"Innanzitutto, bisogna spiegare in cosa consiste il mio lavoro. Quello che serve, prima di ogni altra cosa, è una salma. È stato accertato che quando un essere umano muore il suo peso diminuisce di 21g rispetto a quando era in vita. È il peso dell'elemento spirituale, il cosiddetto peso dell'anima. Installando pseudo-elementi spirituali in corpi ormai privi di anima, noi facciamo risorgere i morti. Però, si tratta di anime non autentiche."

Londra vittoriana, fine della seconda rivoluzione industriale, piena atmosfera steampunk e un incipit che lascia spazio a pochi dubbi, ma che, al contempo, pone forti interrogativi: cos'è legittimo nel progresso scientifico? Fin dove ci si può spingere e qual è il prezzo da pagare se si vuole segnare il proprio nome del firmamento dei grandi e riavere indietro una persona cara? Qual è quella sottile linea grigia oltre la quale è meglio non andare? Dilemmi forti, a cui ancora oggi si fa fatica a trovare una soluzione, e che fanno da perno a tutto ciò che muove le fila de L'Impero dei Cadaveri, film del 2015 diretto da Ryotarō Makihara, prodotto da WIT Studio (L'Attacco dei Giganti, Kabaneri of the Iron Fortress, Vinland Saga, Great Pretender) e basato sull'omonimo romanzo di Project Itoh (pseudonimo di Satoshi Itō). Se volete scoprire le risposte e schiarire la zona grigia che separa gli umani da ciò che la scienza non dovrebbe mai scoprire, non vi resta che proseguire nella lettura.
 
La storia è ambientata nell'Europa del XIX secolo: in questo mondo alternativo sono stati creati dei "Frankenstein", cadaveri viventi a cui è stata innestata un'anima artificiale, da usare come lavoratori nell'industria pesante. John Watson, studente di medicina dell'Università di Londra, viene scelto dal governo per diventare un agente segreto: nel suo lavoro scopre che in Afghanistan vengono impiegati una grande quantità di Frankestein tra cui The One, l'originale creatura creata circa un secolo prima dal barone Frankenstein, che trama un complotto contro il mondo.
 
L'Impero dei Cadaveri

L'inizio rallentato del film è sicuramente d'aiuto per la comprensione: ci troviamo in un'ucronia dell'Inghilterra vittoriana in cui, dopo le scoperte del Dr. Victor Frankenstein, è stato possibile creare una quantità di manodopera mai vista prima risvegliando i cadaveri, e trasformandoli in burattini che eseguono qualsiasi ordine imposto loro dagli pseudo-elementi spirituali, installati in loro dalla grande macchina Charles Babbage. In pochi minuti di introduzione, lo spettatore viene iniziato a un mondo cupo, che per quanto sia vecchio di poco più di un secolo presenta evidenti somiglianze con quello in cui viviamo: chiara metafora di un mondo spersonalizzato e apatico in cui la classe lavoratrice viene sfruttata sono proprio i cadaveri, i quali hanno sostituito completamente la manodopera umana nei lavori più faticosi e rischiosi, quali operai di fabbrica e militari. Non è quindi esagerato dire che, nonostante gli umani siano padroni dei cadaveri, ne siano anche schiavi. I viventi dipendono dai morti, e sono controllati dal potere di una forza lavoro moralmente disumana, alla quale, tuttavia, non possono rinunciare. Gli esseri umani sono pertanto risucchiati in un crudele Maelstrom, un vortice che li vedrà divenire, una volta trapassati, dei cadaveri controllati da qualcun altro.

All'umanità però non basta l'aver incrementato la manodopera: stando a quanto si vocifera, il primo non morto risvegliato dal Dr. Victor Frankenstein era in grado di parlare e di provare emozioni, sia positive che negative. È per tale motivo che la comunità scientifica internazionale, nella branca della tecnologia dei cadaveri, si prodiga per portare avanti la ricerca degli appunti del Dr. Frankenstein, che si dice contengano il segreto per far rivivere completamente una persona e, di conseguenza, potendo accedere ad una vera e propria immortalità, restituire a qualcuno un proprio caro. È per questo motivo che John Watson, studente di medicina e protagonista della pellicola, prosegue le sue ricerche: inizialmente all'opera insieme al suo migliore amico Friday, con il quale nel finale sembra accennare a un rapporto ben più profondo. Dopo la dipartita di quest'ultimo, prosegue gli esperimenti sul cadavere del suo compagno di ricerca, il quale gli aveva comunicato in precedenza il suo desiderio di diventare la cavia delle ricerche di John, dandogli quindi il permesso di procedere. L'obiettivo comune è dimostrare l'esistenza dell'elemento spirituale, quel peso di 21g perduto alla morte che i più chiamano "anima".
 


Dalle prime battute del film, l'obiettivo di John appare chiaro allo spettatore: è ovvio che, dalla morte di Friday, la sua meta non sia più soltanto dimostrare l'esistenza dell'anima, ma anche riportare in vita il suo amico, e John comunica bene l'ossessione che prova per questo obiettivo: nel corso del viaggio, il "Dottore" incontrerà numerosi personaggi che gli porranno diversi interrogativi su quello che sta facendo, su tutti Alexei Karamazov e Nikolai Krasotkin, ma per quanto questi abbiano un effetto su di lui, non vedremo reali conseguenze alla consapevolezza acquisita da questi interrogativi fino all'ultimo quarto di film, e non vedremo quasi del tutto delle conseguenze materiali a dei comportamenti che avrebbero richiesto uno scotto che, invece, altri personaggi hanno pagato. Nonostante, quindi, sia sicuramente apprezzabile l'idea di un personaggio che cerca disperatamente di non mutare nonostante tutto quello che gli accade attorno, il fatto che questi eventi sembrino appositamente studiati per far crollare le convinzioni di Watson su loro stesse fa apparire forzata, per una buona porzione centrale di film, l'assenza di cambiamenti nel modus operandi del Dottore. È necessario parlare di porzione centrale perché, come intuibile, i trenta minuti iniziali e finali della pellicola sono senza ombra di dubbio alcuno i più solidi della pellicola, che presenta invece una struttura di svolgimento centrale più lacunosa, a causa anche di altre criticità miste a gustosi pregi che, però, non riescono a farla apprezzare appieno.
 
L'Impero dei Cadaveri

Innanzitutto, riprendiamo un concetto espresso celermente solo all'inizio: questo film è tratto dal romanzo omonimo di Satoshi Ito , che forma una trilogia assieme ad Harmony e L'Organo Genocida, trasposti anch'essi in pellicola. Harmony è già disponibile su Amazon Prime Video e presto arriverà anche L'Organo Genocida, ed entrambi sono già stati annunciati in versione home video da Yamato Video e Anime Factory. Pertanto, è logico pensare che dentro WIT Studio sia stata portata avanti una rigorosa rielaborazione della trama, atta a rendere la sceneggiatura più cinematografica e meno letteraria, ma purtroppo quest'affermazione è vera solamente in parte, in quanto appare evidente come lo staff sia riuscito solo parzialmente in questa sua intenzione. L'Impero dei Cadaveri soffre di una rielaborazione della trama che è riuscita solo nello snellimento della stesura originale del romanzo (di cui parleremo più avanti), ma non nell'unificazione della trama: appare evidente come il film sia diviso in "capitoli" e che, fino agli ultimi quaranta minuti del film, sia quasi completamente assente un intreccio che non preveda solo la narrazione del presente narrativo focalizzato sui personaggi principali, ma il mostrare in modo preciso altri avvenimenti in modo tale da fornire più conoscenze allo spettatore e rendere il film più comprensibile senza l'uso di spiegazioni in prima persona.

A risentirne, solo parzialmente però, sono anche i personaggi: uno degli aspetti più affascinanti di un'opera è, senza ombra di dubbio, vedere come la storia personale di ogni personaggio comunichi qualcosa al lettore, sviscerare e approfondire un personaggio che, contestualizzato all'interno del macrocosmo creato dall'autore, porta un messaggio in modo indiretto ma altrettanto preciso. Ne L'Impero dei Cadaveri abbiamo numerosi esempi di questo tipo: i già citati Alexei Karamazov e Nikolai Krasotkin, dei quali evito di approfondire ulteriormente in quanto si sfocerebbe in spoiler indesiderati, si fanno carico, grazie al loro spazio all'interno della storia e ai loro personali trascorsi, di instillare per la prima volta il dubbio in Watson e, di conseguenza, nello spettatore. Un risultato ancora più gradevole lo ottiene Hadaly Lilith, che porta ottimamente avanti un tema ampiamente trattato all'interno della letteratura (le emozioni) in un modo che potremmo indubbiamente definire "già visto", ma che risulta efficace, ben pensato e con dei risvolti anche commoventi, nonostante un suo particolare aspetto risulti pochi chiaro.

Lo stesso non si può dire, però, di altri personaggi, quali ad esempio Frederick Barnaby e M: in modo similare a numerosi altri personaggi (che in questo caso, per evitare spoiler, neanche nomino) la pellicola non comunica un messaggio allo spettatore tramite la storia che crea attorno, ma parlando letteralmente per bocca del personaggio. Ne consegue che molti dei dialoghi del film, per far arrivare il messaggio dell'opera, spingano molto sulla profondità e complessità dell'argomento trattato, non trattando però la complessità del personaggio, che va quindi a parlare, invece che tramite la sua storia, direttamente con lo spettatore, e che risulta pertanto difficile da comprendere nelle sue azioni, in quanto esse sembrano più atte a cercare disperatamente di comunicare qualcosa (riuscendoci solo perché il messaggio viene ripetuto talmente tante volte da diventare ovvio) che a seguire un filo conduttore in una caratterizzazione del personaggio. Da qui, un senso di pesantezza che potrebbe accompagnare precise porzioni della pellicola e che, purtroppo, inficiano sulla comprensione generale de L'Impero dei Cadaveri.
 
L'Impero dei Cadaveri

Di conseguenza, la narrativa generale ne risulta intaccata, anche a causa di un'imperfetta ricostruzione degli eventi che, come detto prima, ha portato non solo alla conservazione di una divisione in capitoli, ma anche ad uno snellimento non ottimale degli eventi del libro originale di Ito: probabilmente, le spiegazioni pressanti dei personaggi non sarebbero neanche esistite se gli sceneggiatori di WIT Studio avessero rielaborato meglio il contenuto del romanzo, che ha portato a tutte le problematiche descritte fino ad ora e, soprattutto, ad una chiarezza narrativa che, più si avanza nella pellicola, più crolla su sé stessa, in nome di azioni che hanno palesemente uno scopo all'interno della storia ma che non riescono a comunicare il loro senso allo spettatore.

Emblema di quanto appena detto è The One: il "Primo Non-Morto", colui il cui nome è andato perduto (come lui stesso si è definito) ha un ruolo cruciale all'interno del film, e sin dalla sua prima apparizione porta con sé un numero mastodontico di interrogativi, e solo pochi di essi troveranno risposta nel finale. Difficilmente lo spettatore riuscirà a capire i motivi per cui alcune persone collaborano con lui, mentre sono chiare le motivazioni delle sue azioni, ma allo stesso tempo una determinata cosa che vuole portare a compimento appare fin troppo repentina e mal contestualizzata. Ne viene da sé che, quindi, anche la componente mistica relativa ai non morti risulti intaccata da un personaggio molto interessante ma che avrebbe avuto bisogno del doppio dello screen time a lui concesso per spiccare quanto era necessario, soprattutto in virtù di un finale che riesce a tenere incollato lo spettatore fino alla fine, ma che non accoglie la totalità delle sue legittime richieste di approfondimento.

Un ultimo focus narrativo prima di spostarci sul versante audiovisivo (che merita parole di elogio). Come occhi vispi avranno sicuramente notato, il film è ricco di citazioni storiche e letterarie: il protagonista, John Watson, porta lo stesso nome del compagno d'avventure di Sherlock Holmes, il Dr. Frankenstein rassomiglia in tutto e per tutto all'omonimo personaggio del libro di Mary Shelly, la macchina Charles Babbage prende il nome dall'omonimo matematico britannico, M rispecchia appieno, in nome e ruolo sociale, l'omonimo personaggio dei libri di Ian Fleming (Saga di 007), Friday, il miglior amico di Watson, è un chiaro riferimento all'indigeno presente nel Robinson Crusoe di Daniel Defoe (e che cita anche l'Agente 007 dopo essere stato registrato), Nikolai Krasotkin e Alexei Karamazov riprendono due personaggi de I Fratelli Karamazov di Dostoevskij e via dicendo. Richiederebbe troppo tempo elencare ogni citazione presente all'interno dell'opera, ma è necessario notare come ogni personaggio, pur condividendo aspetti con il suo "originale" abbia una propria strada, dimostrando come Itō prima e WIT Studio dopo non si siano lasciati influenzare eccessivamente dalla controparte letteraria di più larga fama.
 
L'Impero dei Cadaveri

Andando a parlare della realizzazione tecnica del film, si può indubbiamente inanellare una serie quasi ininterrotta di pregi a livello visivo: lo staff di WIT Studio, con l'uso saggio dei colori, è riuscito a restituire un'atmosfera tetra, cupa e inquietante in tutte le scene che lo richiedevano. Sebbene la pellicola non goda di guizzi di regia degni di nota, questo non è necessariamente un difetto, in quanto è chiaro che non fosse necessario spaziare registicamente per incrementare la godibili dell'opera. Makihara si dimostra una persona con la testa sulle spalle, decidendo di non eccedere nella brama di stupire e dedicando tutto quello che era necessario per far risultare le scene graficamente comunicative e, fin dove possibile, chiare. Ne consegue che la stragrande maggioranza di animazioni ad intercalari non facciano brillare L'Impero dei Cadaveri per animazioni manuali e artigianali, ma che siano sopratutto i giochi di camera e i costanti cambi di inquadratura a fornire supporto narrativo alla psicologia dei personaggi, che quando hanno lo spazio e i tempi necessari per brillare godono dell'ottimo supporto del comparto visivo. Le inquadrature a campo lungo, inoltre, mettono in risalto delle belle ambientazioni, e nel finale si potrà godere di una grande sequenza ottimamente animata.

Unica onda anomala in questo mare tranquillo sono le componenti in computer grafica, in particolare le grandi masse e i grandi schieramenti di cadaveri: probabilmente per mancanza di tempo e manodopera (sfatiamo il mito del budget, ve ne prego) WIT Studio ha deciso di realizzare queste parti affidandosi ad una computer grafica decisamente non ottimale e che avevamo potuto "ammirare" anche nella seconda stagione de L'Attacco dei Giganti (bentornato nei miei incubi, Gigante Colossale). Il perché è presto detto: è decisamente più semplice e richiede molto meno tempo reiterare i modelli 3D per animare elementi meno importanti, e nonostante la resa li faccia apparire molto bene, come morti viventi la resa visiva è pessima: i modelli cozzano con gli sfondi e con i colori, nono riuscendo a trovare armonia all'interno della pellicola. Questo, però, solo in scene che richiedono la presenza massiccia di cadaveri e persone, in quanto quando ci si focalizza su gruppi ristretti si passa all'animazione tradizionale e una resa decisamente ottimale. La colonna sonora del film, per quanto non brilli per tracce memorabili, accompagna molto bene lo svolgersi della pellicola e risulta godibile all'orecchio. Yoshihiro Ike svolge un lavoro puntuale di accompagnamento, che rispetta l'atmosfera tetra del mondo e la asseconda, permettendo in questo modo ad audio e visivo di sposarsi e non cozzare, riuscendo così a creare un equilibrio fondamentale per la riuscita di una pellicola.

L'edizione italiana del film, dal canto suo, non ha nulla invidiare a quella giapponese: una ricerca precisa delle voci trova compimento in delle scelte livellate anche all'interno dell'età del cast. Gianfranco Miranda (Geralt di Rivia in The Witcher di Netflix, Will Graham in Hannibal) risulta un John Watson convincente e credibile, in una costante variazione di umore vocale tra un uomo sicuro di sé e determinato e un ragazzo spaventato che vuole solo riavere indietro il suo amico, Friday, doppiato da un ottimo Stefano Broccoletti (Shinji Ikari in Neon Genesis Evangelion di Netflix, Sukari in Kabaneri of the Iron Fortress) che nelle poche scene che richiedono di dar voce al suo personaggio interpreta in modo chiaro e umano la sua determinazione, per poi "sdoppiarsi" sul finale. Lode anche al Maestro Pietro Biondi (Dott. Inferno in Mazinga Z Infinity, Charles Zi Britannia in Code Geass) voce di The One, a cui conferisce un tono aulico, serio ma che cova nel suo cuore un dolore tale da far rabbrividire lo spettatore sin dalla sua prima apparizione, e un ottimo Massimo Bitossi (Diethard Ried in Code Geass, Metal Knight in One-Punch Man) su Frederick Barnaby, che nonostante sia un personaggio con sfaccettature sprecate, viene reso ottimamente da Bitossi grazie ad un'interpretazione rigorosa e un'immedesimazione totale nel personaggio. Plauso, pertanto, alla direzione del doppiaggio, allo staff tecnico che si è occupato dell'encoding e della parte tecnico-fonica e agli editori che hanno curato questo prodotto per aver creato un doppiaggio a regola d'arte.
 
L'Impero dei Cadaveri
 
Dal 16 luglio è disponibile la Limited Edition in DVD e Blu-ray™ del film ad opera di Anime Factory e Yamato Video. Essa presenta, oltre al doppio audio italiano e giapponese,  anche i seguenti contenuti extra:
·        Promotional video
·        Sequenze titoli originali e textless
·        Anteprime

Inoltre all’interno delle edizioni in DVD e Blu-ray™ saranno presenti anche:
·        un booklet esclusivo di 24 pagine con disegni preparatori, illustrazioni, gallery, note e approfondimenti
·        una maxi card della locandina cinematografica originale del film.
 
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Nella Gallery qui sotto trovate l'unboxing fotografico completo.

 
Al netto di una comprensione minata da una risceneggiatura imperfetta del romanzo originale, “L'Impero dei Cadaveri” risulta comunque un film godibile grazie a un ottimo comparto tecnico, a uno straordinario doppiaggio italiano e, bizzarramente, a un tentativo continuo della storia stessa di palesarsi agli occhi dello spettatore, che sebbene risulti in un senso di pesantezza nella parte centrale centrale del film, lascia nel finale consapevoli di ciò che si ha guardato, ma con comunque molteplici interrogativi lasciati a un sottotesto non del tutto chiaro. Un film di cadaveri che parla direttamente al cuore dei viventi, invitandoli a concentrarsi su quello che è il presente accettando il proprio passato.