Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi torniamo negli anni '90, con La rivoluzione di Utena, Escaflowne e Gosei Sentai Dairanger.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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"La rivoluzione di Utena'" è considerato dalla critica e dal pubblico uno dei maggiori anime degli anni '90 ed è un peccato che qui in Italia sia uscito in sordina dopo l'acquisto dei diritti da parte della Yamato Video. Questo anime è una decostruzione del genere shojo in chiave post-moderna, infatti in qualche forum esso viene anche chiamato "l'Evangelion degli shojo" e viene annoverato nell'olimpo dei cosidetti "anime mindfuck" di cui Evangelion, Lain, Tenshi no Tamago e Beautiful Dreamer sono gli indubbi capostipiti. Si tratta di un'opera interamente simbolica, in cui i personaggi assumono ruoli molteplici che si possono intuire dagli indizi che il regista lascia lungo il plot, confidando nell'intelligenza e nella capacità di astrazione dello spettatore.
Alla sceneggiatura troviamo Yoji Enokido, che aveva lavorato anche in Evangelion, e alle musiche J.A Seizer, che compone per quest'opera notevoli brani metal corali che si intrecciano perfettamente con la sceneggiatura, fornendo una visione accattivante e potente delle vicende, dotate di indubbio spessore psicologico ed emozionale. La regia è caratterizzata dallo stile personalissimo di Kunhiko Ikuhara, già regista di Sailormoon-S. Lo stile di quest'ultimo, che spesso viene annoverato insieme ad Anno e a Lynch come "best trolling director ever", proprio per essere molto personale e simbolista, potrebbe anche non piacere alle persone che cercano in questo prodotto uno svago da consumare a cervello spento.
La storia si basa inizialmente sulla decostruzione della classica fiaba in cui la principessa viene soccorsa da un principe sul cavallo bianco e portata nel castello "là dove vissero felici e contenti per l'eternità". Per effetto di tale decostruzione, la principessa anziché essere la fragile donnina a cui siamo stati abituati dalla Disney vorrà diventare principe lei stessa, il castello verrà letteralmente ribaltato e posto nel cielo e il principe verrà reso impotente e vittima di qualche arcano sortilegio. In seguito, come già accennato, verranno decostruiti tutti i canoni del genere shojo standard, arrivando all'introduzione nel plot di simbologie esoteriche (troveremo addirittura citazioni ai Rosa-Croce e all'universo Tolemaico) così come era stato fatto in Evangelion due anni prima.
La vicenda avviene in una scuola superiore caratterizzata da ambientazioni surrealiste che forse indicano una condizione di "congelamento" alla Urashima-Taro in cui si trovano i personaggi, che sono incapaci di reagire al loro passato e a creare un futuro. I principali antagonisti sono i cosiddetti "duellisti" che si sfidano in una arena sostenuta da una scala a forma di DNA che la nostra Utena dovrà percorrere ogni duello in una sequenza identica, ma affascinante, che presenterà delle differenze in ogni diverso arco della serie. Il vincitore del duello guadagna il potere assoluto su una ragazza di fattezze indiane, Anthy, che si dimostra sottomessa e impersonale indipendentemente dal suo "padrone". Il fulcro della serie è proprio il rapporto Anthy-Utena, con tutti i simbolismi e risvolti che ne possano derivare. Chi possiede Anthy guadagna "il potere di rivoluzionare il mondo" ed è questo il motivo per cui i duellisti si affannano tanto per conquistarla.
Reagire al passato creando un futuro, uscire dalla propria condizione di Urashima-Taro, che sia questa la "rivoluzione"? Oppure si tratta di qualcosa di più complicato?
Spero di avere stimolato la curiosità di chi è arrivato a leggere fin qui in quanto questo anime mi ha dato molto da pensare e ragionare, oltre che a meravigliarmi e stupirmi anche dal punto di vista più prettamente tecnico e musicale.
Il doppiaggio e l'adattamento della Yamato li ho trovati ottimi, l'unica pecca penso sia la non esagerata qualità video, che però lascia comunque quel gusto retrò che è completamente assente nell'ultima, ma comunque ottima, opera di Ikuhara: "Mawaru Penguindrum".



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Insieme a Neon Genesis Evangelion e Cowboy Bebop, l'opera in ventisei episodi trattata nella presente recensione rappresenta per me uno degli anime al centro della mia adolescenza, tra quelli che hanno contribuito a cambiare la mia prospettiva sul mondo dell'animazione in generale. The Vision of Escaflowne (tradotto in italiano come "I cieli di Escaflowne") per anni è stato uno dei miei anime preferiti, ma, nonostante lo reputi comunque un ottimo prodotto, una recente revisione mi ha fatto cambiare idea in maniera drastica.

Hitomi Kanzaki è una giovane atleta appassionata di tarocchi, grazie ai quali riesce nella straordinaria impresa di predire il futuro, con le tipiche turbe adolescenziali, amori "impossibili" e amiche del cuore. Un giorno la sua normale esistenza è cambiata per sempre dall'improvvisa comparsa di Van, un ragazzo armato di spada, e un drago a due zampe. Sconfitto il mostro dopo una battaglia e una fuga rocambolesche, Hitomi sarà teletrasportata insieme allo sconosciuto su Gaea, un pianeta la cui luna è in pratica la nostra Terra. È un mondo popolato da draghi e cavalieri, in cui le persone convivono tranquillamente con umani dalle sembianze di animali e dove le battaglie si combattono a bordo dei Guymelef, poderosi esoscheletri meccanici. A contrastare lo splendido e pacifico regno di Fanelia e i territori limitrofi è il malvagio Impero di Zaibach, capeggiato dal misterioso Imperatore Dornkirk, il carismatico Folken e il folle omicida Dilandau. La distruzione di Fanelia sarà l'inizio per Hitomi e Van di una serie di avventure, incontri con nobili gentiluomini (Allen Schezar), ricchi magnati (Dryden Fassa), fulgide principesse (Millerna e Marlene) e città-stato in guerra (Freid), all'insegna delle relazioni sentimentali, di violente battaglie e di misteri che collegano Hitomi al mondo di Gaea in modi del tutto inattesi...

Da un punto di vista tecnico c'è davvero poco di cui lamentarsi: animazioni fluide, colori sfavillanti e un character design gradevole, il cui "difetto" più evidente potrebbe stare nei nasi particolarmente pronunciati dei personaggi (all'inizio è una botta, ma dopo un po' non ci si fa più caso). Il mecha design, dal canto suo, si ispira ai mecha "cavalieri" del famoso The Five Star Stories di Mamoru Nagano ed è davvero peculiare e gradevole: a differenza però degli esoscheletri da battaglia di Nagano, i Guymelef di Escaflowne sono di gran lunga più massicci. Per quanto riguarda le musiche, a parte le sigle che non mi hanno mai detto granché, ci troviamo di fronte ad una delle più belle colonne sonore mai scritte per un anime: tendenzialmente di genere sinfonico e corale, le musiche scritte dalla poliedrica e capace Yoko Kanno sono sempre azzeccate e mettono in risalto in modo impeccabile sia i momenti di tranquillità che quelli più drammatici, nonché le concitate scene di battaglia. E allora perché soltanto un "discreto" come voto? È presto spiegato: la trama è incredibilmente lacunosa. Superate le prime quindici puntate vengono fuori una serie di rivelazioni che spiegano quasi tutto, dando però l'impressione palese che venga tralasciato parecchio, come se a un certo punto lo sceneggiatore Shōji Kawamori (tra l'altro famoso mecha designer, ideatore di Macross e autore della sceneggiatura proprio di Cowboy Bebop) abbia dovuto decurtare molte delle puntate originariamente progettate. Inoltre, sebbene nella trama non siano assenti interessanti sviluppi, come ad esempio la guerra che coinvolge il regno di Freid e l'enigma dietro al misterioso Folken, in realtà alcune trovate non sono sviluppate a dovere: mi viene in mente la tanto decantata importanza dell'Escaflowne nel corso del Destino: per puntate intere Dornkirk e Folken non fanno che parlarne e poi la questione viene lasciata irrisolta, il che è inaccettabile secondo me. A condire le suddette lacune, un'eccessiva dose di sentimentalismo lascia da parte e addirittura soverchia le ottime premesse degli episodi introduttivi: per quanto apprezzabile, alla fine della storia a farla da padrone è l'amore che vince su tutto, insomma nulla di nuovo. Tuttavia, Tenkū no Escaflowne non è per niente da cestinare e anzi mi sento di consigliarlo già solo per le animazioni e le ottime musiche (facendo in particolare riferimento all'edizione rimasterizzata dalla Dynit nel 2010), ma sicuramente non in qualità di punta di diamante dell'animazione giapponese degli anni Novanta.



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Fra le cose che, negli anni '90, piacevano ai bambini, non si può non citarne tre in particolare: i Power Rangers, i picchiaduro da sala giochi e Sailor Moon.
Pensate un po', non sarebbe bellissimo se ci fosse una serie che unisse in sé queste tre cose? Sarebbe la serie anni '90 perfetta e renderebbe felicissimi gli spettatori che all'epoca erano bambini e vogliono ritrovare, ora che sono cresciuti, le sensazioni della loro infanzia. Ebbene, ex bambini degli anni '90, tenetevi forte, perché tale serie esiste davvero, e il suo nome è Gosei Sentai Dairanger!

Se in gioventù avete seguito tutta la prima serie dei Power Rangers, in realtà, questo telefilm non vi sembrerà del tutto nuovo, in quanto costumi, mostri, robot, personaggi e scene di combattimento di Gosei Sentai Dairanger sono stati utilizzati nella seconda stagione della suddetta serie americana.
Nel particolare, se il vostro personaggio preferito dei Power Rangers era Tommy, soprattutto col costume della Tigre Bianca, sappiate che l'origine di quel costume è da ricercare in questo bel telefilm giapponese del 1993.
Fondamentalmente, Gosei Sentai Dairanger ("Dairanger, lo squadrone delle cinque stelle") è un Power Rangers incentrato sulle arti marziali e sulla mitologia orientale invece che sui dinosauri, tema del telefilm sentai dell'anno precedente da cui nacque la prima stagione dei Power Rangers.
La trama della serie ruota intorno a due tribù rivali che combatterono una guerra civile nella Cina di seimila anni fa: la malvagia tribù Gorma, che padroneggia l'oscura energia You e si avvale di demoni e creature mostruose, e la giusta tribù Dai, che padroneggia l'energia spirituale Ki e gode del favore delle leggendarie bestie mitologiche.
L'eterno conflitto si ripete ancora una volta nel Giappone degli anni '90: da un lato, una rediviva tribù Gorma cerca di prendere possesso della Terra; dall'altro, l'enigmatico maestro Kaku cerca di fermarla addestrando i leggendari guerrieri Dairanger, cinque ragazzi dotati di poteri straordinari.

Dairanger è una serie che va seguita con passione e costanza.
L'inizio è fulmineo, molti eventi si succedono uno dopo l'altro e i personaggi ne sembrano quasi schiacciati, schiavi di una maestosa spettacolarità e di un'atmosfera impagabile.
Quello che colpisce immediatamente, infatti, è la meravigliosa atmosfera da produzione orientale di una volta che ammanta tutta la serie. Non manca assolutamente nulla per essere un film di Hong Kong o un picchiaduro da sala giochi: praticanti assortiti di arti marziali, ristoranti cinesi, riti esoterici, maestri saggi e misteriosi con una fascia rossa sulla testa in stile Ryu o Liu Kang, vecchietti pervertiti che di lotta se ne intendono, agili e bellissime combattenti cinesi, gangs di nemici in giacca e cravatta, tecniche mirabolanti che prevedono l'uso di energia spirituale, marzialisti cattivi in cerca di vendetta, leggendarie creature mistiche, personaggi del folclore shinto-buddista, strani allenamenti che veicolano importantissimi valori.
Gosei Sentai Dairanger è un grande, grandissimo, atto d'amore all'Oriente nei suoi aspetti più vari, dalla Cina al Giappone, dalle arti marziali ai culti, dalla cucina alla filosofia, dal cinema d'azione di Hong Kong ai kaiju eiga del Sol Levante. Lo si nota, del resto, immediatamente, sin dai primi, bellissimi, fotogrammi della sigla iniziale, che mostrano un maestoso dragone (Ryuu) rosso, di quelli ben noti a chi si intende di arte cinese, stagliarsi nel sole del tramonto e librarsi in aria sputando fiamme, viaggiando dalla Grande Muraglia ai grattacieli dell'attuale Tokyo. Lo raggiungeranno ben presto altre figure mitologiche ben note agli orientalisti, dal Pegaso (Tenma) alla Chimera (Kirin), dal Leone (Shishi) alla Fenice (Houhou), dalla Tigre bianca (Byakko) alla Tartaruga (Genbu), in un affresco dal sapore orientale e di indubbio fascino.

Inebriati dall'odore di ravioli cinesi al vapore che tutto questo porta inevitabilmente con sé (tanto più che li vediamo in scena spesso e volentieri), quasi tendiamo a non calcolare i nostri cinque protagonisti, i veri e propri eroi della nostra storia. Del resto, che credito possiamo dare a questa banda di sfigatelli messa insieme alla bell'e meglio? Come possiamo dargli fiducia, se i nostri invincibili Dairanger sono in realtà un normalissimo ragazzo che fa consegne a domicilio per un ristorante, un pugile un po' teppista in cui nessuno crede, il taciturno commesso di un negozio di animali, un buffo parrucchiere in giacca e cravatta e una studentessa appena giunta dalla Cina?
Tempo al tempo, diceva un saggio personaggio a fumetti di quegli stessi anni '90, poiché è così anche per i nostri Dairanger. Proseguendo nella visione degli episodi, pian piano, tutto cambierà, e i nostri cinque protagonisti che ci parevano personaggi un po' piatti a cui era difficile affezionarsi ci regaleranno immense soddisfazioni. Si apriranno diverse, interessantissime, sottotrame per ognuno di loro, instaureranno legami di vario tipo con altri personaggi della serie, ci racconteranno delle loro vite passate e presenti, dei loro sentimenti, dei loro sogni e degli ideali in cui credono.
Andando avanti con la visione, il serial ci offrirà tantissimo: rivalità passionali da cui nascono amicizie tanto tormentate quanto commoventi, origini segrete da scoprire e situazioni familiari travagliate, storie d'amore intense e struggenti, improbabili spalle comiche che portano con sé importanti segreti, misteri nascosti nel passato, tradimenti, rivelazioni, spettacolari potenziamenti, una successione di eventi, colpi di scena e risvolti decisamente coinvolgenti e raccontati sempre con il piglio drammatico e struggente, ricco di pathos e sentimentalismo, che caratterizza il cinema e la tv giapponese e i telefilm sentai più vecchi.

Ecco quindi che, quasi senza che ce ne accorgessimo, i nostri cinque sfigatelli si sono trasformati in meravigliosi eroi che combattono a rischio della vita, ma non mancano mai di dimostrare una forte umanità, poiché, fra combattimenti, robot, mostri e mitologia, anche i nostri Dairanger in fondo sono umani e amano, hanno fiducia nei loro amici, vogliono proteggere le persone per loro importanti, soffrono per la morte di una persona cara, si preoccupano di ricondurre sulla retta via un amico che ha scelto la strada sbagliata, si montano la testa e commettono degli errori a cui pongono rimedio imparando lezioni di vita o, semplicemente, si riuniscono insieme per ridere e scherzare davanti a un fumante piatto di ravioli.
Diventa quindi piacevolissimo lo schema su cui si basa la serie, che dedica gli episodi, di volta in volta, a rotazione, a questo o a quel personaggio, con tanto di stacchetto pubblicitario a tema, perché ognuno dei nostri eroi ha una sua personale sottotrama, un suo percorso individuale di crescita interiore da portare avanti, sviluppato in maniera impeccabile nel corso del telefilm.
Alla fine della fiera, quindi, finiremo per amarli tutti, i nostri Dairanger.
Sì, tutti, anche Kou alias Kibaranger, il sesto guerriero che si unirà al gruppo verso metà serie. Kou è un personaggio strano, chi ha dimestichezza con i Power Rangers americani tenderà inizialmente ad odiarlo per due motivi: perché è un bambino che cresce trasformandosi, come quel Justin che tutti odiavano e criticavano nella serie Power Rangers Turbo, e perché scoprire che nella versione originale il fighissimo Tommy col costume della Tigre Bianca è un bambino col cappellino e lo skateboard che corre dietro alle gonnelle e alla mamma può sembrare strano, stupido e deludente.
Eppure, stranamente l'idea funziona e Kou risulta simpatico, divertente, persino toccante, nella sua perenne e triste ricerca dell'amore materno da cui i nemici, la vita e persino il destino sembrano volerlo separare.

Vale anche per i cattivi il percorso affrontato dai protagonisti. Se nei primi episodi la tribù Gorma è fumosa, un po' piatta, col proseguire della serie acquista spessore e fascino in diversi aspetti. Il trio di cattivi formato da Gara, Zydos e Shadam viene sempre più approfondito, mostrando il suo passato, i suoi legami e le sue ossessioni, mentre nuovi personaggi del clan Gorma vengono mostrati, con i loro misteri, le loro gerarchie e le loro ambizioni personali.
Dispiace un po' che il continuo tramare e farsi la guerra interna fra loro dei vari personaggi Gorma non riesca a donare un boss finale sufficientemente carismatico all'opera, problema già visto in "Choujin Sentai Jetman" di due anni prima ma comunque di relativa importanza nel giudizio globale.
E' curioso e oltremodo affascinante notare come, se la tribù Dai, con i suoi maestri d'arti marziali e animali mitologici protettori, è una rappresentazione della Cina, la tribù Gorma è invece lo specchio (e, sotto sotto, la critica) del Giappone antico, con un imperatore-fantoccio che detiene un potere effimero e solo di facciata, e numerosi sottoposti che ordiscono trame alle sue spalle e che, de facto, hanno più potere di lui.
Pollice inevitabilmente in su per i meravigliosi mostri minori che si avvicendano di episodio in episodio, quasi tutti ispirati ad elementi culturali del Giappone o dell'Asia orientale (i ciliegi in fiore, i kamikaze, gli Ashura, i monaci buddisti, i cimiteri, il teatro kabuki...) e decisamente tutti divertentissimi, anche grazie all'azzeccatissima particolarità di trasformarsi in esseri umani totalmente folli.
Non stupisce, quindi, che alcuni di loro vadano incontro ad una redenzione, perché sono talmente buffi e simpatici da riuscire a farci ridere e alle volte persino commuovere nonostante siano solo dei giganteschi pupazzoni.

Gosei Sentai Dairanger è una serie che va in crescendo, migliorando via via in vari aspetti, come quello della recitazione. Guardandoli nella sigla iniziale (dove sono stati ripresi in maniera davvero anonima e con indosso abiti che poi non saranno quelli che li caratterizzeranno per tutta la serie) e nei primi episodi, i protagonisti non spiccano per niente. Si fa fatica a ricordarsene i volti e a riconoscerli l'uno dall'altro (con l'unica, ovvia, eccezione di Lin, ma solo perché è l'unica femmina). Proseguendo con gli episodi, tuttavia, migliora la resa dei personaggi: diventano più riconoscibili e crescono molto come attori, riuscendo a risaltare egregiamente nelle scene comiche e in quelle drammatiche con una buona ambivalenza. Altri attori invece sono sin da subito assai convincenti, e anche i due attori-bambini che interpretano Kou e Akomaru sono bravissimi a recitare nonostante la loro giovane età.
Gli appassionati di telefilm sentai, poi, non potranno nascondere un sorriso nel vedere il ritorno di diversi attori già visti in "Choujin Sentai Jetman": Mikiko Miki, l'inflessibile comandante Odagiri, è qui una madre tragica e sfortunata; Tomohisa Naruse, il simpaticissimo Raita/Yellow Owl, è qui (richiamato d'urgenza a sostituire dopo qualche puntata un altro attore nello stesso ruolo) un buffo disegnatore col pallino delle tartarughe dal carattere pavido e buono come il pane, ma che non mancherà di avere i suoi momenti; infine, Yutaka Hirose, il fortissimo imperatore Tranza, continua a fare il duro, a bullarsi indossando giacche di pelle e occhiali da sole e donarci incredibili prove marziali nel ruolo di un vendicativo combattente la cui sottotrama è fra le più interessanti dell'intero serial.
Le scene di combattimento, visto che la serie si basa sulle arti marziali, sono quindi stupende, sempre splendidamente coreografate e spettacolari. Ogni personaggio ha il suo, ben preciso, stile di lotta che influisce anche sui suoi movimenti e sulle tecniche speciali di cui può disporre (si va dallo stile dell'ubriaco al kung fu, dal karate alla boxe, passando per tecniche sovrannaturali come fiammate, illusioni, folate di vento, manipolazione del tempo o della gravità). Gli stuntmen nei costumi dei Dairanger sono bravissimi, perfettamente a proprio agio con le arti marziali, sembrano danzare più che combattere e le tecniche spirituali sono rese con ottimi effetti speciali.
Gli appassionati di film di arti marziali o di picchiaduro da sala si troveranno qui perfettamente a loro agio, ritrovando nel telefilm tutto ciò che più gli piace di questo tipo di produzioni.
Una menzione d'onore va ai robot che incarnano le varie bestie mitologiche. Sono ancora dei modellini giocattolo ripresi in grande, ma quasi non si nota, tanto sono possenti, maestosi e ben calati nella storia.
La colonna sonora, infine, fa un ottimo lavoro nel riportare lo spettatore in un misterioso e affascinante estremo Oriente anche dal lato musicale, fra basi e tracce orchestrate dove non mancano mai gong e melodie di stampo cinese e belle canzoni di contorno ai combattimenti e alle scene clou delle puntate (memorabile la puntata a tema idol, con una bella canzone cantata da Yoko Ishida, canzone molto nota negli anni '90 che ha legato il suo nome a Sailor Moon e ai remix eurobeat di molte sigle degli anime).

Gosei Sentai Dairanger è un'opera che parte in sordina, ma cresce e migliora lungo la via, diventando epica, avvincente e coinvolgente come poche. Indiscubitibilmente superiore al remake americano, che ne ha solo estrapolato elementi a casaccio ponendoli in un contesto totalmente differente che non ha l'intensità dell'originale, la sua drammaticità e, soprattutto, manca totalmente del suo spiritualismo tutto orientale, banalizzandone le creature mitologiche e i mostri continuamente legati all'Asia con nomi che non c'entrano nulla e ignorandone totalmente la trama,complessa e intrigante, che pone le sue radici nella storia e nella cultura dell'Asia orientale per creare un racconto unico e meraviglioso.
Quello delle cinquanta puntate di Gosei Sentai Dairanger è un viaggio bellissimo, da affrontare con pazienza, come il più classico dei maestri orientali potrebbe dirci, e che saprà ricompensarci con una storia ricca di passione, emozioni e coinvolgimento. Un viaggio in un Oriente misterioso e affascinante fatto di combattenti, creature fantastiche, intrighi, lotte e sentimento, condito con un gradevolissimo retrogusto anni '90 che non guasta mai.
Consigliatissimo dunque agli appassionati di arti marziali, di cultura orientale, di manga di lotta come il primo Dragon Ball, Ranma 1/2, Ken il guerriero o Otoko Juku e a chi, negli anni '90, era un bambino che frequentava le sale giochi e guardava i cartoni e i telefilm in tv. Se appartenete a una o più di queste categorie di persone, Gosei Sentai Dairanger vi piacerà tantissimo, potete scommetterci.