cui, David Production scelse saggiamente di resettare il tutto e partire con una prima stagione composta dai brevi archi narrativi di Phantom Blood e Battle Tendency. La scelta di adattarli insieme, oltre alla già citata breve durata delle due parti, fu proprio per riallacciarsi subito con Stardust Crusaders, forse la parte più famosa di tutte e quella più legata a doppio filo di trama con le precedenti. La prima "trilogia" di parti di JoJo ha una trama orizzontale interconnessa tra le varie parti, mentre la stessa cosa non si può dire della seconda, che presenta dei rimandi e legami spesso più con la trilogia precedente che con le altre parti della propria.

A tal proposito, è necessaria una breve digressione sulla trama: un altro degli elementi dell'adattamento OVA che aveva deluso il pubblico era la questione minutaggio. Troppo esiguo per contenere una parte mastodontica come Stardust Crusaders, rivelatosi poi infatti insufficiente a contenere tutta la storia e sacrificando parti anche importanti, atte non solo a rendere chiaro un omaggio dell'autore alla saga di Street Fighter, ma banalmente anche a far capire che cosa stava succedendo. David Production prende invece la strada corretta: l'interezza di Phantom Blood e Battle Tendency è presente in questo adattamento, permettendo quindi a un novello spettatore di approcciarsi a questo adattamento come primo ingresso nel mondo di JoJo. Aspetto ancora più fondamentale se consideriamo che, visti tutti gli elementi menzionati finora, il fulcro della storia di JoJo sono sempre stati personaggi: la bontà d'animo e il senso dell'onore di Jonathan, la cattiveria profonda ma con dei valori dietro di Dio, la spensieratezza e la tendenza al prendersi gioco dell'avversario di Joseph, la tragicità mista a serietà di Caesar, l'inflessibile codice di Whamuu... tutto è fortunatamente presente in un adattamento che da questo punto di vista si conferma anche superiore alla controparte cartacea.
 

Tornando sul piano tecnico, va fatto elogio al sapiente uso dei colori all'interno del piano registico e fotografico: una parte fondamentale di JoJo sono ovviamente i disegni di Araki e la gestione delle tavole del manga, una cosa quest'ultima che il mangaka ha sempre dimostrato di saper gestire in modo eccellente, e che a differenza del suo tratto non ha risentito del passare del tempo nei primi archi narrativi in modo negativo. Col senno di poi, infatti, per quanto lo stile del primo Araki risulti indubbiamente affascinante, è lacunoso di molti fondamentali del disegno. Tuttavia, l'autore è sempre riuscito a gestire la regia dell'opera nelle tavole utilizzando bianco e nero per modificare l'atmosfera a proprio piacimento, mantenendola però sempre all'interno di un contesto tetro e inquietante come quello di Phantom Blood e molto più variegato come in Battle Tendency, dove passiamo da scene come "spaghetti al nero di seppia" a "Ceasar" (chi sa sa). Tutto questo è stato possibile, oltre a un sapiente uso della regia, anche grazie all'utilizzo delle più svariate e assurde tonalità di colore, atte a rendere visivamente chiara un'atmosfera difficile da replicare senza lo stile di Araki. Il risultato è pertanto visibile sia nelle scene più "statiche", dove la componente di tensione e dramma viene esaltata, sia nelle scene d'azione, che vengono rese dinamiche e frizzanti dalla libertà di gestione concessa alla regia. Per quanto a volte le inquadrature siano molto "furbe", probabilmente per sopperire alla mancanza di tempo e staff durante la produzione, è in questo modo che ci vengono regalate scene come "Sunlight Yellow Overdrive" e "La forma di vita finale". Oltretutto, così facendo l'esagerazione tipica di JoJo è stata resa anche visiva in un modo che il fumetto non avrebbe mai potuto fare.

Non si può però parlare di questo adattamento senza menzionare il perno fondamentale della prima parte di JoJo: Joseph che scap-ehm, volevo dire l'Hamon, l'energia concentrica. Partiamo da un assunto: Araki ha fatto bene, nella terza parte, a evolvere l'Hamon negli Stand, per due motivi. Il primo è che l'energia concentrica, per quanto studiata bene, sarebbe sempre parsa ai più come una versione 2.0 del Ki di DragonBall. La seconda ne è la diretta conseguenza: l'Hamon era e sarebbe sempre rimasta una "mera forma di energia" (poi evolutasi in Steel Ball Run nella ben più interessante tecnica della rotazione) e avrebbe di fatto sprecato l'estro creativo e artistico di Araki, che si è potuto esprimere al meglio con gli Stand, i loro bizzarri poteri e le loro assurde forme. La percezione che il fandom di JoJo ha sempre avuto dell'Hamon è abbastanza mista, per i motivi sopracitati, ed era quindi necessario un lavoro di valorizzazione non indifferente all'interno dell'adattamento animato. Lavoro che David Production ha egregiamente portato a termine: l'Hamon è interessante da guardare, ravviva gli scontri e ha una chiarezza nella sua funzione che in molti punti il manga non è riuscito a dare. Oltretutto, anche qui l'uso dei colori è geniale: la palette varia più volte a seconda della tecnica utilizzata e del luogo in cui viene utilizzata, donando unicità agli scontri.
 

Infine, è doveroso parlare della colonna sonora dell'opera: il legame intrinseco che ha JoJo con la musica va ben oltre le citazioni musicali negli Stand (molto cervellotiche e ben studiate da Araki, basti pensare allo Sticky Fingers di Bruno Bucciarati), è qualcosa che fa proprio parte di Araki, tanto che l'autore ha dichiarato più volte che sceglie lui personalmente i brani delle opening e delle ending della serie animata. È quindi pertanto opera sua la scelta di "Roundabout" degli Yes come ending della prima stagione della serie animata, creando anche in questo caso una delle gag più ricorrenti degli ultimi anni su Internet e non. Tuttavia, sarebbe ingiusto fermarsi qui, in quanto l'intera colonna sonora di JoJo risulta in una vera e propria sinfonia che accompagna l'opera. Il paragone con una piéce teatrale non è casuale: prendiamo infatti la già citata scena "Caesar" (anche qui, chi ha capito ha capito). Parliamo di una scena di per sé straziante e drammatica, ma "Il mare eterno nella mia anima" le conferisce la giusta solennità e la rende tragica, esattamente come se lo spettatore si trovasse a teatro a guardare la messa in atto di una tragedia greca.
 
La prima stagione de Le bizzarre avventure di JoJo è pertanto un anime ancora oggi molto valido, frutto della volontà di David Production di dare al pubblico esattamente quello che voleva con la cura che meritava. Sebbene non perfetto e a volte un po' furbo nella messa in atto dei combattimento, ciò che è più importante è presente, ovvero lo spirito umanistico, assurdo, drammatico e demenziale dell'opera prima di Araki. Come già detto, unire tutto questo insieme può sembrare assurdo, ma JoJo è in fin dei conti quell'opera dove la frase "anche gli spaghetti al nero di seppia sembrano disgustosi, ma in realtà sono buonissimi" ha una rilevanza ai fini della trama. Con l'adattamento di Stone Ocean prossimo alla sua conclusione, vi invito a dare una possibilità alla prima stagione di JoJo, in occasione del suo decimo anniversario, per addentrarvi nell'epopea più bizzarra che il mondo dell'intrattenimento abbia mai conosciuto. Ma questa... è solo un'altra storia.

...to be continued (citazione necessaria)