Tra i più emblematici e prestigiosi esponenti dell’animazione giapponese figura indubbiamente Mamoru Oshii, celebre regista e scrittore autore di capolavori immortali come Patlabor 2, Ghost in the Shell e The Sky Crawlers, che con la loro poetica in bilico tra atmosfere lunghe e tese, incursioni nell’onirico e tematiche di carattere filosofico ed esistenzialistico hanno pesantemente influenzato l’immaginario fantascientifico delle generazioni successive, nonché la filmografia di svariati autori affermati, tra cui i fratelli Wachowski e Steven Spielberg. Vero e proprio oggetto di culto all’estero, Mamoru Oshii ha avuto modo di partecipare come ospite d’eccezione all’edizione 2015 del Lucca Comics & Games, per presentare al pubblico italiano la sua ultima fatica Garm Wars – L’ultimo druido, che uscirà nelle sale per Notorious Pictures a gennaio 2016.

Mamoru Oshii nasce nel 1951 a Tokyo, e dopo una laurea conseguita alla Tokyo Gakugei Daigaku inizia a lavorare per la Tatsunoko Production, dove compie il suo esordio come direttore delle animazioni per la serie Tv Ippatsu Kanta-kun. Nel 1980 viene assunto dallo Studio Pierrot, dove l'anno successivo dirige la sua prima serie animata Lamù, la ragazza dello spazio (Urusei Yatsura). Oshii in seguito si sposta alla regia di film d’animazione come Lamù: Only You (1983) e soprattutto Lamù 2: Beautiful Dreamer (1984), lungometraggio decisamente più maturo del precedente, che lo porta all'attenzione della critica. Tra le sue opere successive si annoverano Tenshi no Tamago (1985), Patlabor 2 (1993) e Ghost in the Shell (1995), licenziato in Italia da Dynit, che ottiene un enorme successo di pubblico e critica in tutto il mondo, e consacra il suo autore tra i grandi registi dell’animazione. Ghost in the Shell 2: Innocence, sequel diretto del primo film e uscito nel 2004, è stato il primo film d’animazione giapponese a essere nominato per la Palma d'Oro a Cannes; il successivo The Sky Crawlers, invece, viene presentato in concorso nel 2008 alla 65ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Oshii ha inoltre diretto numerosi film live action, dei quali il più conosciuto è Avalon (2001), una co-produzione nipponico-polacca che ha goduto di una distribuzione mondiale, Italia compresa. Oshii è stato apertamente elogiato da registi internazionali come James Cameron e i fratelli Wachowski. Attualmente risiede a Tokyo, in Giappone.



Il regista, accompagnato da Mitsuhisa Ishikawa, co-fondatore, presidente e amministratore delegato dello studio Production I.G (che ha prodotto molti lavori di Oshii tra cui proprio Garm Wars – L’ultimo druido), è giunto alla cittadina toscana giovedì 29 ottobre; nello stesso giorno i due ospiti hanno presenziato al press cafè tenutosi al Teatro del Giglio, alle ore 14:00. Gli inviati di AnimeClick.it erano presenti all'evento.
Alla ormai classica introduzione di Marco Pellitteri, che ha descritto Oshii come una “eminenza grigia” dell’animazione giapponese per la sua propensione a trattare temi difficili e di dissenso in un ambiente come quello nipponico in cui il cambiamento sociale è un processo assai lento, è seguita una sessione di domande da parte della stampa presente in sala.
 

 

Una domanda per entrambi: il progetto di Garm Wars è nato quindici anni fa, e inizialmente era stato previsto James Cameron come produttore, un cast giapponese e riprese in Irlanda; invece è stato realizzato con un cast interamente occidentale e filmato in Canada. Che cosa è cambiato? Può spiegarci il “dietro le quinte” del film?
Oshii: Il progetto è effettivamente stato pensato quindici anni fa, ma molto semplicemente mi sono reso conto che non c'erano le condizioni adatte per realizzarlo; ad esempio lo sviluppo della Computer Graphics non era arrivato ai livelli di questi ultimi anni, quindi sono stato costretto ad accantonarlo. L’ho poi ripreso solo quando le condizioni necessarie per lo sviluppo di questo film sono state raggiunte. Il fatto che sia stato realizzato in Canada è stata una scelta obbligata, perché quindici anni fa in Giappone c'erano le condizioni economiche – il Paese all’epoca era in piena bolla economica – ma non quelle tecnologiche per realizzarlo; oggi invece ci sono le tecnologie ma l’economia non è più quella di una volta, per cui fare le riprese in Canada è stata una scelta obbligata.
Ishikawa: E visto il successo attuale de L’attacco dei giganti, penso che sia davvero un buon momento per tirare fuori questo film e seguirne la scia! (ride)

Essendo tra i pochi registi d’animazione giapponese conosciuti in Occidente anche al di fuori della cerchia di appassionati, secondo lei cosa manca all'industria d’animazione giapponese di oggi per riuscire a produrre un nuovo Oshii, un nuovo Otomo o un nuovo Kon?
Sono conosciuto come un regista di animazione, ma visto che ad oggi è difficile fare film d’animazione anche in Giappone sto girando principalmente pellicole live action. Il tipo di animazione che faccio io è un lavoro che prevede spese ingenti e ha ritorni economici abbastanza limitati, e se è vero che le mie opere sono riconosciute abbastanza in Occidente, in realtà in Giappone non sono così seguite.
Mi fa molto piacere che il riscontro dei miei lavori in Occidente sia così positivo: a dire il vero non riesco bene a capire come mai in Giappone non sia così!


Le sue opere hanno segnato la fantascienza nel suo percorso dagli anni ’80 ad oggi, e sono state anche precursori di tantissime tematiche trattate successivamente: come vede la fantascienza di oggi rispetto a quella dei suoi lavori precedenti come Ghost in the Shell o Avalon?
Le mie opere sono considerate di fantascienza, ma la mia intenzione, in realtà, non era di creare film di tale genere. Questa classificazione è stata imposta per due motivi: il primo è che sono in parte create in animazione e in parte girate con attori reali, e il secondo è che il tema molto spesso riguarda la tecnologia. Tuttavia il mio interesse è principalmente descrivere problematiche reali della società attuale, quindi rappresentare il futuro è solo un mezzo per rappresentare il presente: è questa la mia intenzione, e semplicemente lo faccio mediante un’immagine descritta in un mondo futuro. Infatti, guardando attentamente, i temi che utilizzo nei miei film spesso non sono né di accezione presente né futura, bensì elementi ripresi dal passato.

Una domanda a Ishikawa, sul fronte di alcune scelte produttive che investono anche elementi culturali. Mi riferisco a una sorta di contraddizione simmetrica tra il film live action di Attack on Titan, che è stato realizzato con attori tutti giapponesi nonostante i personaggi del manga siano di etnie diversificate, e il live di Ghost in the Shell che ha suscitato in America un dibattito abbastanza pungente sulla scelta dell’attrice principale, che come si vocifera sarà Scarlett Johansson, anziché una giapponese. Qual è la sua opinione in merito?
I: Uno dei punti forti dell'animazione è che tra le altre cose concede la libertà di non definire di quale Paese o etnia possa essere un attore; si possono creare personaggi “ibridi”, non riconducibili ad alcuno stato o nazione. E lo stesso vale anche per la lingua: ciascuna opera viene proposta in ogni Paese doppiata nella propria lingua, e di conseguenza si evitano le barriere linguistiche tra i diversi luoghi. Però nel film live di Attack on Titan il fatto che siano stati scelti solo attori giapponesi può senz'altro creare una sensazione particolare, a volte anche fastidiosa.
Per quanto riguarda il live action di Ghost in the Shell anche il copione è di Hollywood, e questo in parte mi rassicura perché gli Stati Uniti godono di un sistema molto affidabile e forte. Inoltre per realizzarlo c'è un problema di tipo economico, e in Giappone non ci sono budget sufficientemente elevati.

O: Per quanto concerne l’adattamento hollywoodiano di Ghost in the Shell il problema economico è fondamentale. Per esempio, un film live di Ghost in the Shell potrei farlo tranquillamente anch’io a un ventesimo del costo, ma avrebbe un centesimo dei clienti potenziali; questo è quindi un prodotto diverso, con prospettive totalmente diverse. Ma a me alla fine va bene così, anzi, sono curioso di scoprire cosa ne verrà fuori. Spero soltanto che l'attrice mi piaccia! (ride)
 

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Riallacciandomi alla domanda di prima, in Ghost in the Shell e in altre sue produzioni si può notare la presenza di elementi distopici. È mai stata accarezzata l’idea di una trasposizione cinematografica di 1984 di George Orwell?
Quel romanzo mi piace molto, e ho visto anche diversi film che ne sono stati tratti; pertanto se mi capitassero l'occasione e le condizioni, sarei felice di farlo. D'altra parte circa venticinque anni fa ne vidi un film che poi divenne il modello per Avalon.

Com'è cambiato il suo metodo di lavorazione dalla regia di una serie animata come Lamù, la ragazza dello spazio a progetti più personali come Patlabor 2, e così via? È stato più o meno libero di lavorare a piacimento sul materiale?
Be’, quando ho lavorato a Lamù ero molto giovane, avevo più o meno trent'anni, e all’epoca non avevo paura di niente e litigavo sempre con tutti! (ride) L'emittente televisiva infatti era sempre arrabbiata per il mio modo di fare; diceva che il mio lavoro fosse troppo violento, troppo sexy, insomma troppo esagerato in tutti i sensi. Ma io non sono mai sottostato a nessuna opposizione, ho sempre fatto le cose come volevo; inoltre il mio staff era altrettanto giovane – tutti attorno ai vent’anni, chi più, chi meno –, quindi io probabilmente ero anche il più vecchio. Ricordo che fu molto piacevole, perché quando si lavora a qualcosa ci si influenza anche con le esperienze personali. Nel caso di Lamù, la serie rispecchiava molto quello che era l’andamento tra coloro che ci lavoravano; c’erano storie d'amore tra noi membri dello staff, c’era chi si fidanzava e chi si lasciava, era tutto molto divertente e dinamico (ride). Oggi, dopo trentacinque anni, io come anche il mio staff siamo invecchiati, quindi anche il nostro modo di lavorare è di conseguenza cambiato. Da un certo punto di vista questo mi pesa, perché a me piaceva l'irruenza di quando ero giovane, e il fatto di diventare più tranquilli con l’avanzare dell’età rende anche il lavoro più difficile. Poi ovviamente nel mio staff sono stati inseriti anche membri più giovani, ma i giovani d’oggi sono diversi da com’ero io… s’innamorano di meno, bevono di meno, fumano di meno e litigano di meno!

Una domanda per entrambi: anche qui è arrivato l’eco del dibattito sulla recente polemica in merito al cambiamento dell’Articolo 9 della Costituzione giapponese sull'utilizzo delle truppe giapponesi in caso di missioni di pace all'estero. Sappiamo che il signor Oshii ha già trattato questo tema in modo esplicito, come nel caso di Patlabor 2 che iniziava appunto con le truppe giapponesi impegnate all’estero; in quel film si nota come la percezione di queste questioni fosse da un lato il risultato di una forma di apatia della società, dall’altro una manipolazione anche piuttosto attiva da parte dei media. Per cui come vede ora questi sviluppi? Un risveglio dall’apatia, o un’ulteriore manipolazione e strumentalizzazione?
O: La nostra Costituzione in realtà non è stata scritta dai giapponesi, ma dal generale MacArthur. Quello che penso è che dopo la guerra i giapponesi avrebbero dovuto scriversi la Costituzione da sé, ma questo non è stato fatto. Per fare una metafora scolastica, dopo la seconda guerra mondiale è come se il Giappone si fosse trovato nella situazione in cui d’estate spuntano all’improvviso i compiti per le vacanze: i giapponesi non li volevano fare – ovvero appunto scrivere la Costituzione, creare un loro sistema. Quindi si sono trovati di fronte a due opzioni: o passare la notte in bianco e farli, o smettere del tutto di andare a scuola. La seconda scelta è quella che è stata portata avanti. Per cui il problema reale non è se inviare le truppe o meno, bensì prendersi la responsabilità di “cominciare ad andare a scuola”.
Infatti nel caso degli altri Paesi che hanno perso la guerra – l’Italia e la Germania – questi “compiti” sono stati fatti, e pertanto gli stessi si sono poi riorganizzati, ponendo una base per la ripartenza; in Giappone sarebbe dovuto essere lo stesso, ma ciò non è mai avvenuto.
I: Parlare della Costituzione giapponese in questi pochi minuti non è facile; probabilmente uno dei modi migliori per capire l'atteggiamento dei giapponesi nei confronti di questo tema è proprio guardarsi il film Patlabor 2.
 

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Venerdì 30 ottobre, alle ore 11:00, Mamoru Oshii è stato protagonista di una masterclass esclusiva riservata a 30 fortunati, tenutasi all’Oratorio San Giuseppe, a cui l’Area Movie ci ha gentilmente concesso di prendere parte. A questo incontro è intervenuto anche il fumettista Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ (Golem, Astrogamma). La masterclass si è tenuta in uno stile quasi colloquiale, nonostante sia purtroppo stato lasciato poco spazio alle domande del pubblico.
 


Cominciamo con una domanda introduttiva: è la prima volta che viene in Italia e a Lucca? E qual è stato il suo primo impatto con il nostro festival?
In realtà sono già stato in Italia tre volte, due delle quali alla Mostra del cinema di Venezia, e una per fare delle riprese; quindi questa è la quarta volta che vengo in Italia, ma è la prima in assoluto che vengo a Lucca.

Sappiamo che il maestro Oshii è qui per presentare il suo nuovo film, Garm Wars – L’ultimo druido, che sarà proiettato in anteprima italiana oggi alle ore 15, al cinema Astra. Con questo film il maestro continua a esplorare alcuni dei temi fondamentali dei suoi film, come l’identità, la ricerca di sé stessi e il rapporto tra realtà e finzione, tanto che in molti dei suoi film si arriva persino a mettere in dubbio la stessa essenza dell’individuo. Maestro, cosa c’è che la affascina in queste tematiche?
Partiamo subito con una domanda così difficile? (ride) Dunque, forse dirò una banalità, ma un film – in quanto film – deve ineluttabilmente essere una finzione, e di conseguenza non può essere la realtà. Anche cercando di riprendere e descrivere la realtà si usa un mezzo che pone una finzione tra la realtà vera e quella che si intende rappresentare; per cui – conscio di questa cosa, e sapendo che il mio obiettivo è in effetti quello di rappresentare la realtà – io parto dalla consapevolezza che la finzione sia verità, che quindi sia tutto completamente finzione, ed è tramite questo che io cerco di rappresentare la realtà. Ciò riguarda in particolare il campo dell’animazione, che a differenza del cinema live action è composto di disegni, e di conseguenza è un mondo che si distanzia dalla realtà più di quanto lo faccia un film girato con attori in carne ed ossa. Ma questo, allo stesso tempo, dà la possibilità di rendere lo spettatore consapevole di trovarsi di fronte a una realtà immaginaria; quindi una realtà diversa, ma pur sempre una realtà.
L’ambientazione di un film è dunque importante, ma sia i film che vengono considerati realistici così come quelli considerati surrealisti in realtà non hanno un legame diretto con la realtà, perché non possono proprio averlo: l’importante è semplicemente saper creare un’ambientazione che sia reale. E questo è un discorso che vale non soltanto per i film, ma anche per i romanzi e per qualsiasi altra forma di racconto: quindi, ripeto, l’importante non è cercare di rappresentare la realtà così com’è, bensì creare un setting che possa permettere di rappresentare questa realtà.

Prendendo spunto da questo rapporto tra finzione e realtà, vorrei sapere il rapporto che c’è tra animazione e cinema live action nelle sue opere: considerando che l’animazione sia la totale libertà di creare mondi da zero, senza alcun limite stabilito, come mai ha deciso di misurarsi anche con il cinema? Cinema che oltretutto ha un impianto assolutamente visionario, e che di conseguenza incontra tutti i limiti della finzione davanti alla macchina da presa fino a sconfinare in un cinema che sostanzialmente parla il linguaggio dell’animazione; qual è quindi il rapporto tra questi due mondi e come mai ha deciso di muoversi da un campo in cui è libero di fare ciò che vuole, a uno in cui i limiti sono molto più imponenti?
Nel caso dell’animazione esiste un suo linguaggio specifico e vari gradi di realismo. Per fare un esempio concreto, un livello di realismo può essere una persona che, cadendo da un edificio altissimo, fa un buco nel terreno da cui esce dopo essere sprofondata per due metri; questo è appunto un livello di realismo basso. Ma c’è anche un altro livello di realismo per il quale la stessa persona che cade, muore schiantandosi al suolo. È una scelta che il regista fa e deve fare, e una cosa importante nel caso dell’animazione è “scegliere” il livello di realismo e mantenere quello, per non mandare in confusione il pubblico. Ad esempio quello dei vecchi film della Disney era un mondo caratterizzato dalla massima libertà: gli animali improvvisamente si alzavano e cominciavano a parlare, le onde si trasformavano in edifici, eccetera. Insomma, si pensava che nell’animazione tutto fosse possibile. Per quanto mi riguarda invece non credo che l’animazione sia la libertà totale, anzi; penso sia importante, come dicevo, fissare un livello di realismo e mantenerlo, perché è proprio nel limitare le cose che si dà forza all’opera e si fa credere al pubblico che quella non sia totalmente finzione, ma un mondo con le sue regole.

Mi riaggancio momentaneamente a questo, perché oltre all’animazione e al cinema il maestro è anche sceneggiatore di fumetti e scrittore: tuttavia si considera prima di tutto un cineasta?
Nel mondo del cinema o comunque nella produzione di film, come tutti sapranno, ci sono diversi ruoli; dal regista allo sceneggiatore, passando per il direttore della colonna sonora o il direttore della post-produzione. Effettivamente è importante riconoscersi in un ruolo, perché una sola persona non può fare tutto, quindi ci sono necessariamente dei responsabili; nel mio caso ho il mio ruolo, ma cerco il più possibile di spaziare tra diverse posizioni per avere una visione più completa. Non posso dire di essere soltanto un regista – o di sentirmi soltanto un regista anche in altri incarichi –, quindi cerco di occuparmi di tante cose differenti e di capirle al meglio delle mie possibilità.
 

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Essendo appunto una figura un po’ invadente all’interno della produzione di un film, sente di aver avuto più controllo sulle immagini dei suoi film live action o sui suoi film di animazione? E in cosa differiscono le due fasi produttive?
Per quanto mi riguarda, tra l’animazione e il cinema dal vivo c’è un cambiamento… di stile di vita! Nel caso dell’animazione bisogna svegliarsi tutte le mattine a orario di ufficio, andare allo studio di lavorazione del film, collaborare con lo staff e controllare costantemente che quello che si sta facendo non vada nella direzione sbagliata. Nel caso del cinema live action il tempo è molto più limitato: in uno/due mesi bisogna girare tutto il film – per cui ci si sveglia ancora prima – ma spesso serve una decisione momentanea per riuscire a fare la cosa giusta. Quindi principalmente è una differenza di tempistiche: il tempo che si ha e che si dedica per ragionare sul film. Per fare un esempio più concreto, è come usare una volta la parte destra e una volta la parte sinistra del cervello!
Si può dire quindi che creare un film di animazione sia come manovrare una grossa petroliera in mare: si sa già quale sia la rotta, e ogni cambiamento comporta un dispendio di carburante e di energie notevole. Invece fare un film live action è come manovrare una piccola imbarcazione i cui cambi di rotta sono molto frequenti, e spesso portano anche a occasioni che migliorano la situazione attuale. Sicuramente il modo di lavorare è diverso, ma per quanto mi riguarda sono entrambi a loro modo molto piacevoli.
Poi nel caso dell’animazione anche il numero dei membri dello staff è diverso: per un film d’animazione ci sono da un minimo di cinquecento a un migliaio di persone che lavorano, mentre per quanto riguarda il cinema live bastano un centinaio di persone. Quindi nel primo caso non mi è nemmeno possibile ricordare tutti i nomi e le facce dei miei collaboratori, nonostante per la lavorazione occorrano circa due anni! Nel cinema live action invece il gruppo è molto più ristretto, ma si ha un’interazione diretta con tutti nonostante il tempo più breve. Quindi questo fattore temporale è una delle differenze principali per quanto mi riguarda.

Una dozzina di anni fa ha realizzato un film live action che forse è il suo film teorico sul cinema, ovvero Talking Head. Questa pellicola parla di uno studio che sta realizzando un film d’animazione, e appunto tutti i personaggi, con i loro vari ruoli nella produzione di questo immaginario film, fanno un vero e proprio “discorso teorico” ognuno sulle proprie mansioni; lei ha diviso tra tutti questi personaggi la sua idea di cinema?
(Con stupore) Ma lei quel film dove l’ha trovato?

Se devo proprio dirlo, in realtà l’ho pescato in un torrent! Purtroppo mi risulta che non sia disponibile sul nostro mercato, quindi ammetto di essere colpevole!
Ah, capisco! (ride) Allora, penso che sia così per ogni regista, ma ogni regista nei confronti del suo staff nutre sentimenti contrastanti. Da un lato c’è l’amore e il rispetto per il lavoro che fanno e perché collaborano per creare il mio progetto, dall’altro però c’è quasi il desiderio di ucciderli, perché il lavoro non riesce mai come si vorrebbe! Con il film volevo appunto descrivere questi sentimenti contrastanti che ho nei confronti delle persone del mio ambiente di lavoro. Per prima cosa va ripetuto che il periodo di lavorazione di un film d’animazione è lungo, da un minimo di un anno fino a due o anche tre anni; e per questi tre anni si frequentano tutti i giorni le stesse persone e si vedono sempre le stesse facce, nonostante non siano quelle dei propri parenti.
È un lavoro difficile, anche perché ogni membro dello staff ha un suo modo di fare, e per creare qualcosa di nuovo o per riuscire a realizzare ciò che si vuole ogni tanto bisogna anche cercare di cambiare il modo di fare dell’animatore; questo provoca spesso reazioni violente o degli odi reciproci, insomma non è affatto facile. Proprio queste situazioni, che ho provato sulla mia pelle, ho pensato che potessero essere rese in un film, e che forse sarebbe stato interessante mostrare quali sono le condizioni in cui si lavora, oltre a raccontare questa mia storia personale.

Come per la statuetta che si trova in Talking Head e nel successivo Assault Girls, in molti dei suoi film ci sono elementi ricorrenti, come certi simboli o l’ormai famoso cane basset hound, che ormai è quasi la sua firma. Io mi chiedevo, più che il significato di questi simboli in sé, se questo non fosse anche un modo di rappresentare il discorso sul realismo di cui abbiamo parlato prima, in quanto sembra quasi si sia creato un “universo Oshii”; esiste dunque questa idea di un suo personale universo cinematografico, cui i suoi film sono più o meno collegati?
Alcuni di questi elementi risultano sempre presenti e sempre simili per puro caso, senza che io me ne renda conto. Altri, ovviamente, vengono inseriti da me volontariamente, ma certi nascono proprio spontaneamente nei miei film; per esempio, riguardo alla mia scelta dei personaggi femminili, immagino che sia semplicemente perché quelli sono i miei gusti rispetto al personaggio femminile, e quindi è una cosa che non decido, ma che mi riesce in modo inconsapevole. Penso comunque che sia un fattore comune a molti autori, anche nel trovare un attore o un’attrice che riesca a comunicare bene quello che il regista vuole dire. Quindi è facile che ci si affezioni a quell’attore o a quell’attrice, e si tenda a utilizzarlo spesso nei propri film. Questo sicuramente vale per i film live action, ma anche per l’animazione: se si trova un animatore che riesca a cogliere bene il personaggio che si era pensato, ci si affeziona e si continua a usare quell’animatore piuttosto che un altro.
 

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Passando a un argomento più “tecnico”, Mamoru Oshii è stato il primo regista di OAV della storia, quindi di film pensati direttamente per l’home video. Alla luce dei tanti nuovi supporti che stanno sviluppando negli ultimi anni, cosa ne pensa della situazione attuale? E cosa consiglierebbe a un giovane che in questo momento vorrebbe fare animazione o cinema live action? Muoversi su un campo pionieristico di distribuzione e di supporti è una cosa che può rafforzare l’opera prima di un regista, oppure no?
Personalmente non mi ritengo uno sperimentatore in senso stretto; credo che il lavoro del cineasta non sia sistemare alla perfezione tutte le cose che ci sono e fare tutto il possibile per creare un film ben confezionato – il che è sicuramente importante, ma non è tutto –, bensì dar vita a qualcosa che si ha dentro di sé, e creare un prodotto nuovo e proprio. Le scelte che ho fatto – in merito anche alle tecnologie e ai mezzi nuovi che ho usato – erano semplicemente per realizzare qualcosa che fosse nuovo e più “mio”, anziché una semplice imitazione meglio riuscita di quello che c’era già in giro; ho cercato di dare vita a ciò che volevo creare, e se questo è stato spesso interpretato come una forma di sperimentazione, non lo era o almeno non consapevolmente. Personalmente non mi interessa raccontare una storia nel miglior modo possibile: ci sono già tante persone bravissime, anche più di me, a farlo. Quello che mi interessa è “creare” un film, pensarlo con un determinato stile e metterlo in scena a modo mio; da questo punto di vista non ho consapevolezza della sperimentazione in quanto tale, è semplicemente un mezzo per realizzare ciò che mi interessa di più.

Domanda del pubblico: Si sa che a Hollywood è in cantiere il remake americano di Ghost in the Shell, ed è risaputo che si stia cercando di portare avanti altri progetti come Akira; è dunque in atto una sorta di “occidentalizzazione” di tanti prodotti di culto del ramo fantascientifico orientale. Secondo lei cosa si può guadagnare e cosa si rischia di perdere in questo passaggio da un prodotto di stampo prettamente orientale a uno di tipo occidentale rivolto a un pubblico più ampio?
Penso che i remake vengano realizzati non tanto perché un regista vuole provare a rifare un film che gli piace per vedere come riuscirebbe a reinterpretarlo lui, ma più per una questione meramente pratica ed economica. Semplicemente, creare un film nuovo è una grande incognita, in quanto serve un investimento per qualcosa che non si sa se pagherà, mentre un remake ha già una base di partenza. È un fenomeno molto diffuso ma non solo in occidente, anche in Giappone i remake – o i sequel – di altre opere sono molto numerosi. Ad oggi, soprattutto per quanto riguarda la situazione americana, coloro che fanno film spesso non sono “autori” di film; sono invece persone dotate di fondi da investire, che ovviamente non possono permettersi di prendere dei rischi inutili e di conseguenza optano per fare dei remake di sicuro successo. Personalmente, avendo anche lavorato in America, trovo che sia un procedimento privo del benché minimo senso. Penso che l’unico motivo per il quale un remake abbia ragione di esistere sia quando un regista vuole dare la propria interpretazione di un determinato film, cosa che ad oggi non succede poi così spesso.
Poi ci sono ovviamente generi – mi viene in mente la musica o la pittura – in cui prendere temi passati e riproporli sia una cosa che è sempre stata fatta; guardando i quadri sacri si può notare che i soggetti siano sempre gli stessi, ma riproposti e rivisitati. Così come la musica di Mozart: in ogni sua esecuzione, nella ripetizione della stessa, acquisisce valore e significato. C’è anche da dire che nel caso della pittura e della musica la storia è millenaria, mentre il cinema ha una storia relativamente breve, di circa un centinaio d’anni; secondo il mio punto di vista quindi è ancora troppo presto per pensare di reinventare quello che è già stato fatto.

Bene, il tempo purtroppo è scaduto, io ringrazio tutti e spero che al di là delle poche domande il dibattito sia stato interessante; entrare così approfonditamente in certi temi è forse stato possibile solo per questa “situazione intima” in cui ci siamo trovati.
Ci sono molte cose che avrei voluto dire, e mi dispiace di non aver avuto il tempo per farlo; avrei voluto saper parlare in italiano, per far procedere le cose più agevolmente. Ma c’è una cosa che volevo dire in particolare, ed è la seguente: la cosa in assoluto più importante dei film è vederli. E non intendo dire che bisogna guardarli una volta soltanto e fermarsi all’impressione della prima visione, ma occorre rivederli più e più volte, perché è solo grazie a una visione ripetuta che si capisce il linguaggio di quel film e si comprendono le sfumature che donano a quel film un’identità. Quindi vi prego, sicuramente oggi se vorrete potete venire a vedere il mio ultimo lavoro, ma i film – sia miei che non – guardateli più volte, perché è importante per capirli davvero. Grazie mille.
 

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A seguito di questo incontro, il regista si è diretto alla proiezione del film Garm Wars – L’ultimo druido in anteprima italiana, tenutasi alle ore 15:00 al Cinema Astra. La pellicola, che annovera tra gli attori Lance Henriksen e Kevin Durand, è stata realizzata con una tecnica mista di live action e CG, e ritorna sui temi cari al regista quali l’identità individuale e la tecnologia. È inoltre il primo film di Oshii girato completamente in lingua inglese.
 

 
In un futuro lontano, il pianeta Annwn è teatro di una guerra infinita che si combatte da tempo immemore. Tre tribù militari di cloni-guerrieri, i GARM, si combattono ferocemente con ogni mezzo tecnologico disponibile per la supremazia del pianeta. Uno di questi cloni, Khara, riesce a fuggire dall’insensata battaglia e si unisce a un gruppo di improbabili compagni; il viaggio la condurrà a capire il senso e le ragioni della sua esistenza.


Dopo la proiezione, Oshii ha tenuto alle ore 18:00 al Japan Town nella Sala Show della Chiesa S. Francesco un incontro con i fan, dove ha avuto modo di rispondere alle domande dei suoi numerosi estimatori.
 

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Può darci un suo ricordo del compianto Satoshi Kon?
Abbiamo lavorato insieme al manga Seraphim – 266613336 Wings, ma poi abbiamo litigato ed è stata l’ultima volta che l’ho visto. Anche per questo motivo il manga è rimasto incompleto. Ovviamente sono molto dispiaciuto per la sua scomparsa.

Lei ha una cura particolare per la colonna sonora; quanto è importante in film come Ghost in the Shell?
Da trent’anni per le colonne sonore dei miei film lavoro sempre con la stessa persona (Kenji Kawai, NdR). Lui non produce mai una musica senza aver prima visionato il girato. Di solito gli dico: “voglio la musica da questo a questo punto” e poi ci pensa lui. Una cosa di cui parliamo insieme sono gli strumenti. Quando abbiamo realizzato Ghost in the Shell siamo andati a cercare dei taiko (tamburi giapponesi), ma abbiamo provato tantissimi strumenti a percussione di varie parti dell’Asia. A me non piace molto la forma di armonia occidentale e in Ghost in the Shell volevo andare alla ricerca di sonorità basate sul folklore giapponese. In Garm Wars invece abbiamo voluto usare la voce come strumento.
Comunque lavorare con Kenji Kawai è sempre molto divertente, ma fino alla fine non so mai che musiche verranno fuori. Senz’altro voglio continuare a lavorare con lui anche se siamo entrambi molto avanti con gli anni. Siamo comunque molto soddisfatti della nostra collaborazione. Personalmente le musiche di Garm Wars mi sono piaciute molto, voi che ne pensate?

Come mai in Ghost in the Shell ha usato una palette di colori molto fredda, mentre in Innocence una più calda?
Mi è difficile rispondere a questa domanda, di solito c'è una persona che se ne occupa. Lavoro con lui da più di quindici anni e mi fido completamente. Certamente all'inizio della lavorazione di un'opera si fa una scelta di colori, ma diversamente dal passato, con l'elaborazione digitale questa scelta si può anche rivedere a posteriori. Nel caso di Garm Wars ad esempio i colori di quando è stato girato e del prodotto finale sono completamente diversi.
Il mio intervento comunque si limita alla scelta dei colori della pelle che per me è la cosa più importante. Questo è vero sia nei film d'animazione che in quelli dal vivo. Molti se ne saranno accorti, ma in Ghost in the Shell ogni personaggio ha un diverso colore della pelle. Il colore della pelle riflette la vitalità dei personaggi ed è per questo che per me è molto importante.
 

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Tra tutti i film che ha fatto ce n'è uno che considera più personale?
Nessuno dei film racconta me stesso in modo diretto. A volte si pensa erroneamente che conoscendo un regista si riesca anche a comprendere la sua opera, ma nel mio caso non è così. Il film è sempre un lavoro di gruppo e non del solo regista.

Può raccontarci qualcosa riguardante il film Tachiguishi-Retsuden?
Tra tutti i film che ho fatto è stato quello meno apprezzato soprattutto dal punto di vista economico. Per quanto mi riguarda credevo in quest'opera e a differenza di quanto si può percepire la mia intenzione era quella di raccontare il Giappone del dopoguerra. Ma venni frainteso. Molti pensavano che si trattasse di un documentario e mi accusarono di aver detto falsità. Non sono molte le persone ad aver visto questo film, ma se qualcuno fosse interessato lo prego di visionarlo.

Può dirci quanto c'è o non c'è di suo nella scelta che è stata fatta di far interpretare a Scarlett Johansson il prossimo film di Ghost in the Shell?
Non c'entro nulla con la scelta di Scarlett Johansson, se proprio avessi dovuto fare io una scelta avrei preferito Nicole Kidman.

Come mai ha deciso di tornare a lavorare su Patlabor dopo 20 anni? In qualche modo è stato influenzato dal successo del blockbuster hollywoodiano Pacific Rim?
Il ritorno su Patlabor non è stata una mia scelta, ma un lavoro che mi è stato commissionato. Anche se devo dire che sono stato contento di tornare a lavorare sul franchise. Il robot che compare all’inizio del film è stato creato davvero ed è stato portato in giro per il Giappone: è stato davvero divertente.
Conosco Pacific Rim e ho incontrato Guillermo Del Toro, ma in quanto regista di film robotici non penso di poterlo apprezzare; un film di robot che mi è davvero piaciuto è stato Chappie di Neill Blomkamp, un regista che apprezzo molto. Non ricordo altri film sui robot che abbiano funzionato; credo che il più famoso a Hollywood sia Transformers, ma per quanto mi riguarda i robot che provano sensazioni e sentimenti umani non sono i robot che penso io.

Per quanto riguarda The Sky Crawlers, ha scelto di fare un film dal romanzo perché vicino alle tematiche che tratta di solito? Come è stato l'incontro con l'autore?
In realtà ho letto il libro solo dopo che mi era stato commissionato il film. Successivamente ho anche incontrato l'autore, ma con lui non ho mai parlato della trasposizione. Anche io sono uno scrittore, un libro e un film sono cose differenti e quando si fa una trasposizione di un romanzo in un film, sia l'autore che il regista sanno già cosa succederà. Per questo ci siamo messi a parlare solo del design degli aeroplani ed è stato molto piacevole. Alla fine comunque tra i film che ho fatto è il mio preferito.

Da cosa nasce la passione per le inquadrature fisse che ricorrono spesso nei suoi film?
Non so se sia una cosa tipica, ma forse con l'invecchiare è più difficile anche muovere la macchina da presa (ride). Mi è stato detto più volte che il mio movimento di camera è simile a quello usato per l'animazione, quindi è strano sentirmi dire che c'è la percezione della telecamera fissa. Grazie al movimento di camera si riescono a riprendere delle pose particolari e la cosa più importante è come questo movimento scandisca lo scorrere del tempo. E io stesso vado alla ricerca del mio tempo. Da giovane non mi rendevo bene conto di questo, ma quando ho detto prima che The Sky Crawlers era il mio film preferito è proprio perché è quello in cui sono riuscito a trovare il mio tempo.
 

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Si ringraziano bob71, giacgiac, Horus, Mozza, Slanzard, Zelgadis e zettaiLara per le riprese video, gli appunti e il supporto.