Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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6.5/10
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Serie trovata per caso su una nota piattaforma streaming e visionata in un paio di giorni.
Ho ritenuto “curiosa” la definizione della serie come “tamarra”. Se deve essere interpretata nel senso di eccessiva, potrei concordare perché quasi tutti i personaggi sono “estremizzati”, al pari dei combattimenti molto “splatter”.

La trama, se così la si può definire, è molto semplice: in un futuro distopico con atmosfere alla “Blade Runner”, il Kansai (una regione del Giappone) ha perso la guerra con il Kanto (altra regione nipponica, anche se vengono rappresentate in modo inverso sulla cartina). Una ragazza (in seguito denominata la Truffatrice) si ritrova suo malgrado coinvolta in un’operazione eversiva per sabotare e appropriarsi di una consegna periodica (o tributo) che il Kansai deve al Kanto. La Truffatrice si trova costretta ad unirsi a questa operazione con altri 6 “akudama” di livello super S (criminali ritenuti pericolosissimi dalla società), ma saranno avversati in tutti i modi dagli esecutori (una polizia speciale che può immediatamente eseguire la pena - anche capitale - comminata dalla polizia – e qui il paragone con "Psyco-Pass" è d’obbligo) che daranno loro una caccia spietata con numerosi combattimenti all’ultimo sangue e con un epilogo alla “Léon” (alludo al grande film di Luc Besson). Purtroppo la mia poco ampia cultura manga/anime non mi permette di cogliere tutte le citazioni ad altre opere contenute nell’anime, ma si sicuro la trama è il primo vero “tallone di Achille” dell’opera: non ci sono molte spiegazioni sul perché di certe situazioni e sul senso del finale, ovvero l’obiettivo degli akudama nel consentire al “tributo” per il Kanto di non essere consegnato. Anzi ci sono molti buchi e alcune situazioni si possono intuire dopo qualche episodio.

Il secondo tallone di Achille sono i personaggi: a parte la Truffatrice e, in parte il Corriere, gli altri akudama restano delle “macchiette”. Penso all’omicida e alla dottoressa che sembrano per lo più degli Hannibal Lecter de "Il Silenzio degli Innocenti" o al Picchiatore che assomiglia ad una sorta di "Terminator" comico. Del Delinquente si potrebbe solo scrivere che sembra il classico bulletto da bar... mentre l’Hacker una specie di “gambler” del bit, affascinato come un videogioco dal livello di difficoltà sempre crescente... La Truffatrice e il Corriere assumono un po’ di spessore nella trama evolvendosi, come il sicario protagonista di Léon e danno un minimo di profondità alla storia che altrimenti sembra più un videogame con livelli di difficoltà crescente...

Lato esecutori... beh meglio lasciar perdere: altro che dubbi alla Akane Tsunemori di "Psyco-Pass". Si tratta di una polizia che pensa solo ad eseguire senza scrupoli le sentenze di condanna senza alcuna valutazione o obiezione di coscienza, tanto da far sorgere nello spettatore il dubbio che il confine tra il bene e il male non sia così netto... anzi come si vedrà nel corso dell’anime sembra spostarsi verso quelli che dovrebbero essere deputati a mantenere l’ordine pubblico...

Passando agli aspetti positivi o punti di forza, il comparto grafico e quello musicale sono di livello: l’anime offre delle splendide animazioni e coreografie con colori ed effetti luminosi di primordine. Idem per l’opening e l’ending.

Tali pregi stridono ancor di più con le carenze di trama e di character development e rendono l’anime uno splendido “contrasto” di puro intrattenimento senza che poi lasci nello spettatore qualche spunto di riflessione: un anime “bello senz’anima”.

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Anche se io l'ho conosciuto adesso per la prima volta, a quanto pare il titolo gira ormai da molti anni. Infatti, già nel 2000 l'omonima fiction riscontrò un notevole successo. Da qui in poi ci fu un adattamento manga, a cui seguirono una serie di altri prodotti e solo nel 2020 abbiamo avuto il primo adattamento animato, cioè questo.

La storia è ambientata a Ikebukuro, un quartiere di Tokyo famoso per il degrado e per la delinquenza e queste caratteristiche fanno da sfondo all'opera; in primo piano però troviamo la trattazione di temi sociali attuali e spesso molto delicati, per esempio si trova: immigrazione, rapporto cinesi-giapponesi, sfruttamento dei lavoratori, ragazze-madri...
Viene tutto raccontato con pacatezza e neutralità, cosa non facile visti i temi, ma anche troppa però: i personaggi non si emozionano e non fanno emozionare, non abbiamo mai grossi colpi di scena, dialoghi forti, scene d'impatto; il terzo ingrediente principale (dopo l'ambientazione e la tematica) è l'assenza di un altro ingrediente, e quando alla zuppa non si aggiungono ingredienti, il rischio è che resti poco saporita, magari sciapa. Ed è proprio questo il risultato: un'opera sciapa.
Non è solo di questi argomenti che si parla, per esempio troviamo anche accenni di scontri fra bande, ma indipendentemente dal contenuto, il risultato non cambia.
Si potrebbe pensare che il mio sia un giudizio troppo affrettato, visto che finora ho parlato solo di trama, ma anche prendendo in considerazione tutto il resto il risultato non cambia.

Vediamo velocemente altri aspetti per dare forza alla tesi, partendo dai personaggi.
Il protagonista è Makoto Majima, un fruttivendolo che, sfruttando "le conoscenze giuste", dalla criminalità di quartiere alla polizia, si dimena nella difficile Ikebukuro per risolvere casi generici ma in particolare per aiutare persone qualsiasi a fare cose qualsiasi. Il risultato è un benefattore poco credibile che agisce per senso di umanità e che riesce in tutto quello che fa. Beato lui!
Un gradino sotto ci sono i boss delle due fazioni criminali che dominano Ikebukuro, ovvero King, capo dei G-Boys, e Kyoichi, capo dei Red Angels. Mentre il primo è un capo freddo ma allo stesso tempo di buon cuore, intelligente e abilissimo nel corpo-a-corpo, il secondo è un improbabile ballerino che a un certo punto ha ben pensato di metter su una banda di delinquenti. Come biasimarlo?
Tutti gli altri sono personaggi evanescenti, comparse di episodio o elementi di supporto che tornano di tanto in tanto.

Dal punto di vista tecnico invece, non c'è una cosa che sia una che mi piaccia particolarmente, quindi mi astengo anche dal parlarne.

In finale, ho trovato IWGP un'opera curiosa, talmente tanto che ho voluto guardarla fino alla fine, pur reggendosi su pochissimi pregi e neanche tanto forti. La visione scorre passiva fino al finale e, solo dopo l'ultimo episodio, ci si rende conto che non arriverà mai cosa ci si aspettava, ovvero quel tocco di pepe in più che avrebbe dato un po' di sapore al piatto. Il voto giusto è 5,5, il voto più sciapo che io conosca.

9.5/10
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«91 days» è una serie del 2016, originale, composta da dodici episodi, cui si sommano un episodio ricapitolativo a metà serie e uno special, uscito a serie conclusa.
USA, anni ‘20, nel (fittizio) distretto di Lawless un contabile della mafia viene ucciso insieme alla moglie e al figlio minore, mentre Angelo, il maggiore dei figli, si salva, scappa e cambia il suo nome in Avilio; sette anni dopo una lettera anonima gli rivelerà i nomi dei responsabili. I 91 giorni del titolo sono quelli che Angelo/Avilio dedicherà a partire da quella rivelazione a portare a termine la sua vendetta.

Questa serie è un prodotto decisamente peculiare, per diversi motivi: il più immediato è quello relativo all’ambientazione (ho controllato nel database di AnimeClick.it, ci sono due anime che hanno fra i tag “Proibizionismo” - l'altro è «Baccano!»), è poi da segnalare l’assenza di qualsivoglia elemento fantastico/paranormale.

Altra particolarità è il protagonista: in un panorama in cui i protagonisti, spesso e volentieri, “martellano” lo spettatore con dialoghi, linguaggio corporeo esagerato, urla, dialoghi interiori (anche a più voci), qui abbiamo un personaggi sostanzialmente muto: Angelo/Avilio parla prevalentemente con le sue azioni e le sue parole sono poche e misurate, sempre dette nella consapevolezza di essere di fronte a potenziali nemici; i suoi gesti sono altrettanto misurati, per scorgerli bisogna osservarlo attentamente. Coprotagonista, decisamente riuscito, scritto per creare contrasto con l’ombroso Angelo, è Nero: anche lui brillante e capace, ma decisamente solare d’indole. Anche gli altri personaggi godono di una buona caratterizzazione, anche quando non godono di molto spazio sulla scena.

La storia è ben scritta, dura come richiesto dall’ambientazione: non cede al buonismo, ma nel contempo non indugia sulle scene di sangue per “fanservice”, le morti sono funzionali alla storia e il focus non è certo sulle scene splatter. Non cerca nemmeno di far piangere ad ogni costo. La storia ha un finale volutamente ambiguo (o forse sarebbe più corretto dire “suggestivo”) nella forma, ma (a mio parere) netto e conclusivo nella sostanza.

In quanto italofoni, purtroppo si è nella condizione peggiore per godere di questo prodotto: i responsabili della serie infatti hanno commesso una tremenda leggerezza nella scelta dei nomi. Hanno presumibilmente aperto un dizionario e scelto dei lemmi a caso. Già, perché Angelo è uno dei pochi nomi sensati, Avilio non è in uso ma è esistente, c’è ancora Nero che è quasi un nome (Neri lo è a tutti gli effetti), ma gli altri personaggi sono spesso dotati di un solo nome (il nome proprio? Il cognome? Non si capisce) che è tutto fuorché un nome proprio: Corteo, Fango, Scusa, Cerotto. L’effetto è, talora, involontariamente comico e, sempre, parecchio fastidioso. Se non conoscessi l’italiano, avrei probabilmente valutato questa serie con un dieci, ma mezzo punto devo toglierlo per il fastidio che mi hanno arrecato quei nomi.

Al di là del problema dei nomi il comparto tecnico è impeccabile: a partire dal character design di Tomohiro Kishi («My Little Monster»), passando per la regia di Hiro Kaburagi (che quest’anno, 2020, ha curato anche, e ottimamente per «Great Pretender») fino alla direzione della fotografia affidata a Hitoshi Tamura (che altri due suoi lavori che amo sono «Durarara!!» e «L'Immortale»).
La OST è di Shogo Kaida, è marcatamente orchestrale, fa il suo lavoro aiutando la resa efficace dell’atmosfera degli USA degli anni del Proibizionismo, alterna brani da storia “noir”, qualche pezzo più brioso, passa dal sinfonico allo swing e spesso ha timbri nostalgici e struggenti. Bellissima la opening di TK (difficile non ricordare le sue opening di «Tokyo Ghoul» e «Psycho-Pass»).

In conclusione: una storia dura, tragica, pensata fin nei piccoli particolari e ben realizzata, con una ambientazione “retrò”, con belle auto d'epoca, liquori trasportati in improbabili arbanelle di vetro e ananas sciroppati in scatola (e c’è anche qualcuno che ha voglia di vedere il mare...).