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“Kamikatsu: Working for God in a Godless World” è un’opera molto difficile da valutare, perché fa fatica a mantenere un livello costante sotto molti aspetti, con un’alternanza di alti e bassi come neanche le montagne russe.

L’opera è un isekai ambientato in un mondo dove il concetto di Dio non esiste e gli abitanti del regno sono persone svuotate da qualsiasi desiderio, che vivono nella più completa apatia in attesa che il sovrano decreti il loro finevita (è il sovrano a decidere il momento della morte dei suoi sudditi). Tutti coloro che mostrano un pizzico di vitalità e gioia di vivere vengono trattati come degli individui anomali e relegati in villaggi alla periferia del regno, in attesa di ricevere la comunicazione di finevita (che in genere arriva più rapidamente che per i cittadini normali).

In uno di questi villaggi viene accolto il nostro protagonista Yukito, catapultato in questo mondo dopo essere morto a causa del fanatismo religioso del padre. Ma anche in questo mondo le cose non sembrano andare molto meglio. A causa delle irragionevoli leggi del regno viene decretato il finevita delle due ragazze del villaggio che l’hanno accolto, e, nel tentativo di salvarle, finisce per perdere la vita lui stesso. In quel momento compare al suo fianco la dea Mitama (venerata dal culto del padre di Yukito), che lo riporta in vita insieme alle due ragazze. Forte della presenza della dea Mitama, Yukito inizia ad architettare un piano per sovvertire le insensate leggi del regno e permettere agli abitanti del villaggio di avere una vita serena.

L’ambientazione è molto interessante ed è uno dei punti di forza dell’opera. Siamo in una distopia in cui il sovrano ha creato un regno pacifico a scapito delle emozioni dei suoi sudditi. Ogni conoscenza, riguardante gli ambiti che possano generare una scintilla di emozione, è bandita: la religione, la musica, l’arte, persino il sesso (i bambini sono creati artificialmente). Gli unici posti ai nostri occhi più normali sono proprio i villaggi delle periferie dove vivono i reietti della società.

L’opera è improntata su una linea molto scanzonata e demenziale (che forse impedisce di sfruttare appieno le potenzialità di quest’ambientazione). L’ignoranza degli abitanti in questi ambiti è usata soprattutto nelle gag demenziali e a sfondo sessuale (alcun ben riuscite, altre un po’ meno) che sono una costante della serie.

La sceneggiatura ha qualche piccola lacuna, ma, per come è stata improntata l’opera, si può anche perdonare. Ci sono state delle sequenze in cui sono tornata indietro per capire se avessi avuto un momento di assenza o i passaggi tra le scene fossero volutamente così... fortunatamente per la mia cartella clinica non era il primo caso.

La trama è interessante, con alcuni colpi di scena ben studiati. In mezzo a qualche assurdità e nonsense procede in maniera coerente e intrigante. Vengono alla luce molte tematiche interessanti, anche se qualsiasi riflessione è lasciata allo spettatore.

Il character design è uno dei primi elementi con alti e bassi vertiginosi. Si passa dai personaggi principali, abbastanza nella media e dimenticabili, agli antagonisti (gli Arconti) molto accattivanti e interessanti, con pochi approfondimenti ma ben mirati, ai vari mostri realizzati nella peggior CGI che abbia mai visto. La grafica, infatti, è uno di quegli elementi che mi ha più disorientata. Si passa da sequenze curate e ben fatte ad altre con una qualità da videogame anni '90.

Il finale è lasciato aperto, probabilmente in previsione di una seconda serie, visto che il manga è ancora in corso in Giappone.

Nel complesso, è un’opera discreta, mi resta il dubbio di come avrebbe potuto essere con un’impronta più matura, mantenendo il lato comico ma senza sfociare nella comicità demenziale e irritante che spesso prende il sopravvento su tutto il resto. Complessivamente, voto 7.