Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo alla fantascienza, con No.6, Kaiba e Mobile Suit Z Gundam.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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4.0/10
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Che l'uomo, prima o poi, compirà qualche gesto che metterà alle corde le sue possibilità di sopravvivenza sulla Terra è, per gli scrittori di fantascienza, un fatto così assodato da spingerli a raccontare non più la catastrofe che colpirà il pianeta, ma il futuro dell'uomo dopo quest'evento.
"No.6" è l'ennesimo esempio di lavori di questo tipo. Nel caso particolare l'autore ipotizza una teoria secondo la quale la sopravvivenza del genere umano non è legata semplicemente alla fortuna o al fato ma alla reperibilità di aree abitabili; in quest'anime, in particolare, il mondo viene diviso in sei "zone" ancora adatte a ospitare la vita, le uniche rimaste dopo la distruzione.
Viene inoltre ipotizzata una prima reazione dell'uomo contro la sua natura distruttiva, che sfocerà nell'intento di creare delle metropoli in cui regni, una volte per tutte, la pace e l'armonia. No.6 è proprio l'area in cui questo progetto viene posto in essere: la punizione verso chi tenterà di portare turbative alla pace conquistata sarà rapida e, soprattutto, durissima. Ne vien fuori una città caratterizzata dall'ordine massimo e dall'assoluta fiducia del sistema.

Un progetto di questo tipo, però, è da considerarsi utopistico e destinato a crollare miseramente: il desiderio di creare un modello di società basato sul consenso universale è, chiaramente, irrealizzabile. Così "No.6", per proteggere sé stessa dal "malumore", si trasformerà in un vero e proprio "mostro" in cui la libertà di ognuno è solo apparente; in più gli stessi fondatori della città verranno di nuovo colti da quegli stessi pruriti di potere che avevano portato alla rovina dell'uomo, compiendo, per il raggiungimento dei propri scopi, le azioni più disumane possibili.
Non c'è che dire, come ambientazione l'anime ha un suo fascino. Anzi devo dire che, inizialmente, questa impostazione mi aveva reso molto curioso e ho cominciato a seguire le disavventure di Nezumi e Shion con grande attenzione. Quello che ancora non sapevo era che la fantasia dell'autore terminava lì. Dopo i primi due episodi, infatti, la trama si dilunga inutilmente su aspetti di poco conto e non dà risposte chiare e univoche alle mille domande che si affollavano nella testa. Questo poteva essere considerato come un espediente (mal riuscito in ogni caso) prima del gran finale che avrebbe fatto luce su tutto. Invece niente: il finale è un piatto vuoto, non spiega assolutamente nulla. E dato che sono di natura diffidente, azzardo con il concludere che lo stesso autore ha finito per incartarsi nel suo stesso racconto restando impigliato in quella rete che egli stesso aveva costruito.

A proposito di reti, com'è successo altre volte, anche su questo lavoro aleggia l'ombra di "The Matrix": tanti sono i riferimenti e le situazioni che ricordano questo film di culto per la fantascienza. Peccato che accostare questo "No.6" all'opera dei fratelli Wachowski sia una vera eresia. Poche volte, infatti, mi sono annoiato tanto guardando un'opera del genere; ed è per soprattutto per questo che lo boccio: è troppo lento e assolutamente inconcludente.



10.0/10
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Trattare il tema della memoria non è semplice; non è semplice, difatti, inoltrarsi in uno spazio tanto intimo e colpire lo spettatore, ma "Kaiba" ci riesce fin troppo bene. Oramai è quasi raro che io dia voti alti, ma qui non posso davvero esimermi, perché ciò che merita il massimo lo si riconosce di primo acchito.
Ciò che fa sì che "Kaiba" sia uno splendore è innanzitutto la grafica, che è la caratteristica che colpisce maggiormente nei primi momenti. Tutto pare gommoso, soffice, sperimentale, fanciullesco e colorato contemporaneamente. A parte un impianto sonoro diciamo modesto, anche per quanto riguarda le canzoni, si aggiungono una trama e una profondità quasi uniche. Pochi anime sono penetranti come "Kaiba", forse solo "Haibane Renmei" è stato più coinvolgente, per quanto riguarda me.
La storia, difatti, essendo narrata nel corso di poco meno di 9-10 puntate (le prime non la analizzano quasi per nulla), appare semplice, ma contorta contemporaneamente, più che altro perché fatta a pezzi e rivelata in modo abbastanza caotico, tranne nel finale, quando tutto viene messo al suo posto.

La prima parte di "Kaiba" inoltra lo spettatore in medias res, facendo sì che goda più che altro dell'ambientazione, di questo mondo quasi onirico, più che della trama, ancora non focalizzata. D'altronde il protagonista ufficiale è uno, ma ufficiosamente sono due, e il secondo non compare che nella seconda parte, pensate un po'.
In questa prima sezione gli sceneggiatori hanno deciso di rivolgere l'attenzione su un viaggio che il protagonista affronta, tra l'altro dandogli un corpo muto, quasi come se anche lui, come lo spettatore, fosse lì a guardare in modo attento. C'è da dire che è una sezione fantastica. A ogni episodio o quasi corrisponde una storia umana differente e tutte colpiscono nel profondo con la loro carica emotiva. Ciò che impressiona è la profonda umanità che il regista ha saputo imprimere a tutti, ancora più magistrale è il fatto che il lieto fine non è assolutamente contemplato.
Il mondo di "Kaiba" è triste, è pieno di sofferenza, come il nostro, forse come tutti i mondi, con pace di Leibniz, di conseguenza perché atteggiarsi a perbenisti? La sofferenza è impressa anche sulle storie che osserviamo. Morte, passato martellante, tristezza: nessuno scampa al suo triste fato in "Kaiba" e noi, come il protagonista, osserviamo tutto senza poter parlare, senza poter cambiare il corso degli avvenimenti. Non credo che potrò dimenticare Chroniko. Dubito che dimenticherò anche Vanilla. Tutti hanno la loro umanità, tutti alla fine cadono.

La seconda sezione comincia ad analizzare le vicende. Chi è Kaiba, chi è Neiro, chi è il Concordato che vuole abbattere la tirannide, cos'è questo mondo. È una bellissima parte, perché finalmente ci schiarisce le idee (seppur non al cento per cento, compreso un finale dubbio), ma non quanto la prima, che è molto più profonda.
Come dicevo, il tema delle memorie è in "Kaiba" fondamentale, perché viene immaginata l'invenzione di un metodo di salvataggio delle stesse e di trasporto di esse in un chip, cosa che teoricamente determina l'immortalità, qualora si abbia corpi "vergini" a sufficienza. Qui subentra il tema dell'ingiustizia sociale, della prepotenza dei ricchi, che però viene abbastanza velocemente messo da parte, anche perché le puntate sono solo 12 e tutto necessita del proprio spazio.
Altra cosa che ho gradito molto è l'attacco, o così l'ho inteso io, alla dicotomia manichea di tipo politico. Il Concordato, buono, da una parte, la tirannide, cattiva, dall'altra. Niente di più falso. Non esistono concetti assoluti, se non per i vincitori, di conseguenza nelle 12 puntate abbiamo la possibilità di comprendere come anche i cosiddetti buoni siano in realtà profondamente marci come il mondo e l'aria in cui vivono. D'altronde se non lo fossero non sarebbe normale e non il contrario.
Da guardare, necessariamente, perché sperimentale, perché profondo, perché con una storia d'amore tormentata, ma sobria, senza piagnistei alla "AnoHana".



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Era Spaziale, anno 0087. In seguito a un piano criminoso (narrato su "Gundam 0083: Stardust Memory") la fazione militare dei Titans ha assoggettato la Federazione Terrestre ai suoi voleri, instaurando una dittatura reazionaria per sterminare i reduci zeoniani. Si forma così una fazione ribelle chiamata AEUG, nella quale entra presto a far parte Kamille Bidan, giovane civile che, nel corso di un'azione di guerra, si ritrova nella crew del vascello Argama, guidato da un recidivo Char Aznable sotto lo pseudonimo di Quattro Vageena...

Anno 1985: cinque anni dopo lo spartiacque Mobile Suit Gundam e del successo tardivo coltivato dai suoi tre film riassuntivi, Sunrise costringe Tomino a crearne un seguito. È la genesi di "Mobile Suit Z Gundam", che per lungo tempo è considerato la leggenda, il punto di inizio della più celebre saga fantascientifica nipponica, il più famoso termine di paragone di sempre per qualsiasi serie mecha.
Quello che porta fin da subito a ipotizzarlo è la strabiliante cura tecnica del prodotto, mantenuta senza calo alcuno per i 50 lunghi episodi che lo compongono. Animazioni generali ai livelli delle migliori produzioni OVA risaltano al massimo il meraviglioso, pittorico tratto di un Yoshikazu Yasuhiko all'apice della sua forma espressiva, designer di uno dei più giganteschi cast mai visti. Stesso discorso per le realistiche movenze dei mecha, che nel design di Fujita, Okawara, Kondo e Nagano trovano bellezza estetica estrema: i noti artisti si sbizzarriscono nel creare un colossale esercito di robot splendidi, dettagliati e variegati e dalle mille forme, epocale passo in avanti rispetto a quelli semplicistici della prima serie - non mancano neppure quelli trasformabili, a testimoniare ancora una volta il successo di "Macross". La colonna sonora, per la prima volta nella saga, inizia a essere composta da un buon numero di temi di grande qualità, epici e dalle reminiscenze "starwarsiane", e infine la regia dettagliata e meticolosa di Tomino, da kolossal (e che non si rivedrà mai più nella sua filmografia, se non nel mediocre "The Wings of Rean"), amalgama il tutto, consegnando alla storia diverse delle più avvincenti, epiche e sontuose scene di puro cinema "animato" mai viste.

Altro tratto caratteristico della serie sono le atmosfere: fino a quel momento, tolto "Ideon" (dello stesso Tomino), non s'è mai visto nulla di così tetro e angoscioso. Già dal primo episodio lo spettatore è buttato di forza in una storia tesa che della violenza e del dramma fa le sue bandiere portanti, vista la nonchalance con cui muoiono milioni di persone per mezzo di armi nucleari, gas nervino et similia - in certe sequenze spaventose si capisce bene quanto l'orrore della Seconda Guerra Mondiale ha influito nella generazione del regista. I personaggi, infine, come nelle migliori produzioni del regista, sono indimenticabili: Tomino approfondisce in modo esemplare le loro motivazioni, la loro forza, le insicurezze, gli ideali, umanizzandoli come ben pochi possono riuscire oltre a lui. E da "Ideon" e "Dunbine" ricicla gli archetipi dei suoi attori-tipo, se possibile donando loro una caratterizzazione ancora più forte: impossibile dimenticarsi della rabbia giovanile del disadattato Kamille, in guerra non solo contro i Titans, ma anche con le ipocrisie e incomprensioni del mondo degli adulti; di una monolitica Emma Sheen che gli funge idealmente da seconda madre; di un villain come Jerid Messa che vuole uccidere il protagonista per dare senso a una vita mediocre e piena di delusioni; dell'affascinante, mascolina Haman Karn che sogna di restaurare il principato di Zeon; di un ritrovato Amuro Ray disilluso dall'umanità; della tragica cavia umana Four Murasame... Una galleria di personalità fortissime, probabilmente il cast più carismatico che si sia mai visto in un'opera di Tomino. È nello svolgimento dell'intricatissimo corpus narrativo che il mito di Z deve parzialmente venire ridimensionato.

Z Gundam è ambizioso a livelli inarrivabili, forse troppo. La trama, che discorre di più e più fazioni in guerra, tradimenti, intrighi politici, identità celate e ogni genere di twist importantissimi e morti ogni due per tre, e che vanta un cast praticamente immenso (un'ottantina di personaggi, sia nuovi sia provenienti dalla prima serie), non riesce a reggere il gioco fino alla fine. Il regista cerca di dare a tutti i personaggi una caratterizzazione forte e un ruolo importante, ma gestire un gruppo simile è impresa quasi impossibile, e infatti, inevitabilmente, gli attori se ne vanno più di una volta per conto loro, addirittura quasi abbandonati per esigenze di spazio (Tomino stesso ammette che la serie gli è sfuggita di mano). Questo si nota particolarmente nella figura di quelle personalità che nel corso della serie cambiano bandiera: il loro voltafaccia è importante e anche coerente, ma avviene troppo di fretta, non si riesce a spiegarlo bene. Stesso dicasi per l'alto numero di storie sentimentali, importanti nell'economia della storia ma mancanti di adeguato spazio per essere adeguatamente sviluppate.

Nonostante costretto a realizzare Z Gundam controvoglia (da qui l'inizio del suo odio per la saga, con cui farà pace circa quindici anni dopo in occasione di ∀ Gundam), Tomino scrive un soggetto addirittura fin troppo potente, ed è questo il vero neo che impedisce all'opera di raggiungere l'eccellenza: per una storia così lunga e articolata, paradossalmente, 50 episodi non bastano. Il solo soggetto principale, se sviluppato con dovizia di particolari, ne merita almeno altri 10 o 20. Vedere Z Gundam vuol dire visionare una trentina di episodi eccellenti e poi, a seguire, altri venti densissimi come non mai di rivelazioni, colpi di scena e ulteriori personaggi, semplicemente troppa carne al fuoco.

Alla fine, presumibilmente, lo spettatore medio si ritiene comunque appagato da una storia così epica sorretta da un comparto tecnico/visivo sfavillante, ma non può non pensare che, scritto meglio e con diversi personaggi in meno, Z Gundam potrebbe essere uno dei più grandi capolavori di sempre. Visione comunque imprescindibile, anche solo per il carisma della storia, il celebre finale, la superba realizzazione tecnica, le leggendarie opening "Mizu no Hoshi" e "Ai wo Komete" e il pantheon di personaggi indimenticabili. Un dovere morale attendere ansiosamente un'edizione italiana in DVD, sperando che Dynit riesca un giorno ad acquistare il doppiaggio italiano di Mediaset. Assolutamente da dimenticare sono i tre inqualificabili film riassuntivi realizzati vent'anni dopo.