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Adotta un titolo 1Adotta un titolo 2Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).

I titoli al momento disponibili sono:

[ANIME] Ima, futari no michi (Scadenza: 13/5/2015)

[LIVE] Perfect Girl Evolution (Scadenza: 17/5/2015)

[MANGA] Koudelka (Scadenza: 20/5/2015)

[ANIME] 
Midori no neko (Scadenza: 24/5/2015)

[MANGA] 
Dominion Conflict One (Scadenza: 27/5/2015)

Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Lady Oscar, Puella Magi Madoka Magica - La storia della ribellione e Akame ga Kill.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


10.0/10
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"I just want to make one thing clear: a rose is a rose whether it blooms in red or white. A rose can never become a lilac." - André, rivolgendosi a Oscar.

"Versailles no bara", da noi conosciuto come "Lady Oscar", è uno dei pochi anime giapponesi in grado di trascendere il concetto stesso di animazione, elevandolo a qualcosa di superiore e immortale. Si tratta di arte allo stato puro, di un dramma storico dal carisma e dal fascino inarrivabili; una storia epica, potente, che ha ammaliato intere generazioni di spettatori diventando un fenomeno di culto sia in Italia che all'estero.

Siamo in Francia, agli albori della sanguinaria rivoluzione che condurrà nell'oblio del terrore il popolo francese. Oscar François de Jarjayes è la figlia indesiderata di un potente generale al servizo della corona di Francia, che ha sempre aspirato ad un discendente maschio per poterlo rendere un degno successore. Tuttavia, superato il cruccio iniziale, il generale Jarjayes deciderà di allevare Oscar comunque, come se fosse un uomo a tutti gli effetti; ed ella, grazie al suo indubbio talento e carisma, riuscirà in breve tempo a diventare il comandante della guardia reale, e, allo stesso tempo, una figura di riferimento per la frivola Maria Antonietta. Tra intrighi di corte, amori sofferti e infelici, quel crescente malcontento del popolo francese, costretto a vivere nella più completa miseria, Oscar vedrà compiersi il suo destino, che farà di lei un'eroina tragica, una novella Atena, un vero e proprio mito intramontabile dall'indiscusso alone di leggenda.

Il plot di "Versailles no bara" si rifà pienamente allo shojo storico dell'epoca, con una matrice gender-bending (la figura di Oscar, donna allevata come uomo e dalla sessualità ambigua), degli elementi Yuri, spesso affini ad eventi storici reali (il rapporto tra Maria Antonietta e la duchessa di Polignac, sconfinante nel lesbismo), oppure motivati dall'immenso fascino virile della protagonista, che non mancherà di far infatuare madamigelle di corte e giovani ragazze bisognose di una figura di riferimento forte, decisa, leale e carismatica (Rosalie, la stessa Maria Antonietta).

Devo ammettere che la ricostruzione storica dell'anime è molto curata: non mancano all'appello personaggi realmente esistiti, resi molto affascinanti dalla loro indubbia "giapponesità", generata dal filtro della cultura del sol levante nel suo approcciarsi alla storia europea. Il cast di "Versailles no Bara" vanta di gente come Robespierre, con tutta la sua ambiguità e sete di potere; Saint-Just, rivoluzionario estremista ed assetato di sangue; Luigi XVI, con il suo temperamento indeciso, legato più alla caccia e alla costruzione di lucchetti che alla politica del suo paese; Maria Antonietta, ragazza frivola, superficiale, conservatrice, spendacciona, eternamente sfruttata e in balia dalle sue conoscenze più fidate (Madame de Polignac in primis); Luigi XV, sovrano autoritario che concede privilegi di corte alle prostitute con cui si intrattiene; il conte di Fersen, l'amante di Maria Antonietta, una figura tragica, tormentata da un'amore devastante e senza futuro; Jeanne De-Valois, ladra, imbrogliona e opportunista che in seguito ad una serie di circostanze si ritroverà ad avere un ruolo di rilievo nello scoppio della rivoluzione (è lei che ordisce il famoso scandalo della collana); e tanti altri personaggi, che pur non essendo esistiti nella realtà, sono caratterizzati talmente bene che sembrano "vivi": come non citare André, l'eterno perdente, dapprima compagno di giochi di una giovane Oscar e in seguito spasimante tormentato dal suo amore non ricambiato; Rosalie, che prova per Oscar una venerazione assoluta che sfocia nel lesbismo; Alain, soldato semplice di umili origini dal temperamento apparentemente superficiale, che tuttavia si rivelerà corretto, leale e con un grande senso del dovere.

Nella prima parte della serie la regia è stata affidata a Nagahama Tadao, conosciuto principalmente per la sua triologia robotica formata da "Combattler V", "Vultus V", "General Daimos"; sotto la sua direzione "Versailles no bara" prende una piega ben differente da quella del manga, più affine al gusto dell'autore per intrighi, cambi di fazione, voltafaccia, denuncia sociale; - il comportamento dei personaggi ricorda molto quello dei Baamesi di "General Daimos", sempre impegnati a complottare, cambiare fazione, eliminarsi a vicenda per il tanto agognato potere/prestigio. Questo fatto destò lamentele da parte delle lettrici del manga originale, ed indusse la sostituzione di Nagahama con il più celebre Osamu Dezaki (regista che di certo non ha bisogno di presentazioni), il quale aveva già diretto alcune puntate della prima parte (è facile riconoscerle, in quanto in esse è presente l'utilizzo dello split screen, uno dei marchi di fabbrica del regista). Con Dezaki si ha un salto qualitativo notevole rispetto alla prima parte della serie: il character design del leggendario Shingo Araki diventa via via sempre più maturo ed elegante, le atmosfere si fanno drammatiche, cupe, con un forte nichilismo di fondo, tipico dell'opera originale ed ulteriormente amplificato dall'espressionismo autoriale del regista, dal suo sapiente utilizzo delle inquadrature, di tecniche registiche geniali - tra le quali non posso non citare "l'effetto cartolina", i suggestivi primi piani che esprimono le emozioni ed i tormenti interiori dei personaggi in modo immediato, attraverso la scelta dei colori e l'espressività del tratto di Araki; l'utilizzo saggio della prospettiva e delle musiche, scelte in modo tale da aumentare al massimo l'empatia delle vicende trattate. L'utilizzo continuo del leit motiv di Oscar, che riprende il tema dell'affascinante sigla originale giapponese "Bara wa Utsukushiku Chiru" (brutalmente soppressa dalla pietosa versione italiana), è un'esempio dell'efficacia della ricercata teatralità del titolo, una vera e propria tragedia greca che rimane immolata ad eternum nella mente dello spettatore più sensibile.

"Versailles no bara" deve essere visto con i sottotitoli fedeli e le sigle originali giapponesi. Nonostante il fascino del doppiaggio italiano dell'epoca, le censure (iterate nelle numerose messe in onda della serie) sono veramente troppe, e rovinano il carisma dell'opera originale. Anche la sigla italiana è abbastanza ridicola, per nulla paragonabile all'immortale "Bara wa Utsukushiku Chiru", in cui i suoni e le immagini si fondono in un'alchimia visuale perfetta e suggestiva.




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"La storia della ribellione" è il terzo film dedicato a Madoka Magica, popolarissima serie animata del 2011, che ha ridato nuova linfa al genere delle mahou shoujo ripudiandone il candore e il buonismo spesso eccessivi da anni riproposti pedissequamente in mille e più modi dai vari successori del celeberrimo "Sailor Moon", per regalare al pubblico una storia cupa, originale, psichedelica, angosciante, horror, introspettiva e ricca di pathos. Il clamore suscitato da quest'anime non accenna tuttora a calare, per cui non stupisce affatto la scelta della Shaft di proseguire le avventure di Madoka e delle altre maghe, sviluppando diverse idee e tematiche e donando ulteriore spessore ad un brand che ha ancora moltissimo da raccontare, a dispetto di chi giudica questo lungometraggio una mera operazione di lucro.

L'inizio del film è a dir poco spiazzante: ritroviamo il gruppo al gran completo, unito, felice. Gli scontri feroci, le incomprensioni che l'intero cast ha dovuto affrontare nella serie madre sembrano un lontano ricordo. E in effetti tutta la prima parte altro non è che un pretesto per mostrarci tante scene slice of life e approfondire i legami tra le protagoniste, che svelano, chi più e chi meno, inaspettati risvolti delle rispettive personalità. C'è spazio anche per diverse scene shoujo ai, delicate, dolci e mai fuori luogo.
Ma è proprio quando lo spettatore si abitua a queste atmosfere più serene, che il film comincia a scoprire e giocare tutte le sue carte: la seconda parte è un susseguirsi di colpi di scena e battaglie che culminano in un finale aperto che nega totalmente gli avvenimenti e i risultati conseguiti dalle maghe nella serie principale e che conferisce maggior complessità e profondità alla caratterizzazione delle due star indiscusse di Puella Magi Madoka Magica: Sayaka Miki, forte, pura di cuore e ora matura e consapevole del proprio ruolo e Homura Akemi, distrutta e dilaniata dal proprio stesso egoismo. Lo scontro tra le due sarà molto probabilmente il tema centrale del sequel di questo film, che si spera non tardi troppo ad arrivare, auspicando che sia all'altezza di quanto già visto.

Dal punto di vista puramente tecnico, "La storia della ribellione" risulta magnifico, impeccabile. Animazioni fluide, colori caldi, chara design e ambientazioni curatissime, combattimenti adrenalinici e di grande effetto. Un lavoro eccezionale ed invidiabile. Anche il doppiaggio giapponese si attesta sempre su ottimi livelli, gli stessi apprezzati nella serie tv.
Il voto non può però essere più alto dell'8, almeno per ora, nell'attesa del sequel che verrà e che permetterà di poter giudicare in maniera globale quanto è stato realizzato fino a questo momento. Il film in questione è comunque di pregevole fattura e senz'altro meritevole di visione.




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Io ci ho provato in tutti i modi. Ho evitato di troncarlo a metà, ho aspettato fino all'ultimo che mostrasse qualche segno di ripresa e ho persino riposto qualche timida speranza nella scoperta di un finale diverso da quello del manga, perché, magari, potesse perlomeno chiudere in degno modo una serie mediocre. Purtroppo a nulla è servita la mia caparbietà, e lo dico con amarezza; ci troviamo indubbiamente di fronte a uno dei peggiori lavori del 2014, un'opera banale, povera di contenuti, insensata, inutilmente violenta e oltremodo superficiale. A nulla è valsa la presenza alla regia di Tomoki Kobayashi, membro del rinomato trio che nel connubio con White Fox tre anni prima aveva dato vita alla splendida trasposizione di Steins;Gate, opera che tanto aveva impressionato pubblico e critica. In questo caso invece c'è ben poco da impressionare, l'ultima fatica del sopracitato studio, a dispetto delle aspettative, si è rivelata un fallimento totale su tutti i fronti, fuorché uno: alzare inutilmente l'asticella delle crudeltà gratuite, superare tutto quanto era già stato scritto in merito a spietatezza nei confronti dei personaggi. Ne sentivamo il bisogno? Non credo proprio, o perlomeno non di certo in questo modo.

Akame ga kill! è l'adattamento animato dell'omonimo manga, ideato da Takahiro e Tetsuya Tashiro. Le vicende si svolgono in un mondo alternativo, chiaramente influenzato dalla letteratura fantasy ma non privo di curiosi elementi moderni. Tatsumi, giovane spadaccino, giunge alla capitale dell'Impero dopo aver lasciato il proprio villaggio in rovina, col desiderio di diventare cavaliere e risollevare le sorti della sua gente. L'idea idilliaca che il giovane aveva della capitale fin da subito si scontra con la dura realtà: non si trova affatto avvolto da ricchezze facili, da onestà e rettitudine, ma solo circondato da tanta malvagità e corruzione. Dopo una serie di drammatici avvenimenti, Tatsumi viene a sapere che un ministro corrotto sta manovrando il giovanissimo imperatore per farsi i propri comodi, a scapito della popolazione: deciderà così di unirsi a una temuta banda di letali assassini, per riportare la giustizia nell'Impero.

Per prima cosa, è mio dovere avvertire l'ignaro lettore che, a dispetto di crudeltà varie, sangue e cattiveria, questo anime è di carattere spudoratamente, schifosamente shonen. Il protagonista, Tatsumi, non ha difetti; è giovane, bello, abile, coraggioso, gentile, simpatico (o perlomeno questa era l'idea), onesto, puro e guidato da nobili ideali come la giustizia e l'amicizia (immancabile). Il ministro, per contro, è invece un enorme agglomerato di tutti i peccati esistenti e anche qualcuno in più, senza un briciolo di umana compassione se non per la sua stessa pelle. Oltre alla solita contrapposizione buoni-cattivi, i comprimari fin dall'inizio appaiono perlopiù come macchiette utili solo a far contesto che ricalcano solidamente i più comuni stereotipi del genere, per poi affermarsi definitivamente come tali. La caratterizzazione è inesistente, e gli approfondimenti sul passato o sulle loro scelte di vita sono relegati a qualche secondo di sequenza frammentato e spesso incomprensibile, segno che gli stessi autori non avevano le idee chiare su dove avessero intenzione di andare a parare; di conseguenza, quando le idee scarseggiano, cominciano ad abbondare altri elementi, come siparietti comici di dubbia utilità e per giunta neanche divertenti, o il grasso harem formatosi attorno a Tatsumi (ma guarda), sul quale eviterei di sprecare ulteriori parole. Da segnalare anche la triste presenza di diversi villain che sembravano promettere chissà che svolte, ma che sono stati liquidati in men che non si dica, senza lasciare allo spettatore neanche il piacere di un bello scontro.
Ma veniamo alla trama. Da uno spunto simile, peraltro non propriamente originale, avrebbe potuto nascere uno sviluppo di ottima fattura se adeguatamente trattato; in questo caso invece l'intreccio viene sbrodolato in modo lineare, superficiale, incredibilmente frettoloso, senza lasciare il benché minimo spazio al naturale sviluppo di trama e personaggi, ammucchiando combattimenti (per giunta spesso animati male, con un semplice susseguirsi di immagini statiche) e scenette comiche senza il minimo ordine. Un vero e proprio pasticcio, ulteriormente aggravato alle battute finali, quando gli sceneggiatori non sapendo più che pesci pigliare si sono dati alla creazione di un epilogo originale, con risultati ancor più disastrosi: la coerenza viene completamente meno, il filo conduttore si fa annebbiato e una marea di situazioni improbabili e a tratti ridicole ha la meglio, senza contare tutte le morti inutili e facilmente evitabili. Perché adesso arriviamo alla (forse unica) cosa che colpisce di questa serie: la crudeltà ingiustificata. Prendiamo per un attimo Berserk: faccio questo breve paragone in quanto Kentaro Miura è risaputamente un autore che non si è mai fatto problemi a straziare e a torturare i suoi personaggi, fisicamente e psicologicamente, con risultati spesso di grande impatto emotivo anche per il lettore più imperturbabile. Ma in quel caso una simile spietatezza ha uno scopo ben preciso, ovvero quello di esplorare la natura umana nei suoi lati migliori e peggiori, e riflettere con cinismo sull'illusorietà del libero arbitrio e del destino; di conseguenza tutta la violenza perpetrata va adeguatamente letta e filtrata. Qual è invece lo scopo di Akame ga kill!? Per metà degli episodi infatti assisteremo in modo esasperato, ridondante, alle atroci uccisioni dei protagonisti descritte con dovizia di particolari, spesso accompagnate da una riflessione strappalacrime del diretto interessato in punto di morte, per suscitare un'empatia che altrimenti non ci sarebbe. Ma qual è il senso di tutto ciò? Che cosa ci vuole comunicare l'autore? Che forse il bene vince sul male ma sono necessari dei sacrifici? Un po' forzata come ipotesi. Io credo piuttosto che sia semplicemente un mero espediente per sconvolgere lo spettatore, per eccitarlo, per disturbarlo, ma in definitiva per distoglierlo dalle profonde lacune che la sceneggiatura si trascina dietro e dalla pochezza di fondo. Dopodiché, ai posteri l'ardua sentenza; io la chiuderei qua.
Voto finale: quattro. E mi sento anche buono.