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7.0/10
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«Pet», serie di tredici episodi dell'inverno 2020, realizzata da Geno Studio, è la trasposizione animata dell’omonimo manga di Ranjou Miyake. Già il primo episodio presenta l’andamento non lineare della serie e l’altro elemento che movimenta i giochi: in questo mondo - indistinguibile dal nostro - alcune persone hanno la capacità di manipolare la mente delle persone; possono modificare i ricordi altrui fino ad arrivare a distruggere la loro mente. Tsukasa e Hiroki, i due protagonisti, sono due ragazzi dall'aspetto ordinario, ma hanno appunto quest’abilità: sono dei “distruttori” che lavorano al soldo di un’organizzazione criminale, con base in Cina, nota come “La Compagnia”.

«Pet» è una serie difficile da commentare senza fare spoiler, perché anche solo anticipare quali siano i rapporti fra i personaggi, come funzioni questo potere e quali siano le “regole” per utilizzarlo rovinerebbe la visione.

Posso solo evidenziare quali siano gli aspetti che, secondo me, funzionano: la trama fa parte di questi. Le vicende del gruppetto di personaggi al centro della storia (Tsukasa, Hiroki, Satoru, Hayashi e, aggiungo, Katsuragi) che si trovano a cercare di far convivere le proprie esigenze personali, i propri affetti, le proprie aspirazioni con il lavoro, totalizzante per ovvi motivi, per “La Compagnia” costituiscono un intreccio coerente, anche se inizialmente volutamente celato dietro una narrazione non lineare. Questa narrazione non lineare è un’altra delle cose che funzionano, a patto che si ami il genere: se, quindi, si accetta di buon grado di non comprendere già dai primi episodi “dove voglia andare a parare” la storia.
Ho anche apprezzato i personaggi: sia, superficialmente, per la presenza di un cast adulto, sia, più nello specifico, per il fatto che abbiano (quasi tutti) una certa complessità, non siano né monolitici né scontati, né “trasparenti”. Bella anche la trattazione - di sottofondo - delle difficoltà che questo potere porta con sé: non è un “potere favoloso”, né una “maledizione”, è più una sorta di talento dalla gestione difficile, gestione resa ancora più ardua dal lavorare in un ambito criminale. La vita dei distruttori è decisamente ardua. Le loro difficoltà sono ben rese, così come mi ha sorpreso la buona conoscenza delle basi dei meccanismi del ricordo.

Di contro la serie ha diversi punti deboli, concentrati sull'aspetto tecnico, aspetto su cui avevo le aspettative maggiori dopo aver visto i nomi: la direzione della serie è, infatti, di Takahiro Omori (“Durarara!!”), mentre la sua composizione è stata affidata a Sadayuki Murai (“Natsume Yujin-cho”). Eppure né la sceneggiatura né la presentazione delle scene riescono ad emergere: non sono mal fatte, ma non ho visto nulla che fosse in grado di superare la sufficienza.

Il character design è di un altro “nome importante”, Jun'ichi Hayama, ed è pulito e accattivante, almeno quando rispettato: perché purtroppo spesso, a partire da metà serie, si ha l’impressione che i personaggi mutino a tratti i lineamenti. La serie è stata rimandata di una stagione, avrebbe dovuto inizialmente uscire nell'autunno 2019, e questo può essere sintomo di qualche problema durante la lavorazione, che potrebbe aver portato a questa qualità così bassa.
Uno degli aspetti più sconfortanti è proprio quello della qualità del disegno e delle animazioni; se non c’è nessun momento di particolare bellezza grafica, diversi momenti sono veramente dei “disastri grafici”. Eppure gli elementi onirici presenti sarebbero stati un’ottima occasione, se sfruttati bene. Tutta la narrativa che circonda il potere dei distruttori (picchi, valli, serrature e farfalle) è interessante, ma poco valorizzato nella serie.

Tecnicamente dà soddisfazione il solo comparto musicale: la OST che ben sottolinea i momenti importanti e le ottime le sigle. Bellissime sia la opening, “Chō no Tobu Suisō” di TK (Tōru Kitajima) che ha sonorità che mi hanno ricordato Bjork, sia la ending, estremamente malinconica, “image____” (Memai Siren).

Il doppiaggio non mi ha particolarmente colpita: solo l’interpretazione di Tsukasa ad opera di Kishō Taniyama (già ottimo come Chūya Nakahara, in "Bungo Stray Dogs") mi è parsa emergere.

Una serie che ha una storia intrigante e un comparto tecnico insoddisfacente, cui assegno come voto un 7, perché riesce a non perdersi sul finale e mi ha fatto venire voglia di recuperare il manga.