Recensione
WorldEnd
7.5/10
"Quando si perde tutto si impara a dare valore a ciò che resta."
"Shuumatsu Nani Shitemasu ka? Isogashii desu ka? Sukutte Moratte Ii desu ka?" (rid. "Sukasuka" o "Worldend" e traducibile come "Alla fine del mondo, cosa stai facendo? Sei occupato? Posso chiederti di salvarmi?" è un'opera che "prima facie" mi ha lasciato molto moderatamente entusiasta durante la visione ad eccezione di due particolari momenti molto potenti come l'incipit anticipatorio del primo episodio e i 2 episodi finali dove la matassa viene sbrogliata con l'epilogo che si ricollega a modo di loop alle scene iniziali.
A mente fredda e valutando l'opera al di là delle apparenze non esaltanti, "Sukasuka" mi ha ricordato "Puella Magi - Magica Madoka" e la sua decostruzione del genere maho shoujo, sebbene "Sukasuka" se ne differenzi per una visione completamente diversa dell'esistenza e del ruolo delle fatine/maghette.
"Sukasuka", sotto l’apparente e ingannatoria veste fantasy/fiaba post apocalittico, si rivela come una meditazione sull’identità, sull'esistenza e sull’amore, che più che essere romantico, è da intendersi come consapevole senso del sacrificio (definibile come agapico).
In breve: in una realtà dove l'umanità si è estinta da cinque secoli, sono sopravvissuti degli esseri antropomorfi che vivono sospesi nel cielo su isole di terra fluttuanti. Il protagonista maschile dell'opera è Willem, l’ultimo umano sopravvissuto alla terribile guerra tra umanità e dei misteriosi esseri mostruosi essendo rimasto in una sorta di conservazione forzata da quando l'umanità si è estinta. Willem si ritrova a riprendere a vivere in una realtà del tutto sconosciuta e nuova e si ritrova a diventare un soldato/ufficiale guardiano di un manipolo di bambine e ragazzine, che ben presto scopre essere delle vere e proprie soldatesse, uniche tra i sopravvissuti ad essere capaci di affrontare gli esseri che hanno distrutto l'umanità e che pertanto rappresentano il nemico.
In sostanza sono “fate”, bambine/ragazzine guerriere create per combattere con armi magiche che consumano la loro esistenza.
In questo contesto, la trama sarebbe quasi banale nella sua semplicità e per come è rappresentata: non nascondo che la serie ha più volte messo alla prova la pazienza dilungandosi in scene slice of life piuttosto puerili che tuttavia hanno un certo valore simbolico e metaforico come riflessione universale piuttosto amara sull'esistenza umana e sull'identità in generale.
Willem, l'ultimo umano su una Terra irriconoscibile ai suoi occhi, è un personaggio che ha perso tutto, soprattutto la sua amata famiglia: diventando il custode delle fate bambine, ri-emerge progressivamente quell'affetto del passato verso queste creature dal destino tragico già segnato, facendo recuperare quell'umanità ormai sopita e sepolta dal dolore e dalla guerra. Un amore che solo un umano sa donare a esseri che sacrificano la loro esistenza per un bene superiore che nemmeno comprendono.
Le fate, dopo la solita diffidenza iniziale, iniziano, anche grazie all'affetto che Willem dimostra indistintamente loro, a lottare per affermare la propria esistenza al di là del ruolo imposto e che eseguono non senza sofferenze e patimenti. Come bambine destinate al macello, il loro desiderio di vivere, amare e ricordare è un atto di ribellione contro l’oblio della memoria cui sono destinate e Chtholly, la fata che nel corso della serie si dimostrerà più vicino a Willem, sembra aver ben compreso la forza dell'amore nonostante la consapevolezza del suo destino.
"Chi siamo, se non possiamo scegliere il nostro destino?"
L’identità, in questo contesto di guerra, è una chimera: Willem non è più ciò che era, il "suo" mondo non esiste più come le persone cui era affezionato che non è riuscito a proteggere; le fate non sono mai riuscite ad essere ciò che avrebbero potuto essere perché sono dei meri strumenti.
Tuttavia aspirano all’essere nel suo significato più ampio, che si realizza solo nel momento in cui smettono di essere “armi” e iniziano a vivere esperienze, emozioni, relazioni, come la protagonista Chtholly che nonostante la sua perdita progressiva di memoria inizia a diventare più adulta e matura per il suo forte desiderio di essere riconosciuta come persona attraverso i sentimenti che prova per Willem.
Il loro rapporto evolve e matura verso la fine della serie: alla fine è delicato, tragico e profondamente umano. Siamo abbastanza lontani dagli amori adolescenziali tipici degli anime rom-com scolastici nonostante le apparenze di sceneggiatura e di rappresentazione registica, perché alla fine diventa un legame che nasce dalla condivisione del dolore e dalla volontà di proteggere ciò che resta. Una sorta di affetto come ribellione al loro destino che lo valorizza e rende "eterno".
Ooops, temo di essermi fatto prendere la mano su alcuni temi di questa serie che mi hanno portato a riflettere. Credo che esista anche un simbolismo del cambiamento del colore dei capelli di Chtholly verso la fine della serie ma non vorrei tediare ulteriormente il lettore con considerazioni che alla fine poco aggiungono al mio giudizio su questa serie che ha nella incompiutezza (intuibile dal finale) il suo principale difetto, oltre ad un comparto grafico non di prim'ordine (soprattutto il character design) e ad una fase centrale della serie molto slice of life che potrebbe annoiare nella sua lentezza e ingenuità di fondo.
Lato musicale, chi mi ha preceduto nella recensione ha già individuato il punto di forza in “Farborough Fair” che apre e chiude la serie facendo intuire con il suo testo e melodia quale tipo di finale si sarebbe realizzato.
"Sukasuka" si dimostra un’opera che non cerca di stupire con colpi di scena, effetti speciali, forzature e polarizzazioni eccessive dei personaggi, ma di far apprezzare anche attraverso la bellezza di un singolo gesto, il valore di questo e di come, a volte, quel poco possa essere tutto.
"Shuumatsu Nani Shitemasu ka? Isogashii desu ka? Sukutte Moratte Ii desu ka?" (rid. "Sukasuka" o "Worldend" e traducibile come "Alla fine del mondo, cosa stai facendo? Sei occupato? Posso chiederti di salvarmi?" è un'opera che "prima facie" mi ha lasciato molto moderatamente entusiasta durante la visione ad eccezione di due particolari momenti molto potenti come l'incipit anticipatorio del primo episodio e i 2 episodi finali dove la matassa viene sbrogliata con l'epilogo che si ricollega a modo di loop alle scene iniziali.
A mente fredda e valutando l'opera al di là delle apparenze non esaltanti, "Sukasuka" mi ha ricordato "Puella Magi - Magica Madoka" e la sua decostruzione del genere maho shoujo, sebbene "Sukasuka" se ne differenzi per una visione completamente diversa dell'esistenza e del ruolo delle fatine/maghette.
"Sukasuka", sotto l’apparente e ingannatoria veste fantasy/fiaba post apocalittico, si rivela come una meditazione sull’identità, sull'esistenza e sull’amore, che più che essere romantico, è da intendersi come consapevole senso del sacrificio (definibile come agapico).
In breve: in una realtà dove l'umanità si è estinta da cinque secoli, sono sopravvissuti degli esseri antropomorfi che vivono sospesi nel cielo su isole di terra fluttuanti. Il protagonista maschile dell'opera è Willem, l’ultimo umano sopravvissuto alla terribile guerra tra umanità e dei misteriosi esseri mostruosi essendo rimasto in una sorta di conservazione forzata da quando l'umanità si è estinta. Willem si ritrova a riprendere a vivere in una realtà del tutto sconosciuta e nuova e si ritrova a diventare un soldato/ufficiale guardiano di un manipolo di bambine e ragazzine, che ben presto scopre essere delle vere e proprie soldatesse, uniche tra i sopravvissuti ad essere capaci di affrontare gli esseri che hanno distrutto l'umanità e che pertanto rappresentano il nemico.
In sostanza sono “fate”, bambine/ragazzine guerriere create per combattere con armi magiche che consumano la loro esistenza.
In questo contesto, la trama sarebbe quasi banale nella sua semplicità e per come è rappresentata: non nascondo che la serie ha più volte messo alla prova la pazienza dilungandosi in scene slice of life piuttosto puerili che tuttavia hanno un certo valore simbolico e metaforico come riflessione universale piuttosto amara sull'esistenza umana e sull'identità in generale.
Willem, l'ultimo umano su una Terra irriconoscibile ai suoi occhi, è un personaggio che ha perso tutto, soprattutto la sua amata famiglia: diventando il custode delle fate bambine, ri-emerge progressivamente quell'affetto del passato verso queste creature dal destino tragico già segnato, facendo recuperare quell'umanità ormai sopita e sepolta dal dolore e dalla guerra. Un amore che solo un umano sa donare a esseri che sacrificano la loro esistenza per un bene superiore che nemmeno comprendono.
Le fate, dopo la solita diffidenza iniziale, iniziano, anche grazie all'affetto che Willem dimostra indistintamente loro, a lottare per affermare la propria esistenza al di là del ruolo imposto e che eseguono non senza sofferenze e patimenti. Come bambine destinate al macello, il loro desiderio di vivere, amare e ricordare è un atto di ribellione contro l’oblio della memoria cui sono destinate e Chtholly, la fata che nel corso della serie si dimostrerà più vicino a Willem, sembra aver ben compreso la forza dell'amore nonostante la consapevolezza del suo destino.
"Chi siamo, se non possiamo scegliere il nostro destino?"
L’identità, in questo contesto di guerra, è una chimera: Willem non è più ciò che era, il "suo" mondo non esiste più come le persone cui era affezionato che non è riuscito a proteggere; le fate non sono mai riuscite ad essere ciò che avrebbero potuto essere perché sono dei meri strumenti.
Tuttavia aspirano all’essere nel suo significato più ampio, che si realizza solo nel momento in cui smettono di essere “armi” e iniziano a vivere esperienze, emozioni, relazioni, come la protagonista Chtholly che nonostante la sua perdita progressiva di memoria inizia a diventare più adulta e matura per il suo forte desiderio di essere riconosciuta come persona attraverso i sentimenti che prova per Willem.
Il loro rapporto evolve e matura verso la fine della serie: alla fine è delicato, tragico e profondamente umano. Siamo abbastanza lontani dagli amori adolescenziali tipici degli anime rom-com scolastici nonostante le apparenze di sceneggiatura e di rappresentazione registica, perché alla fine diventa un legame che nasce dalla condivisione del dolore e dalla volontà di proteggere ciò che resta. Una sorta di affetto come ribellione al loro destino che lo valorizza e rende "eterno".
Ooops, temo di essermi fatto prendere la mano su alcuni temi di questa serie che mi hanno portato a riflettere. Credo che esista anche un simbolismo del cambiamento del colore dei capelli di Chtholly verso la fine della serie ma non vorrei tediare ulteriormente il lettore con considerazioni che alla fine poco aggiungono al mio giudizio su questa serie che ha nella incompiutezza (intuibile dal finale) il suo principale difetto, oltre ad un comparto grafico non di prim'ordine (soprattutto il character design) e ad una fase centrale della serie molto slice of life che potrebbe annoiare nella sua lentezza e ingenuità di fondo.
Lato musicale, chi mi ha preceduto nella recensione ha già individuato il punto di forza in “Farborough Fair” che apre e chiude la serie facendo intuire con il suo testo e melodia quale tipo di finale si sarebbe realizzato.
"Sukasuka" si dimostra un’opera che non cerca di stupire con colpi di scena, effetti speciali, forzature e polarizzazioni eccessive dei personaggi, ma di far apprezzare anche attraverso la bellezza di un singolo gesto, il valore di questo e di come, a volte, quel poco possa essere tutto.
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