Il governo italiano cancella i finanziamenti per il settore dei cartoon made in Italy per le televisioni private e mette a rischio 6mila posti di lavoro del settore, soprattutto di giovani che creano contenuti per i piccoli. A dirlo è CartoonItalia, l'associazione nazionale produttori di animazione. 

Che cosa è successo?  In pratica, il Consiglio dei Ministri nella revisione del Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi (TUSMAV) ha eliminato qualsiasi possibilità di inserire, come hanno in Francia, sottoquote di programmazione e di investimento, diciamo un 7%, da parte di televisioni private, come Mediaset, e di piattaforme che operano in Italia, da Netflix a Amazon, da Disney a Apple tv, per produrre serie e cartoni animati. Che vuol dire in parole povere?  Che d'ora in poi ad occuparsene saranno solo gli enti pubblici  (la Rai in particolare) favorendo, secondo i più informati, l'importazione di prodotti stranieri a scapito di quelli nostrani.



 “E' una decisione che condanna al soffocamento il comparto dell’animazione italiana e che priva le nuove generazioni di bambini e ragazzi dell’immaginario italiano, con un’offerta quasi esclusivamente americana. Una decisione apparentemente inspiegabile, dal momento che a favore della sottoquota animazione si erano già espressi il ministero della Cultura e la commissione Cultura della Camera”.

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Non comprendo- ha dichiarato Maria Carolina Terzi, presidente di Cartoon Italia- la scelta di questo Governo di mettere in ginocchio un comparto industriale che consta di oltre 50 aziende che dà lavoro a 6.000 giovani con un’età media tra i 20 e i 30 anni e che crea contenuti per bambini veicolando i valori che appartengono alla nostra tradizione culturale. Dal governo una miopia che impedisce la crescita naturale e necessaria per un comparto industriale e creativo, eccellenza del made in Italy”.

Tenendo conto delle resistenze delle televisioni private, Cartoon Italia aveva formulato una proposta al ministero della Cultura che esentava le emittenti generaliste (le reti Mediaset, La 7 etc.) dall’obbligo della sottoquota. Con questa decisione il Consiglio dei ministri ha preferito anteporre anche gli interessi economici di gruppi stranieri a quelli dei bambini e dei ragazzi italiani.

Fonti: La stampa
         Dire.it