Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Misteriosa come la vita e le profondità del mare.
Quella che ci propone un placido ma consapevole Ayumu Watanabe è un'operazione estremamente ambiziosa, a cavallo tra un'audace espressione d'autore, un più che mai fedele ossequio all'estetica di Daisuke Igarashi e uno spiccato esempio di cinema nel suo significato più primordiale. Nondimeno è un'esperienza filmica che non riduce il suo destinatario a mero spettatore passivo, e che acquista ulteriore fascino (o pretenziosità, a seconda del punto di vista) proprio per via della voluta cripticità, ma che non per questo è restia ad accompagnarci nella ricerca di una nostra, personale comprensione. Di questi tempi ci siamo impigriti in modo preoccupante, adagiandoci alla comodità del tutto e subito a portata di mano. Rintanandoci nella nostra comfort zone di abitudinaria apatia, abbiamo quasi dimenticato quanto sia fortificante fermarci a riordinare, riformulare sensazioni e pensieri che non si circoscrivano alla transitoria fruizione di un prodotto narrativo, ma che ci accompagnino anche nel post-visione. I figli del mare, in quanto emissari di conoscenza (e coscienza), sembrano quasi accorrere a ricordarci, a tutti noi "Ruka" oltre la quarta parete, che abbiamo ancora un'innata capacità di meditare, e di capire.

L'impianto diegetico di "Kaijuu no Kodomo" suggerisce, anche in maniera inaspettatamente limpida se rapportata al suo ricchissimo apparato sottotestuale, una cospicua serie di rimandi ai temi affrontati, che andranno a ramificarsi e diversificarsi in base alla nostra soggettiva esperienza. Alcuni di essi potrebbero considerarsi più marcati rispetto ad altri, come quelli al panteismo naturalistico, alla teoria di Gaia, al darwinismo, alla memoria genetica, alla maternità; ma nulla ci vieterebbe di vederci, ad esempio, il racconto di formazione della ben tratteggiata protagonista, di trarne (anche se in misura minore a mio parere) spunti ecologisti, o semplicemente di assimilarlo, anima e corpo, come la viscerale, catartica esperienza sensoriale che la miracolosa realizzazione di Studio 4°C è stata in grado di garantirci.
Divagare in ulteriori celebrazioni di quest'ultima, oltre ad essere superfluo, sarebbe come fornire terreno (in)fertile a una erronea e largamente condivisa propensione, quella di dissociare la forma dal contenuto, relegando la prima ad orpello o a stratagemma distrattivo. Allora resterò breve e adotterò il modus valutativo più comunemente osservato: la pelle d'oca che ho provato lungo larghi tratti della pellicola (in particolare nel suo picco dagli echi kubrickiani) è un'attestazione di pura bellezza che vale più di mille parole, ergo giudicherò "Children of the Sea" in base a quanto mi ha emozionato. Che dire quindi, capolavoro?

Ah, un'altra cosa. Hisaishi-san, grazie di esistere.

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Dopo aver lavorato alla seconda, terza e quarta serie di “Sailor Moon”, il visionario regista Kunihiko Ikuhara si mette al timone di una nuova opera di cui cura anche il soggetto originale: nasce così “Shojo Kakumei Utena” (giunto in Italia con il titolo “La Rivoluzione di Utena”), anime di trentanove episodi realizzato nel 1997 dallo studio J.C. Staff. La serie fa parte di un progetto multimediale più ampio (composto anche da manga, videogiochi, film, musical) ideato dal gruppo Be Papas, di cui Ikuhara è un membro fondatore assieme alla mangaka Chiho Saito, lo sceneggiatore Yoji Enokido e l’animatore Shinya Hasegawa.

Protagonista della storia è Utena Tenjo, una ragazza che ama indossare la divisa maschile e che cerca di diventare come il principe che la aiutò quando era bambina e che le donò un anello con il simbolo di una rosa. Grazie a questo particolare cimelio, Utena ha diritto a sfidare i duellanti facenti parte del Consiglio Studentesco e poter vincere così la Sposa della Rosa, una studentessa sua coetanea di nome Anthy Himemiya.

Avendo apprezzato i lavori successivi del regista, ovvero “Mawaru Penguindrum” e “Yuri Kuma Arashi”, ho deciso finalmente di recuperare l’opera prima del maestro: come volevasi dimostrare, “La Rivoluzione di Utena” si è confermata un capolavoro unico e sorprendente, di quelli che solo un genio come Ikuhara è in grado di regalarci.
Uno degli aspetti che più ho apprezzato dell’anime è sicuramente l’uso di simboli e metafore - ora più criptici, ora più facilmente interpretabili - a cui lo spettatore può fornire la spiegazione che desidera. Tra rose che ruotano sullo schermo, castelli rovesciati, macchine roboanti e spade estratte dal cuore del proprio partner, uno dei punti forti di Ikuhara è certamente quello di non voler servire al suo pubblico “la pappa pronta”, ma spingerlo a pensare e riflettere. Ma l’anime non è solo una sequela di allegorie e cripticità varie: “Utena” vuole raccontare una storia e, soprattutto, soffermarsi su tematiche importanti. Anche a questo giro, il messaggio da estrapolare varierà a discrezione dello spettatore. Io, come tanti altri, vedo l’opera come una fiaba post-moderna in cui i ruoli sono stati completamente ridisegnati: il principe, simbolo dei puri ideali, ha perso la sua luce da tempo ed è ora diventato l’antagonista della storia; la principessa, eterna fanciulla da salvare, estrae la sua spada e cerca di diventare principe lei stessa (come non vederci un tentativo di emancipazione della donna?); infine la strega, da sempre bistrattata e portatrice di tutto l’odio del mondo, si erge a principessa in cerca di salvezza. Come se questo non fosse già abbastanza, “La rivoluzione di Utena” tratta anche temi quali la ricerca e poi la perdita delle illusioni giovanili, nonché il cambiamento, o meglio la rivoluzione, che solo un adolescente può attuare “spezzando il guscio del mondo” (rappresentato dalla rigida accademia in cui i personaggi sono rinchiusi per tutta la durata dell’anime).

Il tocco di Ikuhara, oltre che nell’uso di metafore, si riconosce anche nella strutturazione della serie: l’anime è infatti costituito da saghe in cui le stesse situazioni si ripetono schematicamente una dopo l’altra; la ripetitività si condensa anche nel riciclo di alcune scene chiave, uno dei marchi di fabbrica del regista, che tuttavia non stancherebbero mai per la loro bellezza visiva e sonora (se questo è un modo di sopperire alla mancanza di risorse monetarie, allora chapeau). Non mancano, inoltre, i consueti episodi riassuntivi - che io sopporto un poco meno - e le puntate all’insegna del nonsense più spassoso possibile - che invece adoro, dato che spesso nascondono messaggi di fondo.

Quanto al comparto visivo, la serie può fregiarsi di un character design abbastanza particolare, con personaggi dai corpi estremamente longilinei e slanciati, maniche corte vaporose a fare da contrasto e alcuni tratti che ricordano il design tipico degli shoujo (e non poteva essere altrimenti, essendone questo una decostruzione vera e propria). La qualità di disegni e animazioni, dal canto suo, vacilla alla prime battute per poi migliorare notevolmente nel corso della serie. Altro aspetto che personalmente ho adorato sono i colori brillantissimi utilizzati per i capelli: stupendo il rosa di Utena, nonché l’azzurro di Miki o il rosso di Touga, che creano un bell’effetto soprattutto se accostati alle divise che indossano. Da lodare, infine, gli sfondi ricchi di rose in cui le ombre sono spesso ricreate da un meraviglioso tratto a matita.
Anche il sonoro non fa certo una brutta figura: il suono delle campane scandirà ogni duello intrapreso dalla nostra protagonista, mentre le musiche composte da Shinkichi Mitsumune e J.A. Seazer rimarranno impresse per la loro maestosità (anche io mi aggiungo al coro che elogia “Zettai Unmei Mokushiroku”). La sigla “Rinbu Revolution”, cantata da Masami Okui, crea assieme alle immagini a cui è associata un mix incalzante che è difficile ‘skippare’ (io non l’ho mai fatto, e dire che sono trentanove episodi).

In conclusione, considero “La Rivoluzione di Utena” il miglior anime finora diretto da Kunihiko Ikuhara e una delle miglior opere di animazione giapponese. Consigliato se cercate una serie che vi impegni e vi dia qualche spunto per riflettere. Voto: 10.

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"5 cm per second" di Makoto Shinkai è un film di animazione del 2007 suddiviso in tre episodi, i quali compongono una pellicola di un'ora pregna di una poeticità forzata e per lunghi tratti poco comunicativa. Il film parte piuttosto bene, e se la voce narrante inizialmente coinvolge, ci accorgeremo presto di come l'uso spropositato del voice-over possa appesantire oltremodo una sceneggiatura leggera e spesso minimale, inficiando alcuni buoni spunti del regista. La storyline, tra flashback buttati un po' a caso e continui salti temporali, talvolta risulta difficile da seguire e, seppur priva di qualsivoglia intreccio narrativo, lascerà spesso lo spettatore confuso. I personaggi risultano abbastanza piatti e stereotipati, e i due protagonisti Takaki e Akari morbosamente dolci e melanconici, tanto da diventare quasi fastidiosi.
Tuttavia, "5 cm per second" in un modo o nell'altro riesce ad emozionare, e durante la visione verrete travolti dai ricordi: il primo amore, quello delle lettere e delle notti insonni, di un inverno che incombe e di un bacio caldo sotto i fiocchi di neve, quell'amore sbocciato come i fiori di un ciliegio.

La CG fa la sua figura, i fondali soprattutto risultano credibili ed evocativi, donandoci un impatto visivo complessivamente ottimo, che la regia di Shinkai sa avvalorare. Il risultato è un susseguirsi di suggestivi e malinconici fotogrammi, quasi poetici, che riescono da soli a mandar avanti la pellicola. Detto questo, però, il regista secondo me non è ancora così trasversale da riuscire nell'impresa di ricoprire da solo tutte le mansioni che un buon lungometraggio d'animazione necessita, e assegnare la stesura della sceneggiatura a uno scrittore più esperto di lui, ad esempio, avrebbe sicuramente giovato al ritmo della storia. Invece, ancora una volta, si carica da solo di tutto il lavoro, confezionando un prodotto incompleto sotto troppi aspetti.

"5 cm per second" è un film ricco di buone idee, soffocate però da un ritmo narrativo blando e scostante. Un'opera dolce sull'amore a distanza e sullo scorrere inesorabile del tempo, che ahimè, visti i problemi sopraelencati, non riesce più di tanto a distinguersi dal vasto filone a cui appartiene. Un film delicato e mellifluo, che, complice anche una drammaticità forzata, non emoziona quanto il regista avrebbe voluto.
Voto: 6,5