L'attesa è stata lunga da quell'autunno 2013 in cui andò in onda l'ultima puntata di una di quelle serie anime che davvero possiamo definire "senza confini".
Shingeki no kyojin è infatti paragonabile a titoli come Death Note o Evangelion per il forte impatto internazionale che ha avuto; serie che superano l'etichetta di "anime giapponesi" per entrare nell'immaginario collettivo dell'animazione mondiale.
Vedo già lo storcere il naso di chi sta leggendo questa recensione. Calma! Non ho detto che questo "primato", o comunque questo ruolo, sia meritato per contenuti e valore intrinseco della serie, affermo solo che l'impatto mediatico avuto è questo.
I Giganti sono un "fenomeno", questo è innegabile. Lo sono stati già all'epoca del manga di Hajime Isayama, quando all'improvviso conquistarono la vetta della top giapponese di vendite (con noi in Italia rimasti totalmente spiazzati dal successo istantaneo di questo titolo assolutamente sconosciuto ai più) e lo sono stati all'avvento della prima stagione animata che portò a una vera e propria "giganti -mania!".
 
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Interesse che non è mai venuto meno nonostante i tanti anni passati senza una nuova trasposizione animata, anzi, si è creato uno zoccolo duro di fan, forse non al pari di titoli shonen di lunga data come One Piece, ma sempre molto vivi e colorati (si pensi all'ultima Lucca Comics and Games con tanto di mostra a tema).

Ho fatto una doverosa introduzione per spiegare come non sia semplice ora fare una recensione di un sequel di un successo di proporzioni "titaniche" come questo. Sequel che ha mandato in tilt nuovamente (come ai tempi di One Punch Man) il portale streaming di VVVVid e che ha totalizzato in poco tempo un milione di visualizzazioni laddove le ultime serie arrivate in Italia, in simulcast sottotitolato, arrivavano a mala pena alla metà (in caso di grande popolarità). Un successo che era facile forse prevedere ma per nulla scontato.
Grande rumore e parecchi dubbi sulla riuscita di questa seconda stagione avevano popolato i commenti del web per l'assenza alla regia di un veterano come Tetsuro Araki. In realtà questa notizia aveva generato due reazioni: una, appunto, negativa in chi aveva apprezzato le scene d'azione e il lavoro svolto sulla prima serie, ma anche una positiva da parte dei non pochi detrattori di questo regista, detrattori che non smettono di puntare il dito sui flop post successo di Death Note.
Sfatiamo subito un mito: il problema del cambio di regia è un non problema perché la continuità è stata mantenuta quasi del tutto inalterata in termini di staff, le cui teste pensanti sono in pratica le stesse della prima stagione. È infatti vero che Masashi Koizuka è stato promosso alla regia ma, Tetsuro Araki non è di certo sparito, anzi! In qualità di direttore capo è colui che si è occupato delle decisioni più importanti a livello narrativo, determinando le scelte che poi il regista ha dovuto seguire. Calcolando che Koizuka era già assistente alla regia nella prima stagione, e che ha da subito affermato di non voler stravolgere nulla ma di agire in continuità per non deludere i fan, possiamo davvero affermare che a livello generale il modus operandi è rimasto praticamente lo stesso a distanza di 4 anni. Squadra vincente non si cambia!
 
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Tutto insomma nel segno della continuità che si respira già dalla opening "Shinzou wo Sasageyo" sempre affidata ai Linked Horizon, una canzone forse meno potente delle due che l'avevano preceduta ma che sostanzialmente ne richiama il respiro epic rock. Canzone che ti immerge da subito nel mood post apocalittico della serie come d'altronde tutta la ost, sempre molto evocativa, del maestro Hiroyuki Sawano.
A livello di trama ci ritroviamo esattamente dove ci eravamo lasciati, nessun preambolo, siamo nel pieno della storia come se l'ultima puntata fosse finita la settimana prima. La numerazione in continuità delle puntate quindi non è un errore o un vezzo della produzione, questa non è una seconda stagione ma una parte della prima in pratica.

Dove eravamo rimasti? Ah già, non ci si è ancora ripresi dallo spaventoso scontro tra Eren e Annie che la scoperta del misterioso gigante dentro le mura apre nuovi inquietanti scenari. Quello che è il succo della serie (almeno fino ad ora), quel senso di mistero misto a morbosa curiosità, ritorna prepotentemente dopo 4 anni ad assillare chi, come me, è riuscito a resistere al desiderio di saperne di più leggendo il manga (pubblicato in Italia da Panini Comics). La prima puntata in questo ci spiazza subito, facendo crollare le speranze dei protagonisti, e noi con loro, che almeno all'interno delle mura ciclopiche ci fosse la possibilità di scampare all'orrore dei famelici mostri colossali. Il gigante bestia, come da titolo, è l'autentico protagonista della prima puntata sin dal primo momento in cui appare caracollando sullo schermo, amplificando appunto i misteri, le domande e le curiosità... che resteranno quasi del tutto insoddisfatte poi nel prosieguo della stagione!
 
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Dodici puntate non bastano infatti a dipanare la matassa e si dimostrano essere un trait d'union verso il futuro. Questo non vuol dire che non veniamo a conoscenza di cose importanti. Penso che più di qualcuno di voi ci sia rimasto di stucco alla rivelazione di chi fossero il Colossale e il Corazzato ad esempio, ma come sempre le domande superano le risposte in un vecchio gioco, che ben conosciamo, che non ha lesinato di rischiare lo spoiler spinto, in maniera furbamente "nascosta" durante le ultime puntate come in maniera piuttosto evidente nella ending finale.
La storia, come la personalità dei personaggi, è praticamente quella del manga; è stata chiara e netta la decisione di non discostarsi dalla controparte cartacea, anche perché, vista la fama del titolo, sarebbe stato un rischio troppo grosso da affrontare. Si può quindi parlare all'infinito dell'ingenuità, in certi tratti, della trama e della psicologia iper stereotipata di molti personaggi, ma tocca essere onesti: siamo di fronte a uno dei più grandi esempi di blockbuster shonen degli ultimi tempi, confezionato ad hoc per vendere e creare hype. Non c'è nulla di male in questo, anzi, da qui nasce il titolo volutamente provocatorio della mia recensione. Il mainstream va in Paradiso e in questo caso macina ascolti e visualizzazioni, riportando l'attenzione sull'animazione giapponese anche in chi ormai era fermo al ricordo di 20 anni fa.
 
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Avendo ben chiaro questo credo che possiamo passare sopra a un personaggio principale francamente fino ad ora piuttosto piatto e inconcludente. Ho sorriso davanti all'esclamazione di Reiner nell'ultima puntata: "Tra tutti proprio Eren?". Ebbene si, il nostro eroe da cui dipende il destino dell'intera umanità è, tra tutti i personaggi, quello che fino ad ora mi ha lasciato davvero più insoddisfatto, ancor più dell'impalpabile Armin e di una Mikasa sempre più imprigionata nel suo personaggio Eren-dipendente. Però tocca dire che fortunatamente in questa parte della storia si è favorita la coralità, saltando di storia in storia, di personaggio in personaggio, con alcuni bei momenti come quello di Historia e Ymir. Questi ultimi due escono davvero alla distanza, a mio modesto avviso, rispetto agli altri, anche di fronte ad uno dei preferiti sul nostro sito, quel Erwin che fa troppo eroe tutto di un pezzo per i miei personalissimi gusti.
 
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Ritornando al discorso generale, ripeto quanto detto sopra: sta come sempre al cuore e alla mente di chi si mette davanti a uno schermo il giudizio finale su una tale opera. Sono consapevole che a volte tende a prendersi molto sul serio, cercando di snocciolare anche un po' di filosofia sull'odierna umanità, ma il target di riferimento non è ovviamente quello di un'opera impegnata. Ed è come opera di mero intrattenimento che l'epopea dell'Attacco dei Giganti va giudicata e in questo io reputo che il suo sporco lavoro questo titolo lo faccia e anche bene: azione, adrenalina e suspense sotto una bellissima musica!
Lo so, un'opera non andrebbe giudicata dal suo successo, dalla sua popolarità ma se non lo si fa in questo caso, di fronte a un mega prodotto realizzato ad uso e consumo del divertimento, allora mi domando: quando?
 
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La voce del web ha comunque criticato non poco la scelta di limitarsi a un così esiguo numero di puntate per una serie tanto attesa come questa ma ormai i tempi delle produzioni animate sono sempre più stretti e veloci e gli artisti coinvolti sempre di meno e con tanti progetti a carico. Molti stenteranno a crederci ma i lavori su questa seconda parte di Attacco dei Giganti sono cominciati in pratica qualche mese prima della puntata di apertura. Il lavoro è stato frenetico ed ha coinvolto nelle settimane vari staff diversi a lavorare sulle singole puntate con la spada di Damocle della trasmissione tv in arrivo. Tutto ciò ha determinato scelte piuttosto criticate come quella di animare il Gigante Colossale in CG, uno strappo troppo netto con la stagione precedente ma anche con il resto delle animazioni di questa. A parte però qualche sbavatura, a volte piuttosto netta come quella di cui sopra, devo dire che la stagione a livello tecnico è corsa via davvero bene fino alla puntata finale. Su quest'ultima (non esente da diverse pecche e immagini fisse) è stato poi usato uno schieramento da "battaglia": due storyboarders, ben 4 registi di episodio, 9 a capo delle animazioni e 53 key animators!

Ho voluto dare qualche numero (e spero di poterne dare altri in futuro) per far capire lo sforzo produttivo dietro un titolo come questo, con Wit che è riuscito a mantenere il processo di produzione di tutti gli episodi nel proprio studio mentre ben 9 puntate della prima stagione erano state quasi del tutto esternalizzate. Questo studio, tra le mille difficoltà e rischi che al giorno d'oggi possono portare facilmente al fallimento, sta crescendo e acquisendo piena consapevolezza dei propri mezzi anche nella voglia di sperimentare.
Il makeup animator, lanciato con la serie Kabaneri, è ormai un ruolo consolidato anche in questa produzione: basta vedere il lavoro svolto sui primi piani delle facce, sui contorni degli occhi ad esempio, a cominciare da quelli di Eren che non sono per nulla passati inosservati. Un lavoro davvero interessante di cui sono curioso di vedere gli sviluppi futuri.
 
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Il tempo è quindi passato ma il fascino e la popolarità di questa serie non è diminuito e il successo è arrivato anche in maniera fragorosa e per certi versi inattesa, tanto che Alex Corazza di Dynit mi ha raccontato, qualche tempo fa, dello stupore dei licenziatari giapponesi di fronte ai numeri da record di visualizzazioni sul portale VVVVId. Siamo tutti consci, almeno chi è dotato di un minimo di oggettività, che non siamo di fronte a un capolavoro dell'animazione, ma non si può tacere sul fenomeno di costume che questo titolo ha generato.
Nel ritorno degli anime giapponesi sul palcoscenico mondiale non si può negare, piaccia o no, il ruolo di primo piano che la serie tv tratta dal manga di Hajime Isayama sta avendo e con lui il Wit Studio, questa interessante realtà nata appena nel 2012 da una costola della Production I.G e che si appresta ad assumere un ruolo sempre più rilevante nel panorama generale degli anime giapponesi.