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Come reagireste se l’umanità rischiasse il collasso? Se un evento straordinario fermasse l’intera ruota sociale? Quale sarebbe il vostro primo pensiero? E perché proprio al lavoro?!

“Zom 100” è l’adattamento dell’omonimo manga iniziato nel 2018. Sarebbe stato sin da subito ottimo materiale per una serie tragicomica, basata sull’ennesima apocalisse zombie. Destino vuole che il 2020 sia accaduto nella nostra linea temporale, e abbia colpito forte. Le domande a inizio testo le abbiamo saggiate un po’ sulla nostra pelle, talvolta ci siamo chiesti se stessimo vivendo in un sogno, o un incubo.
Ognuno ha le proprie priorità, ma per i non più sbarbatelli il lavoro è volente o nolente il primo pensiero, il primo cerchio sociale dopo/insieme/prima per alcuni della famiglia, fonte di stress, preoccupazioni, soddisfazioni, lamentele eccetera.
Ora prendiamo la società giapponese. Negli anni e con crescente frequenza si sono moltiplicate fonti e brutali resoconti sulla durezza del modello sociale, altamente gerarchico, soverchiante, nemico dell’individualismo, che pressa il cittadino dalla scuola alla tomba. Karoshi, black company sono divenute parole tristemente conosciute.

Come da incipit, Akira, il protagonista, è un ragazzo che lavora in una di queste black company. Inizialmente entusiasta, pronto a fare il proprio per sé e per la società, viene risucchiato nell’abisso del superlavoro, delle costrizioni sociali. Una prigione senza gabbie, dalla quale non ha la forza di tirarsi fuori da solo. Eppure era un ragazzo vitale, curioso, socievole e sportivo, fiorito durante il periodo universitario. A differenza di molti protagonisti totalmente irrealistici, Akira è davvero uno di noi, almeno potenzialmente. Non inteso come “uguale” a noi, ma “un eguale a noi”, uno che potrebbe essere del nostro gruppo sociale.
E proprio quando Akira sta per rompersi in mille pezzi, ecco che irrompe la grande rottura, sotto forma di apocalisse zombie.
Ma niente disanima della trama.

Invece, urge subito dichiarare che gli zombie sono un mezzo. E il mezzo è il messaggio (cit.). Non sono “solo” una scusa per far vivere ad Akira e compagni una fantastica avventura spensierata a volte interrotta da svolte più drammatiche.
Potevano benissimo non trasformarsi in cadaveri viventi. Erano zombie già prima dell’apocalisse! Gli zombie siamo “noi” (e il discorso non riguarda solo il pubblico giapponese a cui è originalmente indirizzato). Siamo noi che saliamo su quella maledetta ruota da criceto. Bastano pochi fotogrammi della opening per togliere qualsiasi dubbio. Sono gli zombie che freneticamente smanettano sui propri smartphone, mentre ordinatamente prendono in massa i mezzi di trasporto, colletti bianchi e divise d’ordinanza, mentre le protagoniste riescono ancora a guardare fuori dal finestrino un qualcosa che non sia riprodotto su pixel.

“Zom 100” è un viaggio in cui protagonista e compagni si muoveranno su due piani. Il primo, più palese, è il romanzato Giappone al collasso invaso dai morti viventi. Il secondo, più duro e cinico, è il mondo delle succitate costrizioni sociali, dove l’individualismo dei nostri si scontrerà con la dura scorza della società, ancora così radicata e quasi impenetrabile, seppur in una situazione di caos totale.
Il risultato sarà una satirica, continua, feroce critica all’intero sistema sociale. Non ci saranno sconti.

Dal punto di vista tecnico la serie è molto ben fatta. Nonostante il colpevole ritardo nella trasmissione degli episodi (gli ultimi tre sono usciti con mesi e mesi di ritardo), la sceneggiatura, le scelte registiche, la composizione degli episodi e il flusso generale dell’intera serie sono impeccabili. Un punto che mi ha colpito più di tutti è stata la scelta cromatica, colori vividi, che aumentano il contrasto con il caotico e irreale contesto, ma danno ancor maggiore forza alla tensione tra momenti leggeri e comici e quelli intensi e drammatici. Bellissima l’opening, molto orecchiabile la canzone.
I protagonisti sono tirati al massimo nelle loro peculiarità, e seppur in dodici episodi ne abbiamo esplorato poco vicende e personalità (Akira a parte), quest’ultime riescono ad emergere abbastanza solide e “coerenti”. Forse, tra i quattro, la biondona è quella più caricaturale e ancora da inquadrare. Ottimo il cast.
Tra gli “antagonisti”, seppur possa sembrare inizialmente banale come idea, ho trovato l’ultimo in ordine temporale un ottimo espediente narrativo, in quanto antitesi del nostro Akira.

Spero in un continuo, possibilmente una seconda serie e non un film (la forza di questa opera l’ho trovata nella sua serialità, ed essendo il viaggio uno dei temi principali, penso che il blocco di episodi funzioni meglio rispetto a un film che si concentri su un singolo arco). E che continui a picchiar così, feroce e anarchico.