Se al giorno d'oggi lo Studio Ghibli è una realtà consolidata in tutto il mondo e conosciuta non solamente dagli appassionati di animazione giapponese, non è sempre stato così. Fino all'uscita di La Principessa Mononoke nel 1997, i film di Miyazaki & Co erano famosi e celebrati soprattutto in patria.
Dietro al successo dello Studio al di fuori dei confini nazionali ci fu una figura fondamentale: si tratta di Steve Alpert, che nel 1996 fu assunto come capo della divisione internazionale per lo Studio Ghibli.
Il compito di Alpert fu arduo: destreggiarsi costantemente tra l'integrità granitica di Miyazaki e la riluttanza di grandi aziende come Disney e Miramax a correre rischi, con uno studio di animazione allora in gran parte sconosciuto, non fu affatto facile.
Tutto questo ce lo racconta lo stesso Alpert nel suo ultimo libro "Sharing a House with the Never-Ending Man" che uscirà a metà giugno e in cui sono descritti tanti aneddoti sul funzionamento interno dello Studio Ghibli.
 

La prima cosa che si nota vedendo il libro è il personaggio in copertina: Hans Castorp, presente in "Si alza il vento". L'aspetto fisico e il modo in cui si muove si basano proprio su Alpert, che nella versione originale prestò anche la voce al personaggio.
L'uomo fu sbalordito dalla capacità di Miyazaki di ritrarlo così perfettamente; d'altronde grazie al suo background etnico (origini russo/polacche), le abilità linguistiche e la tendenza a sedersi in silenzio, ascoltare e assorbire discretamente le informazioni, Alpert ritiene che se avesse vissuto in quel periodo storico, avrebbe forse potuto essere una spia senza troppi problemi. Anche se ammette che partecipare ad una riunione dello Studio Ghibli e fornire informazioni segrete sull'esercito giapponese prebellico non sono proprio la stessa cosa.
 

Nonostante il "Never-Ending Man" del titolo sia riferito chiaramente ad Hayao Miyazaki, un'altra figura di rilievo raccontata nel libro è Yasuyoshi Tokuma, il produttore esecutivo di quasi tutti i film dello Studio Ghibli. Steve Alpert lo descrive come una figura carismatica, un uomo di altri tempi con un fascino a cui era impossibile resistere.
Ma aveva un lato oscuro, e per piacergli era fondamentale essere protetti da Toshio Suzuki, altro produttore storico dello Studio. Però Tokuma aveva il raro pregio di non interferire mai nel lavoro dei creativi né di spingerli a fare qualcosa tenendo conto solo dell'aspetto commerciale del risultato; per questo gli artisti lo adoravano.
 

Quando morì, e senza il suo carisma a tenerlo in piedi, il suo impero ebbe un tracollo, ma fu anche il risultato del modo in cui l'intrattenimento e l'editoria stavano cambiando. Le attività di Tokuma erano state lente ad adattarsi al passaggio da analogico a digitale e basate per lo più su un modello di business che ormai non esisteva più. Nonostante questo ebbe la lungimiranza di non cedere i diritti digitali delle sue opere alla Disney: pur magari non capendo a fondo il termine "digitale", capì che era qualcosa da salvaguardare. Sebbene avesse un carattere all'opposto di quello di Miyazaki (tanto era esibizionista Tokuma quanto schivo e riservato Miyazaki), i due si stimavano molto.

Nel suo libro Steve Alpert ricorda i suoi incontri con Yasuyoshi Tokuma come qualcosa di spesso fuori dal comune: convocato tramite la sua segretaria, poteva anche capitare che durante quegli incontri non si parlasse di nulla di specifico. Si ammiravano i quadri alle pareti, la vista sulla baia di Tokyo, si mangiava un gelato. Alpert usciva da questi incontri apparentemente senza senso piuttosto frastornato, ma negli anni si è fatto una sua opinione: quegli appuntamenti servivano a Tokuma per capire se Alpert stesse facendo qualcosa di illegittimo, ingannando la compagnia in qualche modo o facendo qualcosa di non autorizzato nei contratti che stava negoziando con la Disney. Semplicemente osservando il suo comportamento in situazioni informali, Tokuma avrebbe intuito se c'erano dei problemi.
 

Steve Alpert ha molto da dire anche sull'enorme differenza fra lo Studio Ghibli e la Disney: avendo lavorato per entrambe, le conosce molto bene.
Le dimensioni sono la prima cosa che balza all'occhio. Lo Studio Ghibli realizza e distribuisce un film ogni due anni circa, mentre Disney in generale ne produce e distribuisce centinaia. Inoltre Alpert sottolinea che nello Studio Ghibli sono i registi a gestire lo studio mentre alla Disney c'è un'intera azienda alle spalle, quindi il lato economico e dei profitti che si possono ricavare da una nuova opera ha il suo peso.
La Disney o la Pixar non sono gestiti totalmente da uomini d'affari, però sicuramente uno studio gestito da cineasti può prendere decisioni artistiche più rischiose di quelli gestiti principalmente da uomini d'affari. Per fare un esempio, ai manager piacciono i sequel mentre agli artisti piacciono le opere nuove. Se un effetto speciale è troppo difficile da ottenere e costoso, un uomo d'affari probabilmente deciderà di annullare tutto mentre un regista potrebbe non farlo.
 


Fu proprio Steve Alpert a ritirare l'Orso d'oro al Festival di Berlino per "La città incantata". Sembra che Toshio Suzuki avesse detto ad Alpert che lo avrebbe licenziato se il film non avesse vinto. Andare a Berlino in competizione era per Alpert chiaramente la cosa giusta da fare. Il solo fatto di essere stati invitati a partecipare a una competizione era già una vittoria per uno Studio come quello di Miyazaki. Sarebbe stato il primo film d'animazione ad essere accettato in una gara di quel tipo.
Lo stesso distributore europeo, Vincent Maraval di Wild Bunch, disse ad Alpert che anche se il film non avesse vinto, la loro presenza al Festival sarebbe stata un enorme successo, e questo convinse l'uomo a rischiare anche se in cuor suo era profondamente convinto che Suzuki non lo avrebbe comunque licenziato, qualora la pellicola avesse perso la competizione.
 

A Steve Alpert si deve l'aver portato film come Mononoke nei cinema occidentali. Fu un'impresa enorme che richiese un sacco di lavoro e fortuna per riuscirci e come persona responsabile di tutto ciò dovette anche assumersi grandi rischi per farlo. Suzuki disse ad Alpert che voleva poter distribuire i film dello Studio Ghibli fuori dal Giappone per far ottenere loro il successo che meritavano sia di critica che di pubblico. Se non fosse stato possibile ottenere entrambi, avrebbe però almeno voluto uno dei due. Alpert pensò che il successo da parte dei critici sarebbe stato un gioco da ragazzi perché i film erano veramente fantastici. Ma non fu mai soddisfatto del tutto del successo commerciale, nonostante ci fosse alle spalle tutta la potenza e il peso della macchina Disney.
 

Alpert sottolinea come se provi a vendere qualcosa non per come è, ma per come vuoi che sia, non si otterranno i risultati sperati. Occorre lasciare che il film che si sta pubblicizzando sia quello che è. A volte è un rischio. Ma i risultati migliori non sono mai raggiunti senza alcun rischio. Secondo Alpert, la Disney non ama rischiare e si è sforzata di rendere i film Ghibli meno giapponesi, pensando che sarebbe stato più facile così far presa sul pubblico, ma secondo lui è stato un errore.
Per questo ci furono anche attriti con Harvey Weinstein, che all'epoca dirigeva la Miramax, appena diventata parte della Disney. Era nota agli addetti ai lavori la "passione" di Weinstein nel "tagliare" film stranieri per renderli più adatti al pubblico americano. Probabilmente credeva che tagliare Mononoke lo avrebbe reso un successo commerciale negli Stati Uniti, rendendolo anche un film "migliore". Invece fu detto espressamente a Weinstein che non solo non avrebbe potuto toccare in alcun modo la pellicola, ma che non avrebbe nemmeno potuto citare minimamente la cosa con i diretti interessati. Da qui un accumulo di frustrazione che portò a incontri tesi fra lui e Alpert.
 

Ciò che Alpert racconta nel libro è anche lo sguardo appassionato ed equilibrato di uno straniero su come si lavora nelle aziende giapponesi. Per lui fu molto interessante, e talvolta anche divertente, vedere il modo in cui gli affari sono condotti in Giappone. Quando un'azienda giapponese si concentra su qualcosa, lo fa in modo affidabile e corretto, anche se magari non è il più efficiente secondo il punto di vista di un occidentale. Però, nella maggior parte dei casi, se un lavoratore giapponese fa qualcosa, si può essere certi che lo starà facendo al meglio delle sue capacità.
 

Un episodio che colpì molto Steve Alpert risale al suo ingresso presso la Tokuma Shoten: lavorava per loro da una settimana quando gli giunse la notizia che il suo stipendio sarebbe stato ridotto. Questo perché la società aveva attraversato un anno davvero difficile e quindi era stato deciso che tutti i dirigenti del gruppo e i membri del consiglio di amministrazione si sarebbero ridotti lo stipendio del 15%.
Ovviamente Alpert ne fu contrariato, ma allo stesso tempo rimase colpito da come il livello più alto del management si assumesse la responsabilità delle decisioni che avevano causato la perdita di denaro all'azienda. Nelle compagnie americane in cui aveva lavorato fino ad allora sarebbe stato tagliato il personale e le spese con conseguente licenziamento di vari lavoratori. Alla Tokuma Shoten ciò non accadde.

Fonte consultata:
SoraNews