Chi frequentava le sale giochi negli anni novanta ricorderà sicuramente il 1991 e l’uscita di Street Fighter II come una sorta di “anno zero” del genere picchiaduro: per tutta la decade, rivali e cloni più o meno spudorati si sono dati battaglia nelle sale, aggiungendo questo o quell’elemento di novità per spiccare sugli altri. Nel 1993, il game designer Yu Suzuki crea per Sega un titolo destinato a dare una nuova “dimensione” (in tutti i sensi) alla sfida. Virtua Fighter, infatti, si discosta parecchio dagli altri giochi del genere: in primis perché è il primo gioco di lotta con personaggi poligonali, poi perché non ha mostri, sfere d’energia o poteri psichici, ma i suoi personaggi sono molto più semplici, magari non particolarmente ricercati (l’influenza di titoli precedenti si vede eccome, anche solo nella caratterizzazione grafica del suo protagonista) ma sicuramente realistici, capaci di fare mosse reali che sulla carta un combattente con una certa esperienza può eseguire davvero.
Il successo del gioco lo porta a imporsi come uno dei titoli più caratterizzanti della decade: il suo successo scemerà poi allo scoccare del nuovo millennio (è infatti dal 2006 che non esce un nuovo titolo della serie), ma nel corso degli anni novanta Virtua Fighter ha avuto ben due seguiti, vari spin off, conversioni su tutti i sistemi Sega e persino su pc e una quantità sterminata di merchandise, tra pupazzetti, cd musicali e quant’altro. In particolare, il secondo capitolo, uscito nel 1994, è quello che maggiormente è servito a cementare la mitologia della serie, dando una caratterizzazione grafica più definita ai personaggi, introducendone di nuovi che si sono subito fatti amare, migliorando ulteriormente la grafica del gioco e regalandoci una colonna sonora iconica.
Se il secondo gioco della serie è quello rimasto più impresso ai giocatori, è anche merito di un ulteriore progetto che ha ampliato a dismisura l’universo creato da Yu Suzuki, aiutando molto a delinearne storie e personaggi e facendolo amare in tutto il mondo: la serie animata.

 

「天空に輝く八つの星!
力だけではない、真の強さを持つ者のみが見えるという
その星を求め旅だった彼!
人は彼をバーチャファイターと呼ぶ!!」

Otto stelle brillano nel cielo!
Si dice che solo chi possiede la vera forza, non soltanto la forza fisica, riesca a vederle.
Alla ricerca di quelle stelle, un ragazzo si è messo in viaggio.
Un ragazzo che tutti chiamano “Virtua Fighter”.


Introdotta da queste parole, pronunciate dall’iconica voce del leggendario Shigeru Chiba (che nella serie, come nei giochi, dà la voce a Lau Chan e funge anche da voce narrante), inizia esattamente venticinque anni fa, nell’ottobre 1995, la serie animata di Virtua Fighter, trasmessa in 35 episodi (fino a giugno 1996) su Tv Tokyo e prodotta dalla TMS.
La succitata frase introduttiva, che precede la sigla iniziale, già mette in chiaro quella che sarà la trama della serie: il viaggio, in giro per il mondo ma anche interiore, del giovane Akira Yuuki, atleta di arti marziali alla ricerca di se stesso e della vera forza, simboleggiata dalle mitiche otto stelle che solo chi è veramente forte è in grado di vedere, e che Akira ha perso di vista dopo essersi montato la testa in seguito ad una serie di vittorie nei tornei. A differenza del gioco, che è basato su una serie di tornei, qui tornei non ce ne sono, ma l’anime si dimostra estremamente fedele al materiale di partenza, rispettandone i pochissimi punti fermi, a cui pian piano arriverà: Pai, che nel gioco fa l’attrice, finirà poi per diventarlo a un certo punto dell’anime, e avrà modo di mettere in scena l’antagonismo col padre che caratterizza il suo personaggio anche nel gioco; Sarah verrà rapita da un’organizzazione criminale e le verrà fatto il lavaggio del cervello per metterla contro il fratello Jacky; Jeffry lotta col sogno di sfidare il leggendario squalo che infesta i mari della sua isola, e via dicendo. Gli elementi cardine del gioco ci sono tutti, ma sono riscritti in una storia più organica, che riesce a dare uno spazio più o meno grande a tutti i personaggi presenti nel picchiaduro, proprio con la scusa del “viaggio”, che porterà Akira in giro per il mondo: dagli Stati Uniti all’Australia, da Parigi al Giappone, da Hong Kong all’Olanda, in una serie di rocambolesche peripezie, fughe, rapimenti che hanno come motore l’incontro con Pai, ragazza in fuga dall’organizzazione criminale fondata dal padre, e un tragicomico primo bacio al sapore d’aglio.

Virtua Fighter 1


I personaggi del gioco ci sono tutti, a partire dal protagonista Akira e dalla bella Pai: i due fratelli Jacky e Sarah, il ninja Kagemaru, il pescatore Jeffry, il wrestler Wolf, il giovane nobile Lion, il saggio maestro Shun e il tormentato Lau, padre di Pai. Come nel gioco, ognuno di loro pratica una differente arte marziale realmente esistente, dallo stile dell’ubriaco al wrestling, dal pancrazio al jeet-kune-do. Le mosse che è possibile eseguire nel videogioco fanno tutte bella mostra di sé, grazie anche ad una simpaticissima intuizione: dei siparietti in 3D che ne spiegano l’esecuzione e gli effetti. Il rimando è chiaro: le spiegazioni delle mirabolanti tecniche di Hokuto in Ken il guerriero. E, del resto, gli effetti sono gli stessi, con caratteri giapponesi in sovraimpressione e la stessa voce narrante, quella di Shigeru Chiba, che ancora una volta, dopo Sakigake! Otoko Juku, torna a prendersi gioco del suo ruolo di iconico narratore in Ken il guerriero, regalandoci anche degli spassosissimi siparietti con le anticipazioni, dove i personaggi si divertono a prendere in giro gli eventi degli episodi successivi e lo stesso Shigeru Chiba, che è allo stesso tempo il narratore e Lau Chan, l’avversario che i nostri eroi rincorrono per tutta la prima stagione (e questo, poveri loro, li manda un po’ in confusione).
Anime e gioco procedono di pari passo, influenzandosi a vicenda e scolpendosi nell’immaginario collettivo della generazione anni novanta. La fedeltà dell’anime al gioco è totale, fatta anche di tante piccole, bellissime, chicche che l’anime di tanto in tanto ci presenta: i personaggi che di tanto in tanto indossano i vestiti del gioco, anche e soprattutto quelli secondari, i doppiatori del gioco che ritornano a dar la voce ai personaggi (oltre a Shigeru Chiba, c’è anche Shinichiro Miki a dar la voce ad Akira), personaggi originali introdotti nella serie animata che saranno poi alla base di futuri personaggi del gioco, le colonne sonore del gioco e, soprattutto, le basi strumentali degli album Virtua Fighter CG Portrait (una serie di singoli con i temi personali cantati dei personaggi usciti nel 1995) che fanno capolino qua e là in sottofondo a determinate scene, e Takenobu Mitsuyoshi, iconica voce di una miriade di giochi Sega, da Daytona USA alla serie MaiMai (nonché, appunto, dei Virtua Fighter e di alcune tracce dei succitati CG Portrait), che firma in prima persona la colonna sonora della serie animata e canta persino la seconda, bellissima, sigla d’apertura, “Ai ga tarinaize” (“L’amore non basta”), diventata talmente iconica da essere un suo cavallo di battaglia ai concerti, agli eventi Sega ed essere stata inserita persino in altri giochi, come il crossover NamcoxCapcomxSega Project X Zone 2  per Nintendo 3DS.

 

夜空を流れた八つのきら星
胸の奥に輝くまで

傷つきながら
人はなぜ戦う?
どこかで本当の自分に出会うためさ。。。

Otto stelle brillano nel cielo notturno
Fino al giorno in cui brilleranno all’interno del mio cuore

Perché un uomo combatte, anche a costo di ferirsi?
E’ perché così, da qualche parte, potrà incontrare il vero se stesso


(Takenobu Mitsuyoshi, “Ai ga tarinaize”, 1995)

La storia di Virtua Fighter si dipana in due stagioni, di 24 e 11 episodi. La prima, più lunga e articolata, presenta i personaggi, il loro background, comincia a farli legare tra loro in vari modi e li mette in viaggio, fra mille avventure e peripezie che li opporranno non solo al Koenkan, l’organizzazione criminale fondata dal padre di Pai, ma anche a colei che, alleata del Koenkan, trama invece per i fatti suoi un oscuro progetto: la diabolica dottoressa Eva Durricks, scienziata che desidera creare un automa da combattimento perfetto capace di usare ogni arte marziale (Dural, il boss finale del videogioco, che difatti è un automa che copia le mosse di tutti gli altri personaggi). La seconda stagione, ambientata tre anni dopo, vede innanzitutto un cambio di character design: via gli armoniosi disegni di Ryo Tanaka, via i personaggi adolescenti dai tratti delicati, via le colorazioni accese e pastellose, i personaggi assumono tratti più duri e marcati, e anche i colori si fanno più tenui, più in linea con il tipo di colorazione usato dagli anime della seconda metà degli anni novanta. La seconda stagione oppone Akira e gli altri al malvagio ninja rosicone Onimaru e ad una misteriosa organizzazione dietro alla quale, ovviamente, si nasconde sempre lei, la perfida Eva, che non ha ancora rinunciato al suo sogno e torna a mettere i bastoni tra le ruote ai nostri eroi.
Più breve e meno gradevole alla vista per via del cambio di design, la seconda stagione pare aver riscosso meno successo (come dimostra il finale un po' aperto verso una nuova stagione che però non è mai stata fatta), ma in realtà è la più interessante, in quanto tira le fila dei rapporti tra i personaggi, mostrando la loro crescita e portando all’eccesso quella che è la filosofia stessa della serie, quella stessa frase che introduceva il primo episodio e che ci ha accompagnato lungo tutta la storia.

「人は我を侵さず、我もまた人を傷つけず…これぞ、我が武道の心得なり。だが、外道はその限りに非ず!
躾のなってねえ奴は俺が叩き直してやる!来い!」

“Evitare di restare feriti e di ferire gli altri: è questa ciò che io credo sia la quintessenza delle arti marziali.
Tu, che segui una dottrina eretica e manchi di disciplina, ti farò ritrovare la retta via a suon di pugni! Fatti sotto!”

(Episodio 1)

Virtua Fighter 2


Il nostro Akira è un personaggio tonto, mangione, privo di tatto, ma buono, gentile, dotato di una grandissima forza interiore che lo porta a fare amicizia con gente di tutto il mondo aldilà delle barriere linguistiche e a portare dalla sua parte anche quelli che inizialmente erano i suoi avversari: Akira comunica con le arti marziali, non per “ferire”, come recita il mitico tormentone da lui pronunciato in ogni episodio, ma per imparare, confrontarsi, crescere. La filosofia dell’autore Yu Suzuki vede le arti marziali non come strumento di affermazione della forza fisica, ma come mezzo di crescita personale, fisica e spirituale, attraverso il confronto con gli altri. Come in Shenmue (il gioco di avventura/arti marziali che Yu Suzuki svilupperà tra un Virtua Fighter e l’altro e che era stato pensato come suo ideale prequel), dove il protagonista Ryo Hazuki impara che le arti marziali non devono essere usate per perpetrare la vendetta e che bisogna dosare la propria forza, scegliere la mossa giusta, per ferire gli avversari il meno possibile, nell’anime di Virtua Fighter questo concetto cardine è espresso più volte, a chiare lettere, lungo tutta la serie, il cui tema portante diventa quindi “sono i legami che stringi con le persone a definire ciò che sei”.
Legami di amicizia, come quelli che portano Akira a incontrare tantissime persone intorno al mondo che lasceranno un segno profondo nel suo cuore, ma anche legami familiari, come quello tra Pai e il padre, da lei odiato perché ritenuto responsabile della morte della madre; la difficile situazione familiare di Lion, rampollo di una ricca casata che deve trovare la sua strada e si trova a dover prendere drastiche decisioni quando scopre che il padre è implicato in loschi affari; il dilemma di Jacky, costretto a combattere contro la propria sorella a cui è stato fatto il lavaggio del cervello; il dramma del ninja Onimaru, cresciuto nell’odio e nel rancore verso Kagemaru, che in realtà lo ha sempre considerato un amico fraterno.
E legami sentimentali, come la bellissima storia d’amore tra Akira e Pai, che, cosa rara in questo tipo di serie, prende il via nel primo episodio e si sviluppa in maniera costante e romantica lungo tutta la vicenda: un burrascoso primo incontro, una litigiosa amicizia, reincontri e separazioni, e in men che non si dica i nostri due personaggi si rendono conto di amarsi, di essere l’uno il sogno dell’altra, di sostenersi reciprocamente, capirsi, cercarsi e di essere uniti da un legame profondissimo anche quando la sceneggiatura o le rispettive scelte di vita li tengono lontani.

「なんかもう。。。知らない人みたいだ。。。
夢だったんだろう。。。映画。。。
夢だったんだろう。。。夢。。。夢。。。」

「夢は。。。私の夢は。。。夢は。。。アキラ~!!」

“E’ come se ormai tu fossi diventata un’altra persona…
Era il tuo sogno, no? Diventare un’attrice…
Era il tuo sogno, no? Il tuo sogno… il tuo sogno…”

“Sogno… il mio sogno… il mio sogno è… Akiraaa!”

(Episodio 30)

「あれは。。。俺の。。。俺が。。。パイと戦っている。。。
俺が。。。俺が。。。パイを殺すのか。。。
そんな。。。そんなこと。。。俺の。。。俺の求めていたものは。。。信じていたものは。。。」

“Ma quella… è la mia… io… sto combattendo contro Pai…
Io… io… sto uccidendo Pai?
E’ questo… è questo… quello di cui ero alla ricerca… quello in cui credevo…?”

(Episodio 35)

Virtua Fighter 3


L’ultimo episodio è la summa di tutto quanto. Tutta la filosofia di Yu Suzuki, tutto ciò che Virtua Fighter ha costruito sin dalla sua prima uscita in sala giochi è qui, concentrato in quel bellissimo minuto e mezzo, ovviamente (e non poteva essere altrimenti) scandito dalla versione strumentale di “Ai ga tarinaize”, che sancisce il climax dello scontro finale. Akira vs Dural (qui nella scintillante versione Dural Gold, basata sul “costume alternativo” del personaggio nel gioco): un automa che imbriglia in sé tutte le tecniche dei migliori combattenti del mondo, avendogliele rubate tramite esperimenti scientifici, e un ragazzo che imbriglia in sé tutte le tecniche dei migliori combattenti del mondo, perché li ha incontrati viaggiando, ha stretto legami con loro incrociando i pugni, e li porta con sé all’interno del proprio cuore.

「どういうこと?脳波が外れていく。。。なぜ?なぜ?あんなにボロボロなのに。。。」

「それは。。。晶が一人で戦っているのではないからだ。」

「なんですって?!」

「そうよ、エヴァ。あなたは勝てない。晶には私の。。。影丸の。。。サラの。。。ジャッキーの。。。リオンの。。。瞬老師の。。。お父さんの。。。うん。。。ここにはいなくジェフリーやウルフ、今まで晶と戦った。。。心を通わせた全ての人の思いが。。。晶の拳には託されているから。夢で人と結び合う心の虹を持っているから!」

「ああ。。。感じるぜ。。。みんなの思いを。。。とても暑い。。。みんなの魂を。。。
そんな熱い思いのね。。。ただの人形なんかに。。。俺は。。。俺は。。。俺たちは。。。絶対に負けねぇ~!!」

“Che succede? Le onde cerebrali si stanno separando… perché? Perché? Nonostante sia ridotto in quel modo…?”
“Perché… Akira non sta combattendo da solo!”
“Cosa?!”
“E’ così, Eva. Tu non puoi vincere. Perché dentro Akira ci sono io… c’è Kagemaru… Sarah… Jacky… Lion… il maestro Shun… mio padre… no, anche Jeffry e Wolf che adesso non sono qui… tutte le persone con cui Akira ha combattuto incrociando i pugni e aprendosi vicendevolmente il cuore… sono lì, racchiuse nel suo pugno. Perché lui ha nel suo cuore un arcobaleno fatto di sogni che lo unisce alle persone!”
“Sì… li sento… sento tutti i loro pensieri… sono così caldi… sento le loro anime… e questi sentimenti così caldi… io… io… noi… non ci faremo mai sconfiggere da una fredda macchina!”

(Episodio 35)

Virtua Fighter 4


“Un arcobaleno fatto di sogni che lo unisce alle persone” (夢で人と結び合う心の虹). In questa frase, pronunciata da Pai per descrivere Akira nell’ultimo episodio, è racchiuso tutto. E non è un caso che il nome stesso del nostro protagonista, Yuuki Akira (結城晶) contenga l’ideogramma 結, “unire”, “legare”, “connettere”, lo stesso ideogramma che compare nel termine 結び合 pronunciato da Pai nella suddetta frase, che indica un legame che ci unisce alle persone che abbiamo incontrato.
Akira è un eroe semplice, che deve moltissimo sia al Ryu di Street Fighter sia a Kinnikuman, Son Goku e ad altri personaggi “tonti ma buoni e forti” tipici degli anime per ragazzi. Ma è un eroe che ci ha dato molto, ricordandoci con le sue lotte l’importanza dei legami, degli amici che ci sorreggono quando abbiamo perso noi stessi. Un messaggio semplice, probabilmente un po’ scontato, che ci viene da quella che ovviamente è una serie commerciale atta a sponsorizzare un videogioco, ma in qualche modo noi che con Virtua Fighter siamo cresciuti ne siamo rimasti influenzati per tutta la vita e ancora a modo nostro continuiamo ad alzare gli occhi al cielo alla ricerca delle mitiche, scintillanti otto stelle e del nostro arcobaleno dei sogni, simbolo degli eroi che vorremmo diventare, da qualche parte in fondo al nostro cuore.
Virtua Fighter è una serie molto semplice, che non aggiunge nulla di nuovo a quello che era il panorama degli anime dell’epoca, anche perché arriva piuttosto tardiva e raccoglie l’eredità di molte altre opere simili precedenti, ma riguardandolo venticinque anni dopo si scopre ancora oggi una serie piena di sentimento, capace di lasciarci dei messaggi che sono un po’ spariti nelle produzioni odierne, dove le serie di arti marziali sono rare e, quando ci sono, il buon Akira sicuramente storcerebbe il naso nel vedere certi personaggi che se le danno di santa ragione, usando armi, veleni, scorrettezze e violenze assortite, solo per dimostrare la propria forza.


Virtua Fighter arriva in Italia nel 1997 tramite il circuito JTV e la serie in videocassetta pubblicata dalla Hobby & Work, e riesce a imporsi, grazie anche alla contemporanea presenza del videogioco nelle sale, sfruttando la popolarità del genere picchiaduro dell’epoca: la contemporanea trasmissione di Street Fighter II V (serie del 1995 tratta da Street Fighter e andata in onda sullo stesso circuito JTV), le continue repliche a nastro lungo tutto il biennio 1997/1998, le belle sigle realizzate traducendo (anche in maniera piuttosto fedele) i testi delle originali giapponesi (purtroppo solo la prima coppia, quindi “Ai ga tarinaize” noi l’abbiamo conosciuta solo in versione strumentale) hanno fatto il resto, regalando ad Akira e soci un breve ma intenso momento di notorietà e permettendogli di farsi amare da molti. La serie, arrivata in tv con qualche piccola censura e un adattamento ogni tanto zoppicante nei termini più tecnici delle arti marziali, ma anche un doppiaggio romano d'eccezione, ogni tanto viene replicata su qualche nuovo canale (ad esempio il satellitare Cultoon alla fine degli anni 2000), ma non esiste una versione home video in dvd e oggi a ricordarla sono soltanto coloro che hanno vissuto l’epopea dei picchiaduro anni novanta. Nell’ultimo decennio non sono più usciti giochi di Virtua Fighter quindi ce lo siamo un po’ dimenticato, ma il buon Akira è ancora lì, da qualche parte nel profondo del nostro cuore, nei sogni di un tempo che non abbiamo ancora abbandonato, in quelle stelle che rappresentano ciò che siamo e in quell’arcobaleno che in maniera insospettabile ci unisce a tutte le persone che fanno parte della nostra vita.