Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento anni '90: Generator Gawl, Photon e Porco Rosso

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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"Generator Gawl" si propone con una veste che è tipica delle serie di fine anni Novanta: modesta cura per le animazioni - e in questo caso, anche maggiore -, design piuttosto canonico ma apprezzabile, colorazione molto accentuata ma altrettanto piacevole. Insomma, detiene un sostegno stilistico che è raramente difficile da apprezzare. Se poi il titolo dimostra di avere anche delle potenzialità dal punto di vista narrativo, sebbene non ci si aspetti granché da un nuovo brodo fantascientifico con tanto di super-entità celate da forma umana, la visione risulta piuttosto intrigante.

L'opera della Tatsunoko, che ripesca un genere piuttosto trascurato, ereditato dai vari "Guyver" e "Tekkaman", è passata quasi inosservata da noi, nonostante l'ottima edizione fornita da Dynit. Pur presentandosi in maniera lineare, la serie parte dai toni distesi dei primi episodi per culminare in un epilogo quasi solenne - non privo di imperfezioni - che segue varie delucidazioni - sotto forma di determinanti flashback - sulla consistente trama. Tutto pare sia stato amalgamato molto bene in soli dodici episodi. Perfino i personaggi, per nulla appariscenti sotto il profilo estetico, rivelano man mano una caratterizzazione psicologica di tutto rispetto.

I protagonisti sono per l'appunto tre ragazzi, di carattere molto differente, piombati dal futuro, per un motivo che non verrà svelato presto: li vediamo fin da subito alle prese con una serie di disguidi dovuti al difficoltoso ambientamento e alla 'ficcanasaggine' di una certa ragazza, Masami, che stringerà con Gawl, il più 'stupido' dei tre giovanotti, un'immediata inimicizia.
L'incipit dell'opera svela dunque un lato umoristico che tuttavia non ne costituisce la vera sostanza. "Generator Gawl" si mostra del tutto solo tramite un graduale decollo, senza mai accusare gravi indebolimenti nella sceneggiatura, cali d'azione, ovvietà o quant'altro.
Non è imperdibile, ma senza dubbio consigliato agli amanti della sci-fi.



7.0/10
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Cercando su internet informazioni a proposito di "Photon", le parole che trovavo più spesso erano: commedia, fantascienza, ecchi. Un prodotto leggero, insomma, tette e culi, gag stra-abusate e uno sfondo fantascientifico utile sia per variare dalla solita aria scolastica, sia per aggiungere elementi assurdi senza dovere dare troppe spiegazioni a chi lo guarda.
Questo era ciò che mi aspettavo, ma fortunatamente, un giorno di noia ho deciso di intraprendere la visione di questi 6 OAV. Fortunatamente.

Perché fortunatamente? Perché "Photon" si è rivelato non solo un ottimo prodotto, ma uno dei migliori che io abbia mai visto. Mi spiego meglio.
Innanzittutto, non vorrei avervi confuso con le prime righe: tette e culi ci sono, ma l'anime non è finalizzato a quello. In molti anime, la componente ecchi è il sole intorno a cui girano tutti i pianeti, in "Photon" questa componente è "solamente" uno dei pianeti. In molti anime, il fine della storia è mostrare le nudità delle protagoniste, in "Photon" la storia prosegue, se poi si riesce a mostrare un po' di carne in più e un po' di stoffa in meno, tanto meglio.

Una delle sue caratteristiche maggiori e peculiari è il suo fascino retro': la sensazione che si prova guardando "Photon" è la stessa che provi quando dopo moltissimi anni decidi di rigiocare a capolavori come Final Fantasy VII, Tombi e Klonoa, per fare degli esempi. Stupenda e malinconia sensazione.
Saranno impressioni a pelle, ma ritengo che quest'opera debba molto ai jrpg e ai videogame in generale, e un esempio lampante è la bellissima opening che riprende molto quelle sequenze introduttive che aprivano molti videogame di vecchio stampo.
Ma i meriti maggiori di "Photon" vanno sicuramente da ricercare nel comparto tecnico, che può vantare delle animazioni sopra la media (che toccano l'apice nel primo episodio, con delle sequenze da brividi) e dei fondali capaci di trasmettere un'aura di maestosità e grandezza tali da rendere l'atmosfera e le ambientazioni di certe scene paragonabili a quelle dei migliori Ghibli.

Il tutto presentato da un chara design tipico della vecchia scuola e da delle musiche d'effetto. Purtroppo, e ripeto, purtroppo, le migliori animazioni e le migliori scene sono stipate tutte nel primi episodi, andando in calando fino alla conclusione, e inoltre la storia lascia molte domande irrisolte.
Tuttavia, se volete un anime leggero ma non per questo privo di un qualsivoglia valore artistico e pioneristico, non posso che non consigliarvi "Photon", che riesce a mescolare in sé il meglio delle commedie old-style. Sono sicuro che riuscirà a strapparvi più di un sorriso.



10.0/10
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Non c’è dubbio che Miyazaki abbia riversato in questo film tutta la propria passione per il volo, l’Italia, i combattimenti aerei, la comicità intelligente se non addirittura ironica, e ogni aspetto decisamente caratteristico del suo immaginario, con cui tante volte ci ha già deliziato. In Porco Rosso il regista ci riserva quella magia tipica dei suoi primi lungometraggi che non aveva ancora preso il sopravvento sulla logicità della trama e che offriva incredibili meraviglie solidamente legate ad un filo conduttore. Certo, è pur sempre Miyazaki e non Walt Disney: il non detto, il cerchio che non si chiude in maniera perfetta, ciò che non viene spiegato ma lasciato all’immaginazione dello spettatore, gli spazi aperti delle supposizioni sono fondamenti irrinunciabili del suo modo di fare animazione e vengono riproposti necessariamente e a maggior ragione, quindi, anche in questo suo capolavoro degli anni Novanta.

Serio e immaginifico, realistico e fantasioso: dove inizia un aspetto e dove l’altro? Recensire un film di Miyazaki non è mai semplice per il fatto che nei suoi lungometraggi la sostanza è talmente legata alla forma che parlarne con parole scritte è sempre riduttivo e deprecabile. Come per altri dei suoi film, quali Totoro o Kiki, la trama è tutto sommato semplice e si potrebbe riassumere in poche righe, ma è come viene trasformata in colori, gesti ed espressioni ciò che ammalia per tutta la durata della pellicola. I mondi di Miyazaki sono sempre abbastanza realistici da non poter essere messi in dubbio, ma abbastanza fantastici da rendere possibile l’impossibile come se fosse una cosa del tutto normale. Per esempio è paradossale che un maiale antropomorfo possa vivere come se nulla fosse in un mondo di esseri umani… Eppure tutto il contesto è così ben rappresentato che il pubblico non se ne scandalizza affatto (ovviamente l’allegoria c’è, ed è anche piuttosto manifesta, con un contrasto porco-umano che emerge spesso nel corso del film).

Comunque, senza andare a ricercare chissà quale significato recondito… Si potrebbe parlare dei riferimenti al fascismo, alla guerra, alla diversità, ma prendiamo un tema più manifesto, quello dell’amore: in Porco Rosso è piuttosto presente, in molte forme e in modo decisamente sensibile e profondo, anche se un pochino velato. Quella dell’amore è una trama sotterranea e parallela alla vicenda che sembra a volte condurla in qualche modo, sia quando abbraccia la via del romanticismo, sia quando se ne discosta in maniera brutale e imbarazzata rispecchiando i diversi ruoli femminili e maschili all’interno del film. Qui più che in altre sue opere emerge il ruolo forte che il regista accorda alle donne: risolute e abili, capaci di portare sulle proprie spalle il peso di grandi dolori e grandi responsabilità, a volte capricciose e fragili ma sempre decise e risolutive nelle situazioni di difficoltà. Sempre coi piedi ben saldi a terra rispetto agli uomini e che devono farsi strada per dimostrare quello che valgono con una tenacia che i maschi si sognerebbero. Ma poi irrimediabilmente colpite da batticuori e sentimenti che riescono a seguire la sola logica del cuore. Ecco di loro un ritratto ideale e pragmatico allo stesso tempo, che condensa in sé tutta l’essenza di quelle che sono state e saranno le eroine Miyazakiane presenti in ogni film del regista.

Credo che Porco Rosso sia l’emblema proprio del “mondo secondo Miyazaki”, esplicativo del suo modo di percepire le differenze fra uomo e donna e i loro legami. Senza mai sentenziare o giudicare il giusto e lo sbagliato il regista dipinge in questo film un affresco di relazioni umane che potrebbero essere ascritte tranquillamente in una scena “ideale” trascendendo qualsiasi riferimento realistico, ma che si trovano poi immedesimate in un mondo di guerre, soprusi e problemi economici proprio come se tutto stesse accadendo davvero. I suoi protagonisti, in questo film come in altri suoi, sembrano non avere una personalità propria esclusiva, ma quella omnicomprensiva di tutti i pregi e difetti tipicamente umani; eppure, non si può definirli “stereotipati” perché hanno dei tratti del loro essere assolutamente peculiari. A volte viene da chiedersi se Miyazaki riesca a creare questa atmosfera a metà fra il plausibile e l’impossibile proprio perché crea cartoni animati e non film di attori in carne ed ossa. Certo è che rispetto a Mononoke Hime o Sen to Chihiro, questo lungometraggio è molto più giocato proprio sul fattore animazione: da una parte il modo divertito di affrontare certi episodi di combattimento, sfida e inseguimento che potrebbero avere del drammatico o del serioso se non fossero in forma di disegno colorato; dall’altra però la ricostruzione “da anni Venti” non solo con la proposta di oggetti e vestiti tipici dell’epoca, ma anche con la creazione di un’atmosfera nei dialoghi e nella regia da film tipico di quei tempi, soprattutto nelle scene legate al tema romantico-amoroso. E poi subito dopo la ricaduta dall’apice raggiunto in stile Rodolfo Valentino alla macchietta comica da cartone animato: quest’alternanza di atmosfere è usata in maniera geniale nel corso del film e manifesta in tutto e per tutto un gioco quasi divertito del regista fra il leggero e il drammatico, il faceto e l’impegnato. Sembra quasi che Miyazaki si sia sinceramente sollazzato a creare questo lungometraggio, e lo abbia fatto nella piena consapevolezza e maturità del suo fare animazione, usando la forma-cartone animato come un mezzo inscindibile dal contenuto, e non come un mezzo atto a veicolare un certo contenuto: insomma per Porco Rosso non potrei vedere altre forme diverse dal film d’animazione, cosa che potrei più tranquillamente pensare per esempio per Mononoke Hime.

Porco Rosso si rivela dunque come un film di una nitidezza e fluidità sorprendenti, forse uniche nella carriera del regista, che pure conserva tutto il fascino e sa trasmettere tutta la passione con cui è stato creato. È un film fondamentalmente onesto e intelligente, che non pretende di essere né più né meno di quello che dimostra di essere: senza infamia e senza pretese. È una pellicola decisamente cinematografica, nel senso che fruirla al cinema è stata senza dubbio la scelta migliore per godere appieno degli splendidi inseguimenti fra idrovolanti in cielo e delle curatissime ambientazioni. È adatta a ogni età, perché nella sua semplicità è immediatamente godibile da chiunque, ma sono sicura che soltanto un adulto può coglierne alcune sfumature, oltre al lato comico, e goderselo pienamente e con soddisfazione in ogni riferimento, dialogo e contesto. Con Porco Rosso ci si immerge in una fiaba per adulti come quelle che soltanto Miyazaki sa raccontare, estremamente più lucida delle roboanti avventure che ci ha regalato nella sua maturità post-Mononoke Hime, e forse molto più vicina all’idea comune di “cartone animato” viste le molte scene divertenti, ma dotata anche di una delicatezza e profondità tutte proprie. Non cambia però l’attenzione e la ricerca per i dettagli che arricchiscono di credibilità e fascino, i momenti adrenalinici, quelli aulici o commoventi e, ovviamente, quelli semplicemente e più direttamente spassosi. Un film che oserei definire “perfetto” (non in assoluto ma) rispetto allo stile Miyazakiano, perfetto per le sue logiche, perfetto per i suoi temi, esemplificativo del suo immaginario, della sua visione del mondo e delle relazioni umane, e ovviamente del suo modo di fare animazione.