Animeclick.it è lieta di continuare la collaborazione che unisce cibo e anime/manga!
Eccoci di nuovo con la food blogger Laura che ci parlerà di alcuni aspetti della cultura giapponese strettamente legati alla cucina e di come riproporre sulla nostra tavola piatti visti in anime e manga!
 
Laura nasce nel 1984, cresce con Occhi di Gatto, Prendi il mondo e vai, Hilary, È quasi magia Johnny e Il Mistero della Pietra Azzurra. Poi si innamora di Sailor Moon e a 11 anni acquista il suo primo manga. Nel 2016 visita il Giappone dove torna anche nel 2017 e nel 2019; rimane così impressionata dai loro cafè da desiderare che esistessero anche in Italia.
Da questa idea nasce il suo sito Dolce Salato in Forno che unisce le sue due passioni, i manga e la cucina, con l’obiettivo di portare l’atmosfera dei cafè giapponesi a casa propria. Potete seguirla su Facebook, Instagram, YouTube e TikTok sempre come dolcesalatoinforno e sul suo sito: DolceSalatoInForno.

NdR: questo articolo è stato scritto a quattro mani, da Laura in collaborazione con l'AIS (Associazione Italiana Shogi)


In “Un Marzo da Leoni” di Chika Umino, shogi e vita quotidiana si alternano, facendoci “respirare” la tradizione giapponese. Sfogliando le pagine, osserviamo con meraviglia il susseguirsi della vita in Giappone, con i suoi ritmi e usanze. Siamo con i personaggi durante il rito dell’obon, ad accendere incenso e a preparare melanzane e cetrioli come cavalcature per il ritorno degli antenati, ascoltiamo i rintocchi delle campane di Capodanno sotto al kotatsu, festeggiamo la giornata delle bambine insieme a nonno Someji Kawamoto, intento a preparare wagashi al Mikazuki-dō, il suo negozio di pasticceria tradizionale.
Protagonista della storia è Rei Kiriyama, un adolescente prodigio diventato shogista professionista già quando era alle medie.
 

Ma cos’è esattamente lo shogi? Lo “Shogi” (将棋), o “Gioco dei Generali”, è un gioco da tavolo giapponese che intrattiene con gli “Scacchi” occidentali una relazione di stretta parentela. Entrambi i giochi infatti derivano dal più antico “Chaturanga” indiano, gioco con tavoliere e pezzi di vario tipo, ciascuno dei quali caratterizzato da proprie possibilità di movimento.
La struttura base di questo gioco diffondendosi nel mondo occidentale e orientale ha dato luogo a diverse varianti del Chaturanga che, risentendo di contesti storici distinti e di costumi e modi di pensare anche estremamente differenti, hanno finito con l’essere codificate in giochi indipendenti che, in qualche modo, rispecchiano le culture e le tradizioni in cui si sono sviluppati.
 

Nello Shogi, a differenza degli scacchi occidentali, non disponiamo di sei tipi di pezzi, bensì otto: abbiamo il Generale Reale (Ōshō) e il Generale di giada (Gyokushō), che sono i corrispettivi del Re (bianco o nero) negli Scacchi; il Generale d’oro (Kinshō), il Generale d'argento (Ginshō); il Cavallo (Keima); la Lancia (Kyōsha); l’Alfiere (Kakugyō); la Torre (Hisha), e il Pedone (Fuhyō). Inoltre lo shogi-ban (la scacchiera) è costituito da un quadrato 9x9 (laddove la scacchiera degli scacchi occidentali è un quadrato 8x8).
Questa iniziale disparità di componentistica ha un immediato risvolto a livello di profondità di gioco: negli Scacchi abbiamo 10 elevato a 120 possibili stati di gioco mentre nello Shogi ve ne sono 10 elevato a 220. In modo ancor più accentuato rispetto agli scacchi, lo Shogi è un gioco in cui ciò che più conta non è tanto il vedere ciò che di fatto è, ma il vedere il possibile, contemplare lo sterminato mare di possibilità di sviluppo che caratterizza ogni singola posizione.
 

Sia nello Shogi che negli Scacchi si “catturano” pezzi dell'avversario. Ma anche qui, quello che sembrerebbe essere un elemento di comunanza si rivela, ad uno sguardo profondo, un elemento di profonda discrepanza. Se negli Scacchi la cattura del pezzo avversario trascrive l’irreversibilità del senso della morte in una battaglia, nello Shogi la cattura rivela un significato ben diverso. Le pedine catturate all'avversario possono infatti essere rigiocate sotto il proprio comando: una apposita regola, quella del “paracadutaggio”, consente a ciascun giocatore di rimettere in gioco in un qualsiasi momento della partita una pedina sottratta in precedenza all’avversario, rendendo ogni fase del gioco molto delicata e i problemi di scacco matto intriganti. Il pezzo catturato, cioè, non è stato “ucciso”, ma si è assoggettato ad un nuovo padrone.
Nello Shogi, ciò simboleggia la fragilità e temporaneità dei rapporti di alleanza durante il cruento e spietato Sengoku jidai, il turbolento periodo d'incubazione dell’unità del Giappone, in cui peraltro si narra che tale regola sia stata codificata definitivamente.
 

Vale la pena un inciso storico.
Si pensi che il fenomeno del repentino cambio di schieramento permeava a tal punto l’ambiente militare dell’epoca che persino una delle battaglie più decisive della storia del Giappone, quella di Sekigahara, è stata vinta grazie al cambio di schieramento delle truppe coinvolte. La battaglia vedeva coinvolte le truppe di Ieyasu Tokugawa (futuro primo shogun del giappone unito) e quelle di Ishida Mitsunari, fedele al clan Toyotomi. All’alba dello scontro Ishida poteva contare sull’alleanza delle truppe dei Mōri e di quelle di Ogawa Suketada, di Akaza Naoyasu, di Kutsuki Mototsuna e di Wakizaka Yasuharu.
Tuttavia, nel momento in cui Ishida dette ordine di attacco alle unità capeggiate Kobayakawa Hideaki e a quelle dei Mōri, notò qualcosa di strano: le unità non si mossero dalle loro posizioni. Per spronare Kobayakawa e i Mōri all’attacco, dunque, diede ordine ai suoi archibugieri di sparare nella loro direzione; al che tali unità si mossero ma attaccarono le truppe di Ishida, manifestando il proprio tradimento e determinando un vantaggio numerico decisivo a favore del clan Tokugawa. In questo modo iniziò il periodo Edo.
 

Nello Shogi, inoltre, ogni pezzo, anche quello apparentemente meno forte, se riesce a penetrare la difesa avversaria e ad arrivare nelle ultime tre file della scacchiera si può promuovere per diventare molto più forte di prima, ossia acquisendo nuove modalità di movimento.
Un altro aspetto che contribuisce a caratterizzare lo Shogi rendendolo un gioco particolarmente consigliato ai cultori della lingua e della cultura giapponese è rappresentato dai variegati e stravaganti nomi che assumono i castelli o le formazioni d'attacco, come per esempio "Yagura" (apertura della Fortezza), "Aigakari" (apertura delle due ali), “Bogin” (“Gin”, ossia argento, che si arrampica lungo un “Bo”, ossia un ideale bastone), “Ishida ryu” (lo stile Ishida – si narra Ishida fosse un funzionario del periodo Edo che, nonostante la sua cecità, riuscì a mettere a punto una apertura rimasta alla storia e ancora oggi usata e studiata) o "Mino" (castello della “cappa di paglia”).
 

Spesso accade che negli anime vediamo i nostri amati protagonisti fare cose esilaranti che vorremmo emulare, ma per un motivo o per un altro ciò non ci è possibile.
Non temete tuttavia: non è questo il caso per "Un marzo da leoni"! Grazie a questo articolo potrete infatti sia godervi le sfiziose ricette preparate dalle sorelle Akari e Hina, sia provare sulla vostra pelle le emozioni che Rei prova nell’affrontare le sue sfide, combattendo sullo shogiban le sue paure e le sue insicurezze.
La domanda quindi è: dove poter giocare in Italia a Shogi?
 

Lo Shogi in Italia è stato portato e diffuso dall’Associazione Italiana Shogi (AIS) nel lontano 1999. Prima di tale data non esisteva in Italia un movimento ufficiale, coordinato e continuo, dedicato al gioco. I pochi giocatori che si dedicavano allo Shogi prima della nascita dell’AIS orbitavano principalmente intorno all’AISE, Associazione Italiana Scacchi Eterodossi, organizzazione dedicata alle varianti scacchistiche e alle versioni tradizionali della stessa matrice. Nel giugno del 1999 Marco Durante, ricercatore italiano che collaborava al tempo con istituzioni in USA e in Giappone, partecipò a Tokyo al 1° International Shogi Forum. Lì i rappresentanti giapponesi stimolarono Durante a far nascere in Italia un’associazione dedicata a quel gioco. Tornato in patria Durante, con decisione e guidato dalla passione per lo shogi, si mosse contattando circoli scacchistici, goistici e ludici, nella speranza di radunare eventuali giocatori interessati allo shogi. In quel periodo prese contatti anche con la FESA, l’organismo europeo dedicato allo Shogi e finalmente, nel dicembre del ‘99 in un articolo intitolato “Breve storia dello Shogi”, pubblicato sulla rivista dell’AISE, annunciò la nascita dell’AIS e il 1° Campionato Italiano di Shogi, che si sarebbe svolto durante la manifestazione “Giochi Sforzeschi” a Milano nel dicembre ’99. Ebbe così luogo la prima edizione del più importante torneo italiano di Shogi a tavolino, nella prestigiosa Sala degli Arazzi del Castello Sforzesco.
 

L’Associazione Italiana Shogi anche quest'anno svolgerà il suo campionato italiano le cui iscrizioni sono già aperte (per maggiori informazioni cliccare qui). Giunto alla sua diciannovesima edizione, l'evento si terrà a Milano il 6-7 maggio 2023 e, per quanti fossero incuriositi da questo gioco, rappresenta un'ottima occasione per conoscere gli shogisti italiani e stranieri che gravitano attorno all’AIS, oltre che costituire una perfetta opportunità per provare a muovere i primi passi lungo la via dello shogi. Insomma, un’occasione imperdibile per scoprire come tale gioco racchiuda in sé disciplina, arte, cultura e divertimento. Ricordiamo anche che quanti durante il Campionato daranno prova di abilità nel gioco potranno anche essere eventualmente scelti per rappresentare l’Italia nella squadra nazionale italiana di shogi.

Per chi invece preferisse un approccio telematico a questo gioco, c'è sempre la possibilità di visitare il sito dell’Associazione Italiana Shogi per ritrovare diverse risorse per muovere i primi passi in questo gioco o entrare nel gruppo Telegram dell'associazione per organizzare partite o lezioni online su piattaforme come 81dojo o lishogi.

Nell’opera, all’ambiente austero e spietato dello shogi professionistico dove si insegue la vittoria fino allo stremo delle proprie forze mentali e fisiche, si contrappone e bilancia il calore di casa Kawamoto.
La piccola e vecchia casa delle ragazze e la loro cucina piena di premura, arriva al cuore non solo del protagonista, ma anche al nostro, avvolgendolo completamente e facendoci sentire a nostro agio.
Osservando le tavole, non possiamo che leccarci i baffi di fronte ai manicaretti sempre diversi che Akari, la maggiore delle sorelle Kawamoto, porta in tavola, tanto da farci stupire della vastità e complessità della cucina in Giappone. Contrariamente a quanto possiamo pensare, la cucina nipponica comprende non solo piatti giapponesi, ma ha anche contaminazioni cinesi e occidentali.
 

È un tipo di cucina che può essere anche molto elaborata, sia dal punto di vista delle preparazioni che per l’attenzione rivolta all’aspetto estetico, come vediamo quando Hinata, la seconda delle sorelle Kawamoto, desidera preparare un bento “kawaii” e “flash” per Takahashi, il ragazzo di cui è innamorata.
Inoltre è caratterizzata da un’ampia varietà di ingredienti, poiché si presta molta attenzione anche all’equilibrio nutrizionale, esattamente come fa il maggiordomo Hanaoka preparando i pasti per Harunobu Nikaido.
 

La storia della cucina giapponese nasce nell’epoca Jomon con la creazione della ceramica. Grazie a questa invenzione, la popolazione di questo periodo fu in grado di stufare e bollire, mentre prima si limitava a grigliare, affumicare o essiccare al sole.
Intorno al tardo periodo Jomon (1000 - 600 a.C.), le persone che migrarono nel corso inferiore del fiume Yangtze in Cina fino alle zone che sono le odierne prefetture di Fukuoka e Saga, iniziarono a coltivare il riso. Questo alimento diventò la pietanza base nel periodo Yayoi (400 a.C.) e, sempre in quest’epoca, nacque l’idea di servire un “contorno al riso”, così venne accompagnato da pesce, selvaggina, crostacei, funghi e verdure selvatiche.
 

Nel periodo Asuka (675) il buddismo mise radici in Giappone insieme al rispetto per le creature viventi, e l’imperatore Tenmu promulgò un decreto con il divieto di mangiare carne. Questo evento innescò la formazione di una cultura alimentare unica al mondo, con effetti benefici per la salute e longevità che continuano ancora oggi. I piatti nati da questa ricerca nel sopperire la mancanza di carne diedero successivamente vita alla cucina buddista, honzen e kaiseki.
Nel periodo Meiji (1800) con l’abolizione del sakoku, l’isolamento del Paese, venne meno anche il divieto di consumare carne. Con l’apertura delle frontiere anche pietanze straniere sbarcarono nella terra del Sol Levante, ma i giapponesi non si limitarono ad importare la cucina occidentale, ma seppero trasformarla facendola propria. Così la cucina giapponese si divise in due, la cucina tradizionale, Washoku, e la cucina giapponese occidentale, Yoshoku.
I piatti risultato di queste contaminazioni vengono preparati anche oggi, basti pensare al riso al curry (kare raisu), piatto indiano arrivato attraverso la Gran Bretagna, le crocchette (korokke) importate dalla Francia o l’hamburger (hambagu), piatto nato prendendo come ispirazione la “bistecca alla maniera di Amburgo”.
 

Vediamo di seguito alcuni piatti della cucina giapponese proposti nel manga di “Un Marzo da Leoni”:

Riso al curry: piatto molto popolare in Giappone, viene cucinato spesso anche in casa. Viene preparato con patate, carote, cipolla e, a meno che non sia solo vegetariano, anche carne (di maiale, manzo o pollo) o pesce (di solito gamberi o calamari). A questi ingredienti viene aggiunta una tavoletta di curry, simile al nostro dado, che viene disciolta in acqua o brodo bollente.
Insalata di patate: nata dall’insalata Olivier, quella che noi chiamiamo insalata russa, l’insalata di patate (potesara) è un contorno molto amato dai giapponesi. Si prepara in modo facile e veloce con patate schiacciate, cetrioli, mais, carote e prosciutto cotto, conditi con maionese e aceto di riso. Akari la condisce con uova sode e pomodori freschi
 

Karaage: pollo fritto giapponese. Si marinano le cosce di pollo disossate, ma con la pelle, nella salsa di soia, zenzero, aglio e saké per qualche ora. A questo punto, si unisce un uovo (è un passaggio facoltativo, ma se lo si aggiunge viene più buono). Si cospargono poi di amido di mais e farina e si friggono. Diventano croccanti ma succose!
Zuppa di miso: piatto di accompagnamento molto popolare, preparato con miso, hondashi, tofu, cipollotto e alga wakame.
Osechi: è il piatto beneaugurante di Capodanno. È composto da tante piccole porzioni di varie pietanze, ognuna con un diverso significato.
Inarizushi: detto anche oinari-san. Viene preparato facendo bollire l’abuurage (tofu fritto) e farcendolo di riso per sushi.
Somen: spaghetti di frumento conditi con il mentsuyu (salsa di soia, mirin e hondashi). Solitamente si consumano freddi, per cui sono molto popolari d’estate.
Stufato bianco cremoso: preparato con carne, carote, patate, broccoli, funghi e besciamella, che gli conferisce il caratteristico colore bianco.
Onigiri: una polpetta di riso di forma triangolare (anche se Hina ne prepara uno gigante che sembra un pallone da calcio!) ripiena con il condimento che si desidera (di solito tonno o salmone e condita con sesamo, umeboshi o maionese). Su un lato viene messa dell’alga nori, in modo da poter essere preso in mano comodamente.

Nel primo numero del manga, veniamo invitati a cena a casa Kawamoto, dove ci attende un semplice e confortevole curry di maiale. Il curry è uno dei piatti forti di Akari, tanto da essere riproposto nel capitolo 14 del volume 2, quando Takahashi viene invitato a cena a casa Kawamoto per poter parlare a Rei. Per Hina il curry è un piatto banale e teme di fare brutta figura, così Akari le propone di aggiungere del karaage (pollo fritto) e un uovo in camicia come topping, per avere un piatto super buono!
Prepariamo insieme il curry special di Akari!

Ingredienti per 2 persone.

Per il curry di maiale:
300 gr. di patate rosse
150 gr. di carote
200 gr. di lombo di maiale
1 cipolla
1 cucchiaino di zenzero grattugiato
1 cucchiaino di aglio grattugiato
100 gr. di curry in tavoletta
500 ml. di acqua
1 cucchiaio di salsa di soia
olio di semi
 

Sbucciate e tagliate le patate in pezzi di circa 4cm. Mettetele in ammollo in acqua fredda per circa 15 minuti, dopodiché scolatele.
Tagliate le carote a rangiri (circa di 45 gradi).
Versate un cucchiaio di olio in una pentola e aggiungete la cipolla tagliata a fette grosse. Soffriggete per 5 minuti, dopodiché aggiungete aglio e zenzero. Lasciate soffriggere finché la cipolla non diventa morbida e traslucida.
Aggiungete poi la carne di maiale tagliata a cubetti e cuocete per qualche minuto.
Unite patate, carote e l’acqua. Chiudete la pentola con un coperchio e lasciate cuocere 15 minuti.
Aprite poi il coperchio e rimuovete la schiuma dalla superficie.
Aggiungete la tavoletta di curry spezzettata, 1 cucchiaio di salsa di soia e cuocete per altri 10 minuti, mescolando di tanto in tanto.

Per l’uovo in camicia:
2 uova
1 cucchiaio di aceto
Portate ad ebollizione una pentola d’acqua e aggiungete un cucchiaio di aceto. Utilizzando delle bacchette, create un vortice nell’acqua. Versate l’uovo al centro del vortice e cuocete per 3 minuti. Recuperate l’uovo con un cucchiaio.
Cuocete un uovo per volta!

Per il karaage:
300 gr. di cosce di pollo disossate con pelle
½ cucchiaino di aglio grattugiato
½ cucchiaino di zenzero grattugiato
1 cucchiaio di sakè
1 cucchiaio di salsa di soia
½ uovo
2 cucchiai di amido di mais
2 cucchiai di farina
In una ciotola versate, aglio, zenzero, sakè e salsa di soia e mettete a marinare il pollo tagliato a pezzi (circa 3cm) per circa 30 minuti.
Aggiungete l’uovo e fate marinare per altri 30 minuti.
Cospargete il pollo di amido e farina e friggete a 170°C finché non diventa dorato. Scolate, lasciate riposare per circa 3 minuti e rifriggete a 190°C per altri 2 minuti e scolate.

Servite il curry accompagnato con del riso bianco, il karaage e l’uovo in camicia come topping!