Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con Galactic Drifter Vifam, Tiger & Bunny e Hentai Ouji to Warawanai Neko.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


-

Siamo in un vicino futuro, in cui la colonizzazione terrestre ha già trasportato parte dell'umanità in pianeti orbitanti in nuovi sistemi stellari. Nell'anno 2058 scoppia una guerra tra la Federazione Terrestre e i misteriosi alieni Astrogator, conflitto che coinvolge anche il pianeta Creado dove risiedono i fratelli Roddy e Fred. Costretti a evacurare la zona di guerra, loro e altri nove bambini/ragazzi finiscono, per vie traverse, col perdere di vista i genitori e, insieme a due archeologi, a trovare riparo dentro una gigantesca astronave, la Janus. Iniziando così a prendere dimestichezza coi comandi e con le armi del vascello, in vista della difesa contro gli Astrogator, decidono di solcare lo spazio per ritrovare i loro parenti. Cosa rappresenta, però, il misterioso monolite nero ritrovato nel pianeta e ora custodito da loro?

Cosa succederebbe se la Guerra di un Anno di "Mobile Suit Gundam" fosse narrata non dal punto di vista di Amuro Rei, ma da quello dei piccoli bambini Katzu, Retz e Kikka, spettatori puramente passivi? Yoshiyuki Tomino sembra attingere da quest'ipotesi nello scrivere il soggetto per Vifam, serie televisiva Sunrise dei primi anni '80 che, nonostante il suo nome nei crediti e gli elementi di indubbia originalità che lo pongono come seminale precursore dell'acclamato "Infinite Ryvius", è così poco conosciuto dal fandom mondiale da essere stato visto da pochissimi, una visione così oscura da venire coperta da un silenzio imbarazzante. Un fato abbastanza sfortunato visto che spunti di interesse sono presenti a iosa, nonostante un risultato non riuscito per colpa di ingenuità pienamente perdonabili, visto il periodo.

È infatti un robotico molto particolare Vifam, dove spesso e volentieri le schermaglie tra mecha sono del tutto trascurate per focalizzare l'attenzione su cast e storia, il primo esponente del genere a non prevedere automaticamente una battaglia a episodio. I protagonisti, tutti bambini/ragazzini la cui età varia dai 4 ai 14 anni, sono, una volta tanto, trattati come tali: nell'astronave super-tecnologica in cui trovano rifugio, quasi del tutto privi di guide di riferimento adulte, sono spaesati e terrorizzati, persi in se stessi vista la loro estraneità alla navigazione spaziale o alle attrezzature militari, dovendo perciò svolgere un lungo addestramento e fare esperienza prima di potersi difendere efficacemente dagli attacchi nemici o navigare nello spazio. Fanno così terribilmente fatica a eliminare i primi avversari, a non perdere l'equilibrio guidando gli ingombranti, sensibilissimi robot vernian, o anche solo a non lasciarsi andare allo sconforto nella loro solitaria ricerca dei propri genitori, finiti chissà dove oppure addirittura morti. La morte più di una volta fa loro visita, portando via dei cari e diventando spauracchio per diventare adulti prima del tempo. Un inedito approccio di ricerca al realismo nel genere - riscontrabile fino a quel momento solo in Dougram -, almeno nei limiti concepibili dell'epoca, tanto che prima che il protagonista Roddy e i suoi amici riescano ufficialmente a pilotare bene le loro unità robotiche e a imparare a navigare bisogna attendere una ventina di episodi, quasi mezza serie. Questo purtroppo nulla toglie a ingenuità che minano le fondamenta di credibilità della storia, a volte prezzo da pagare per mandare avanti la trama, altre volte svarioni figli del proprio tempo.

Si possono accettare dei bambini che, dopo un addestramento superficiale, riescono a guidare nello spazio un'astronave o a combattere dentro enormi robot diventando degli assi (del resto, se non si facessero passare queste cose non ci sarebbe scampo neanche per Gundam ed epigoni vari), ma è difficile sospendere l'incredulità quando militari adulti riconoscono il valore dei giovanissimi eroi e li lasciano andare per la loro strada, a continuare la ricerca di salvataggio dei propri genitori nei campi di battaglia, invece di riportarli sulla Terra. Così come sono difficili da mandare giù intermezzi esageratamente rilassati e festaioli che accolgono i piccoli protagonisti nel loro viaggio, inconcepibili vista la loro età e la loro condizione teoricamente disperata. O battaglie dove si lasciano andare a spacconerie invece di tremare di paura. O dialoghi e reazioni psicologiche talvolta molto poco credibili. Tante, piccole stonature che tutte insieme mandano all'aria il realismo che vorrebbe evocare il soggetto drammatico e avveniristico di un gruppo di bambini da soli in mezzo a un campo di battaglia. Allo stesso modo anche l'intreccio, nonostante un ottimo ritmo complessivo e la sua splendida imprevedibilità (fino all'ultimo episodio lo spettatore non ha la minima idea del dove andrà a parare la storia, o che conclusione troverà), culminanti in un finale coraggioso e commovente, disperde per strada diversi spunti notevoli. Alla fine il mistero dietro al monolite alieno - fisicamente identico a quello di 2001: Odissea nello spazio - custodito dentro a Janus si risolve in una bolla di sapone, sembra importantissimo ma infine il suo scopo ultimo è liquidato brevemente e senza ripercussioni, come non servisse a nulla. Stesso discorso per il villain Shido Mueller che appare a storia inoltrata: solito clone di Char Aznable, vorrebbe, con il suo sangue misto alieno-terrestre e la sua caratterizzazione ambigua, rappresentare per i bambini una prova dell'umanità dei "cattivi" e delle sfumature degli esseri viventi, non necessariamente malvagi anche se stanno nella fazione nemica, ma sembra che gli sceneggiatori non sappiano come gestirlo e alla fine il suo destino e il suo contributo diventano irrilevanti.

Davvero un rammarico queste deficienze narrative, perché Vifam, nonostante i difetti, è una di quelle serie animate fatte davvero col cuore. Dopo un tremendo primo approccio col cast, data la natura bambinesca dei tredici giovanissimi che governano la Kanus, si inizia gradualmente a prendere confidenza con loro, fino ad affezionarsi tantissimo. La ragazzina timida e insicura, quella più matura che funge da madre ai più piccoli, il leader del gruppo pieno di ansie, gli spacconi, la riservata... Ognuno gode di una personalità molto realistica, che tiene conto anche del background familiare. Esemplare, ad esempio, la commovente figura della petulante, insopportabile Sharon, che si comporta sempre nel modo più immaturo facendo scherzi crudeli senza riflettere sulle conseguenze, eredità della perdita del padre e della trascuratezza da parte della mamma, danzatrice in chissà che tipo di locali. O dello scavezzacollo Barts, biker che annega nella spensieratezza la figura della matrigna, incapace com'è di dimenticare la vera madre defunta. O anche della tenera, gentile e sfortunata Kachua, tragicamente orfana dei genitori persi durante la guerra, che appreso di appartenere in realtà alla razza aliena non sa più cosa vuole dalla vita, sospesa tra il tornare sulla Terra insieme agli amici che l'accettano ugualmente o raggiungere la sua gente. Uno splendido ritratto di persone che bucano lo schermo in quei consueti episodi a tema, altresì realistici, che ne analizzano pensieri, turbamenti o rapporti interpersonali, contribuendo a una forte, spesso fortissima empatia. Merito anche del doppiaggio originale giapponese, davvero sentito e di gran livello sia nei momenti tragici che ilari, e anche della soundtrack di Toshiyuki Watanabe, sui generis ma che trova inaspettata forza in un unico, memorabile brano strumentale così intenso e struggente da dare i brividi nelle (rare) occasioni in cui è utilizzato.

Animazioni come da standard Sunrise di quegli anni, eccellenti, accompagnano un chara design di Toyoo Ashida estremamente moderno - tanto che la serie sembra essere fatta negli anni 90 - ma anche terribilmente infantile nelle fattezze, tanto da far rimpiangere l'assenza di un artista di peso maggiore o dallo stile più affine ai temi dell'opera. Sullo stesso livello infantile anche il mecha design del veterano Kunio Okawara, poco accattivante con questi robot tondeggianti che sembrano portare in testa un capello da baseball. Terribilmente brutte, infine, opening e ending, la prima cantata interamente in inglese, forse tra le peggiori mai sentite in ambito di produzioni robotiche. Vifam è una di quelle serie che si sanno amare anche a prescindere da falle narrative o dal potenziale mal sfruttato (a un certo punto si ha il coraggio anche di parlare di pubertà e primi turbamenti sessuali - il rapporto tra Roddy e la bella archeologa Kate -, ma la cosa è quasi subito abbandonata e non più ripresa). Un cast estremamente caratterizzato, se davvero è memorabile, basta e avanza a dare dignità all'opera. E Vifam, coi suoi momenti commoventi e divertenti ben dosati, e personaggi a cui volere bene, anche se non riesce a farsi prendere sul serio come vorrebbe, rimane una visione di qualità che consiglio sia agli amanti di Tomino che agli spettatori occasionali.

Come da standard, negli anni successivi Sunrise amplierà la storia con diversi OVA, sia riassuntivi che nuovi di zecca. E nel 1998, in occasione della morte del regista Takeyuki Kanda, verrà creata per commemorarlo una nuova serie televisiva, Round Vernian Vifam 13, purtroppo ad oggi irreperibile in idioma comprensibile, che posizionandosi tra gli episodi 22 e 26 racconta una lunga side-story di 26 episodi.



8.0/10
-

"Io ho scelto questa vita. So cosa sto facendo. E potrei smettere da un giorno all'altro. Quel giorno, tuttavia, non è oggi. E non sarà nemmeno domani."
(Batman, "Crisi d'identità")

"Tiger & Bunny" è un anime un po' a zig-zag. Nato sotto una cattiva stella e cresciuto tra continui cambiamenti in corso d'opera (titolo, abilità dell'eponimo duo e tenore generale), sarebbe scorretto bollarlo come una mera imitazione delle storie di supereroi a stelle e strisce, a cui si ispira sì in maniera palese, ma non al punto da non avere una propria identità. Certo non è un titolo esente da pecche, molte delle quali riconducibili, manco a dirlo, allo zelo con cui lo studio Sunrise ripropone i topoi tipici del genere; tuttavia ritengo che meriti una visibilità maggiore di quella che ha avuto finora, se non altro per il tipo di esperimento che costituisce.

Anno 1977 dell'era NC. A quarantacinque anni di distanza dalla comparsa dei primi N.E.X.T. (Noted Entities with eXtraordinary Talents), alcuni individui appartenenti a questa nuova razza di esseri umani dotati di superpoteri si adoperano strenuamente per permettere alla metropoli di Sternbild di continuare a prosperare: sono gli Eroi, le cui gesta tengono milioni di persone incollate allo schermo del televisore per mezzo di una sorta di reality show chiamato "HERO TV". Cartelloni pubblicitari viventi al centro di un giro d'affari di immani proporzioni, ognuno di essi riceve un determinato numero di punti per ogni arresto effettuato, per ogni civile salvato... e anche una sanzione pecuniaria per gli eventuali danni causati.
Il veterano Kotestu T. Kaburagi, in arte Wild Tiger, colleziona per l'appunto più multe che punti a causa della sua etica incompatibile con le regole stabilite da Agnes Joubert, produttrice di "HERO TV", più interessata agli ascolti che alla gratuità che sta alla base del mestiere di paladino della giustizia. Alla sua compagnia, non più capace di far fronte alle spese, non resta che venderlo alla Apollon Media, che lo costringe a far coppia con un Eroe debuttante con il suo stesso potere, tale Barnaby Brooks Jr., l'unico a non utilizzare uno pseudonimo né a tenere separate in alcun modo vita privata e lavorativa. Il divario tra i due è tale da generare un forte e immediato attrito, soprattutto a causa dell'approccio diametralmente opposto alla professione: tanto Kotetsu è in tutto e per tutto un Eroe vecchia scuola, quanto Barnaby, da lui soprannominato "Bunny", è così addentro al sistema dal badare esclusivamente ai punti. Verrebbe spontaneo chiedersi cosa possa aver spinto una persona apparentemente così poco empatica a prodigarsi per il prossimo, un interrogativo la cui risposta, se portata alle estreme conseguenze, minaccia di ribaltare il concetto stesso di bene e male sia a livello personale che per Sternbild nella sua interezza.

La prima decina di episodi, tra i quali ne figurano alcuni dedicati ad altri Eroi secondari, è da considerarsi di natura prettamente introduttiva, dal momento che l'impatto del passato di Bunny sul Kotetsu, i cui maldestri tentativi di guadagnare la sua fiducia falliscono più spesso di quanto vadano a segno, è nel complesso limitato. Di certo lo spettatore non si aspetta che sia proprio attorno a questa backstory che l'azione finirà per ruotare, con Kotetsu che, pur avendo anch'egli le sue gatte da pelare, farà del suo meglio per aiutare il collega a risolvere il mistero che si cela dietro l'assassinio dei suoi genitori. Del resto l'anime si chiama "Tiger & Bunny", perciò è più che naturale che il fardello dell'uno diventi anche dell'altro, anche se ci vorrà del tempo prima che Bunny comprenda e accetti le ragioni per cui Kotetsu, nonostante tutti i rifiuti incassati, continua a voler essere partecipe di quel che gli accade, e a provare la stessa considerazione nei suoi confronti.
Va da sé che un cambio di rotta come questo implica che anche il tono si adegui di conseguenza: se nei primi episodi l'atmosfera si limita ad essere deliziosamente sopra le righe, man mano che ci si addentra nel dedalo di false piste e informazioni incomplete circa la morte dei signori Brooks e che i problemi di Kotetsu si aggravano, diventa sempre più difficile per il pubblico mantenere un certo distacco. Perché "Tiger & Bunny" andrà anche avanti a suon di luoghi comuni e di sviste dal retrogusto di "plot hole" (per non parlare del fatto che alcuni poteri, come per l'appunto l'Hundred Power di Kotestu e Barnaby, sono obiettivamente scarsi e/o troppo poco pratici), ma ha un grado di coinvolgimento a dir poco sorprendente se rapportato a una sceneggiatura non sempre accuratissima e con la tendenza a strafare. Certo gran parte del merito va alla sua accattivante veste grafica, a cominciare dal character design che porta la firma di Masakazu Katsura, ma anche lo scavo introspettivo è fonte di molteplici soddisfazioni, anche e soprattutto per quanto riguarda quei comprimari a cui nessuno darebbe un soldo bucato, come ad esempio l'otaku photobomber Origami Cylcone o l'ampolloso Sky High. Tra gli antagonisti - perché di cattivi, nel loro caso, non si può parlare - spiccano invece Jake Martinez, oscuro portabandiera di una feroce propaganda pro N.E.X.T., e Lunatic, che si distingue per via del suo personalissimo ("in-universe", perlomeno) concetto di giustizia. Più defilato, ma per ovvie ragioni, il Big Bad della serie, che forse è un pesce più piccolo di quanto possa sembrare dapprincipio e forse no.

Dal punto vista tecnico, come accennato qualche riga più su, l'anime è una vera gioia per gli occhi e le orecchie, che vengono costantemente stimolati grazie a una regia stringata ma tutt'altro che sterile, a una fotografia sempre molto accattivante, a degli scenari curatissimi (non fidatevi della descrizione dello skyline di Sternbild ad opera di Kotestu!), a una colonna sonora enfatica quanto basta (quantunque abbia trovato i quattro temi d'apertura e di chiusura un po' troppo stucchevoli) e a un ottimo doppiaggio, in particolar modo per quanto riguarda l'irresistibile Hiroaki Hirata nei panni del protagonista. Certo non mancano né l'off-model né un utilizzo talvolta da smargiassi della CGI (come non citare le banane dell'episodio 14?), ma chiudere un occhio su entrambi non è poi così difficile.

Non sono una grande estimatrice delle storie di supereroi, principalmente a causa della mia scarsa familiarità con esse. Tuttavia "Tiger & Bunny" è adatto anche ai parvenus del genere: non solo intrattiene, ma presenta dei contenuti che non devono necessariamente rimanere circoscritti al suo ambito. Aspetto il film che dovrebbe uscire nel 2014 (il secondo, dopo "Tiger & Bunny Movie 1 - The Beginning", che combina i primi due episodi a delle scene inedite) e magari anche una seconda stagione.



-

Dicono che il mondo dell'animazione è in crisi, che non ci sono più gli anime di una volta e che le idee sono ormai finite, tanto che l'originalità è diventata una perla rara. In questa burrascosa situazione qualcuno, con ammirevole sforzo, prova a emergere e invalidare il tutto, altri invece, preferiscono cullarsi sulla dolce e confortevole sicurezza dei cliché, degli stereotipi e delle trame che, in un modo o nell'altro, possono comunque ottenere il favore del pubblico. "Hentai Ouji to Warawanai Neko" è un anime che appartiene alla seconda categoria.

Youto Yokodera è un liceale come tanti, forse un pelino più pervertito dei coetanei, ma il mondo intorno a lui sembra non accorgersene e il giovane è visto da tutti come un ragazzo normale e tranquillo. Il nostro eroe, che è la sincerità fatta persona, non sopporta che la sua vera natura sia male interpretata e affidandosi a una strana diceria, si reca al cospetto del cosiddetto "gatto impassabile", una statua a forma di gatto che si dice esaudisca i desideri in cambio di un'offerta, per chiedergli di esaudire il suo desiderio: perdere la sua "facciata pubblica", quella che gli permette di non essere considerato pervertito. In quel momento, Yokodera fa la conoscenza di Tsukiko Tsutsukakushi, una dolce ragazza che contrariamente a lui, vuol chiedere al gatto di privarla delle espressioni facciali, quelle che a suo dire, la rendono troppo infantile poiché palesano agli occhi del mondo le sue emozioni. Il gatto esaudisce i desideri dei due ragazzi, non senza qualche piccola complicazione…

"Attenti a ciò che desiderate, potrebbe avverarsi.", con questa frase si può iniziare a parlare di "Hentai Ouji to Warawanai Neko", una commedia scolastico/sentimentale con un pizzico di ecchi. Forse a causa della presenza di una statua felina, la serie mi ha immediatamente ricordato un'altra commedia di questo tipo, ossia, "Nyan Koi", ma a parte l'harem di belle ragazze, il protagonista fortunello e qualche gatto di mezzo, le due serie non hanno molto altro in comune e personalmente ritengo la seconda di un gradino superiore. Più evidentemente che in "Nyan Koi", il chara di "Hentai Ouji to Warawanai Neko" è di stampo fortemente moe, con personaggi (soprattutto quelli femminili) che più che liceali sembrano ragazzine delle medie. Per i miei gusti questo non è assolutamente un difetto, difatti sin dall'inizio ho trovato i personaggi adorabili e graziosi.
La trama è semplice, i dodici episodi raccontano la vita e le relazioni di questi ragazzi, aggiungendo un pizzico di mistero e magia che rendono la narrazione curiosa e divertente. Le gag e le situazioni sono le classiche da commedia scolastica, troveremo quindi qualche gonnellina svolazzante, improvvisi e involontari faccia a faccia nei bagni, rivalità amorose, malintesi e amenità simili. Se questa è la base di "Hentai Ouji to Warawanai Neko", è doveroso dire che c'è anche dell'altro a fare da contorno, un tema molto attuale: la comunicazione. Con ciò intendo la capacità di esprimere sensazioni e sentimenti, la voglia di comunicare nel modo giusto se stessi e la propria personalità, una personalità ancora poco chiara e definita a causa dei turbamenti che attanagliano l'animo degli adolescenti, perennemente accompagnati dalla crescente paura di mostrare al mondo chi si è e o chi si vorrebbe essere. Ciò che i personaggi sono e ciò che vorrebbero essere si scontra con la realtà, con un mondo in cui è essenziale camuffare certi sentimenti o è necessario mostrarne altri, laddove la vera sfida non è solo contro ciò che la società vuole, ma anche con se stessi, per crescere e raggiungere un equilibrio che possa definire chi siamo. Yokodera desidera essere se stesso ma capisce che è necessaria anche una facciata pubblica, Tutsukakushi vuol nascondere il suo lato emotivo ma quando lo perde non si sente più a suo agio con se stessa, Azuki Azusa vorrebbe apparire più forte di quel che è ma si rende conto di poter essere amata e accettata anche senza artefici. E' pur vero che la tematica di cui sopra non è mai trattata in modo particolarmente serio e profondo, preferendo un approccio leggero e semplicistico, che non si prende troppo sul serio. Inoltre, da metà serie in poi, il problema della comunicazione viene messo un po' da parte, e si passa ad affrontare tematiche affettivo/familiari, in un contesto non originale ma comunque molto tenero e significativo. Il risultato è un'opera non innovativa ma dolce e divertente, che risulta gradevole in virtù della sua ingenuità e semplicità.

Anche la caratterizzazione dei personaggi si basa su cliché abbastanza semplici e comuni, ma nonostante ciò, ho gradito quasi tutti i personaggi, anche quella Azuki Azusa che all'inizio credevo di odiare. La deliziosa Tsukiko Tsutsukakushi è il personaggio femminile più tenero che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi, è piccola, dolce, indifesa ma molto decisa e determinata, così carina e morbidosa che vien voglia di morderla e coccolarla, per non parlare dei deliziosi versi che emette quando vuol esprimere rabbia, fame, eccitazione (perché ricordiamolo, non ha più modo di esprimere con chiarezza le sue emozioni) ecc. Mi piace molto il modo in cui, nonostante abbia un viso impassibile, la ragazza riesca a rendere comunque palese il suo stato d'animo grazie ad alcuni dettagli quali il movimento nervoso delle mani, del ciuffetto che sembra avere vita propria e l'arricciare i capelli con le dita. Nota di merito al protagonista indiscusso, Yokodera, la sua caratterizzazione infatti ha qualcosa di particolare: il ragazzo sarà anche il principe dei pervertiti, ma nonostante la mole di pensieri sconci, all'atto pratico sembra non provare particolare interesse per nessuna ragazza. Pare essere affezionato un po' a tutte le pulzelle che incontra durante il suo cammino, ma per nessuna di loro sembra provare un particolare sentimento amoroso o una palese preferenza. Come ogni bravo protagonista pivello di un anime di questo genere, si fa trascinare nelle situazioni dalle ragazze, si mette nei guai e cerca infine di aiutarle in ogni modo possibile, ma il cuore del nostro principino, a conti fatti, batte per qualcuno in particolare? La serie termina senza darci una risposta precisa, anche se, in qualche modo, forse il nostro polletto ha fatto la sua scelta.

Come già detto, il chara urla moe da ogni poro, la grafica è colorata e allegra e alterna colori vivaci a colori caldi. C'è una buona cura dei dettagli, in particolare trovo adorabile l'abbigliamento di Tsutsukakushi. Le animazioni sono fluide e in generale tutta la serie si mantiene su buoni livelli tecnici. Carinissima e ipnotica l'opening "Fantastic future", deliziosa anche l'ending "Baby Sweet Berry Love" cantata da una dolce Tsutsukakushi in versione maghetta. Riguardo al doppiaggio, oltre a fare i complimenti a Yui Ogura per la sua interpretazione "asettica" di Tsutsukakushi, ho apprezzato molto Yuki Kaji nel ruolo di Yokodera, che offre un'interpretazione interessante e ben definita.

"Hentai Ouji to Warawanai Neko" è una commedia più che discreta, molto tenera e divertente. Nonostante fanservice e scene ecchi siano ben gestite e piuttosto contenute, qualche caduta di stile c'è stata, inserendo in qualche caso, scene leggermente esagerate e al limite del fastidioso (ovviamente in riferimento ai miei standard di sopportazione). In sostanza però è un anime che mi sento di consigliare a chi ama le commedie spensierate, a chi vuol ridere un po' e provare dei momenti di tenerezza senza doversi scervellare o ricorrere alla psicanalisi per comprendere i protagonisti.
In un momento in cui l'originalità e la profondità di temi e personaggi sembrano essere un obbligo, "Hentai Ouji to Warawanai Neko" va dritto per la sua strada, senza paura di risultare banale, e lo fa in modo schietto, sincero e smaliziato, proprio come il suo protagonista.