Dalla penna di Morimi Tomihiko nel 2007 nacque la storia di una famiglia di Kyoto un po' particolare, gli Shimogamo, che la P. A. Works nell'estate del 2013 ha deciso di animare e portare sul piccolo schermo delle TV giapponesi. I membri che ne compongono il nucleo vivono la vita in maniera spensierata, giorno per giorno, senza sforzarsi troppo e prendendo il bello e il cattivo tempo senza rammaricarsene. Quattro fratelli, orfani di padre, e la loro mamma, stretti stretti l'uno all'altro vanno avanti realizzando in pieno il destino che gli è stato assegnato. La famiglia protagonista di Uchouten kazoku è costituita da tanuki, animale tipico del folklore giapponese, conosciuto per la sua indole scherzosa e l'ingenuità. Regalato il cielo ai tengu e la città agli uomini, i tanuki vivono sulla terraferma, nascosti dagli altri essere viventi, correndo da un cespuglio all'altro per non farsi vedere, o trasformandosi in oggetti di varia natura come soprammobili o portachiavi che ne camuffino i caratteri. Si divertono con poco, prendendosi in giro fra loro, mordicchiandosi le chiappette, mangiando patate dolci o caldarroste, strappando la vittoria durante una gara di fuochi d'artificio all'ultimo minuto. Qualche volta può capitare che uno decida di sprofondare in un pozzo o un altro si trasformi in una grande montagna; ogni tanto può accadere che uno impari ad accendere le lampadine con piccole scariche elettriche e un altro che delle stesse in formato tuono abbia una paura matta; talvolta può succedere che uno diventi talmente vecchio che gli altri iniziano a chiamarlo "anziano" o un altro finisca stufato in un pentolone insieme a verdure bollite e un pizzico di sale la sera di Capodanno. Come recita il primo verso dell'opening cantata dai Milktub "Uchouten Jinsei", i tanuki vivono seguendo il motto Omoshiroku nai yo no naka, omoshiroku sureba ii sa, e cioè "In un mondo non interessante, devi vivere una vita interessante."

Due elementi importanti emergono legati alla famiglia Shimogamo: l'aho no chi, tradotto con "sangue degli idioti", e l'omoshiroi, le cose interessanti e divertenti. Entrambi i concetti sono da ascriversi alla cultura giapponese, che esalta il nucleo familiare sopra ogni altro tipo di aggregazione e la rassegnazione dignitosa che bisogna assumere nei confronti degli eventi negativi. Per gli Shimogamo tutto quello che succede è collegato all'essenza della vita stessa: spesso si sentono pronunciare frasi come "è perché noi siamo tanuki" o "è l'espressione del nostro sangue degli idioti" oppure "a un tanuki è normale che accadono cose del genere", o ancora "è nel nostro destino finire in pentola un giorno". Sembra quasi come se si arrendessero dinanzi alle difficoltà, come se non fosse un loro compito ribellarsi alla gogna, come se non avessero dei diritti e tutto dipendesse dalla genetica. Addirittura Yasaburo discute con i membri del Club del Venerdì, che è risaputo abbiano stufato suo padre, in maniera tranquilla, senza astio né desiderio di vendetta, come se stesse scambiando quattro chiacchiere con il vicino di casa. Per gli uomini è davvero difficile accettare una cosa del genere, quasi impossibile, e Yasaburo appare un personaggio superficiale se lo si analizza in un'ottica umana, a tratti deludente perché fino a quel momento era sembrato sapere tutto di com'è che il mondo gira e poi scivola in un infantile interesse verso l'umanità.
 

Tuttavia, Uchouten kazoku è una storia che è narrata dal punto di vista dei tanuki, nel quale bisognerebbe immedesimarsi per riuscire a capire. Per un tanuki la vita va vissuta momento per momento, divertendosi, cercando di cogliere l'estasi in ogni evento, situazione, cosa. Un tanuki non cerca la gloria, ma una quotidianità divertente e serena; può fare ogni giorno le stesse cose o combinarne sempre di più cretine, o trovare eccitazione anche nel dolce far niente, 'zuzzurellando' in giro. I tanuki non si pongono il problema etico se il proprio interlocutore sia o meno un assassino, dal momento che è interessante conversare con lui va bene pure che sia un carnivoro divoratore di suoi simili, che con l'atto di mangiare esprima il suo sentimento d'amore. Non hanno paura di affrontare il pericolo in sé, fanno piuttosto tutto quello che possono per uscire dalle difficoltà, apparendo a volte ridicoli, ingenui, incapaci. Scalpitano, si dimenano, graffiano le gabbie e arruffano il pelo, piangono, urlano, pensano che non c'è più speranza; perché per un tanuki essere catturato, diventare il pasto di un uomo a Capodanno, è normale. Quelle stupide palle di pelo che in presenza degli umani spesso perdono la capacità di mutaforma o che abbandonano la presunzione di essere maestosi, dalla genealogia divina, grandi interpreti della legge, non appena gli si presenta dinanzi un po' di acqua in cui bolle il nabe, sanno che si può morire di vecchiaia o essere bolliti e accettano la propria morte tanto quanto accettano la loro mediocre vita.
 

E' proprio perché questa mediocrità sta stretta ai nostri protagonisti che l'autore li definisce "la famiglia dell'estasi", come a voler indicare che gli Shimogamo sono più tanuki degli altri tanuki, dai quali vengono additati come fannulloni, senza speranze, trasgressivi. I caratteri che compongono il termine "uchouten" (有頂天), l'estasi, sono interpretabili con "mondo colorato", quindi divertente e interessante, o "sentirsi un metro da terra per la contentezza", o ancora "essere senza pensieri" e "vivere lo stadio finale di un momento". Quindi è possibile collegare il tutto allo stile di vita dei tanuki, che vivono spensieratamente, divertendosi, curiosando in giro, guardano il mondo a colori senza vederci all'interno nulla di monotono, trovando la felicità in ogni giorno. Anche per questo l'unico personaggio ad aver perso il suo carattere "uchouten" per tutto il corso della serie non riesce a ritrasformarsi in un tanuki, ma resta una rana.
Sia per gli Shimogamo sia per gli Ebisugawa, le due famiglie che vengono portate sulla scena, ciò che conta sono i legami di sangue, e quindi di più importante al mondo c'è solo la famiglia. Il sangue degli idioti che scorre nelle vene tanuki è il filo che lega questi alla loro specie e gli stessi a chi li ha generati. A questo punto il DNA si fa veicolo anche della tipica idiozia tanuki, che da generazioni in generazioni si tramanda di padre in figlio. Spesso i giapponesi parlano dei kizuna, i legami, o di kazoku, la famiglia, o di "kokoro", il cuore, e Morimi non è da meno! E gli Shimogamo in particolar modo sono una famiglia esemplare: si vogliono bene profondamente, si proteggono a vicenda, si consigliano, onorano quel sangue che li lega, che li tiene vicini, che li accomuna. Proprio loro che hanno perso un genitore e vivono con la madre soltanto, sentono intensamente quella catena battere in ogni cellula del corpo, quella catena che gli dice "siete una famiglia". E' strano pensare di dover imparare cosa significa avere un padre o una madre da un orfano, l'ultima persona che si penserebbe possa spiegarne il valore. Ma è proprio chi ha perso quel tipo d'affetto e che ha sentito il bisogno di cercarlo in chi gli sta vicino, arrivando quasi a dipendere dall'idea di avere qualcuno accanto, che si sente perso al solo pensiero che quel qualcuno gli possa essere strappato, e nuovamente si possa provare quel dolore, quella mancanza, quella solitudine; è proprio chi è orfano a saper meglio apprezzare e spiegare cos'è la famiglia. Nei momenti di tristezza e sconforto, di difficoltà e tensione, Yasaburo, Yaichiro, Yashiro, Yajiro fanno capannello intorno alla mamma, la stringono a sé, per prendere il suo calore e trasmettergli tutto l'affetto di figli che nell'infanzia hanno accumulato, pronti una volta diventati adulti a dispensarne ai propri genitori. Con la stessa mamma spesso non riescono a scambiarsi semplici parole come "ti voglio bene" e restano muti all'altro capo del telefono, singhiozzando casomai e pensando che non bisogna rimandare a domani quello che si può fare oggi. Perché non è detto che domani quella persona ci sarà ancora. Non è detto che in futuro potrai riabbracciarla, andare a bere insieme, passeggiare in sua compagnia, stringere a te o stringerti a lei, godere del suo sorriso e delle sue carezze affettuose. La vita è così fragile che nel giro di una notte tutto può cambiare e ciò che prima era normalità il giorno dopo diviene soltanto un lontano ricordo. Come le foglie d'autunno cadono, così la vita può scivolare via col vento, poggiandosi sul suolo e diventando tutt'uno con la terra. Forse per un tanuki è ancora più facile assumere questa malinconica realtà, perché vivono sempre con la costante consapevolezza di poter finire stufati, con l'ineluttabile destino che non riescono a scindere dalla loro pelliccia; ma ciò non li abbatte, anzi conoscere la caducità dell'esistenza dà ai tanuki una linfa in più, che gli permette di godere al massimo di essa.
 

Dalla caratterizzazione minuziosa e particolareggiata, i personaggi che ci vengono presentati sono molteplici e appartengono a varie specie. Abbiamo il maestro tengu, incapace di spiccare il volo, col mal di schiena, la luna storta e una cotta per la sua bellissima allieva. Sul fronte umano troviamo Benten, misteriosa, egoista, ambiziosa, maliziosa, birichina, donna dal grande fascino che agisce solo se una cosa smuove il suo interesse, che piange guardando la luna e sogna di trovare l'amore come le normali ragazzine; più umana dei suoi colleghi del Club del Venerdì, troppo chiusi nelle loro convinzioni e abitudini, riesce a districarsi benissimo nella complicata rete di rapporti che lega tanuki, tengu e uomini, forse perché libera da qualsivoglia pregiudizio. Personaggio più intrigante della storia, avrà un ruolo chiave in molti eventi, rappresentando a volte una sorta di deus ex machina, oltre che pensiero fisso di chi le sta intorno. Tra i tanuki spicca la figura controversa di Ebisugawa Soun, fratello di papà Shimogamo, che si potrebbe dire abbia ereditato i vizi e i difetti dell'uomo: arrivista, calcolatore, pronto a vendere i propri cari pur di ottenere ciò che vuole, mantiene allo stesso tempo vivo il senso di paternità rispetto ai suoi figli e intatto il bisogno d'amare e d'amore che lo spinge lontano dalla sua essenza tanuki, avvicinandolo all'infima umanità.
Ma protagonista della storia è Yasaburo, il tanuki che in maggior misura fa proprio il concetto di "uchouten", riuscendo persino a socializzare con gli uomini e farsi prendere in considerazione dai tengu. Gli piace autoidentificarsi con un bohémien. La sua noncuranza nei confronti delle convenzioni e l'indifferenza dell'opinione che gli altri hanno di lui lo rende perfettamente in linea con lo stile dei letterati francesi in voga nel XIX secolo. Definendo il suo approccio alla vita spensierato e votato alla ricerca dell'interessante dentro le cose e la quotidianità, il terzo figlio degli Shimogamo sostiene che questo atteggiamento sia la rappresentazione del suo "sangue degli idioti", tramandatogli dal padre. Non facendo altro che portare all'estremo la maniera di vivere dei tanuki, con la convinzione di non voler essere un tanuki qualunque, Yasaburo vive agognando la libertà in volo dei tengu e imitando gli uomini nel loro egoismo e nelle loro ambizioni. Compiendo un sillogismo, si potrebbe dire che sia la personificazione della città di Kyoto, che lui stesso afferma essere una giostra che ruota su sé stessa, basata sul fragile equilibrio di convivenza tra i tengu, gli umani e i tanuki.
 

Sul versante tecnico, la resa della città di Kyoto è perfetta in ogni singola insegna o luce al neon, esaltata dall'elegante animazione che gli studi della P.A. Works padroneggiano bene. I panorami e le ambientazioni sono curate nei dettagli, stessa cosa per gli accessori e l'abbigliamento. Accuratamente arredato è persino il pozzo di Yajiro, che sembra addirittura confortevole come ci dice appunto il secondogenito. Il chara design è carino, morbido, simpatico, senza bishonen o bishoujo, ma altrettanto potenzialmente bello. Per non parlare di quanto sono carini i tanuki in versione pelosa, di quanto quegli occhietti e quelle zampette sono tenere, e quelle code che scodinzolano invitanti! Il doppiaggio è molto buono, le voci tutte azzeccate. Adorabile Benten che fa finta di sorprendersi davanti a Yasaburo col suo caratteristico "Ara!", e memorabili le voci dei monelli Kinkaku e Ginkaku Ebisugawa. Stessa attenzione è stata prestata all'OST, tra le più suggestive che abbia ascoltato negli anime di quest'anno. Oltre a richiamare l'atmosfera tipica giapponese, rifacendosi a uno stile di musica anticheggiante, i suoni che accompagnano gli episodi sono armoniosi, a volte grintosi, altre malinconici, dolci, tristi, calorosi, inquietanti, allegri, così personalizzati da risultare unici. La stessa ending "Que sera sera", cantata da Fhána, è di una bellezza quasi sconcertante, così delicata e semplice nel testo; spesso ha accompagnato i miei pianti a fine puntata, dandomi una leggera carezza e asciugando via la tristezza.
 

 
Uchouten kazoku è una storia piena di malinconia, ma al contempo satura di speranza. Nemmeno per un momento durante la visione ho provato angoscia, piuttosto mi sono commossa più e più volte, lasciando che calde lacrime mi solcassero il viso, dinanzi all'evidente forza, impegno e volontà che la famiglia Shimogamo impiegava. Probabilmente non ho mai saputo com'è che si vive in maniera spensierata, mi sono sempre fatta problemi inutili per qualsiasi cosa, pensando di essere perseguitata dalla sfortuna; orfana anch'io, mi sono sentita abbracciare per davvero dalle esili ma protettive braccia della madre degli Shimogamo, desiderando per un momento che la mia di mamma ritornasse a me e mi dicesse che tutto si sistemerà. Per me guardare Yasaburo & co. è stata una terapia, perché ho buttato fuori tanta tristezza che avevo conservata dentro per anni e anni, e che mi aveva impedito di godere delle piccole gioie della vita, della mia famiglia, delle mie passioni. Mi sono affezionata tanto al microcosmo di Uchouten kazoku, ai tanuki e alle loro scemenze, ai discorsi da mentore di Yasaburo a inizio e fine puntata, alla sottana di Benten e al maestro tengu che sbraita, da provare un senso di vuoto ora che le settimane passano senza vederlo. La storia di Morimi ha saputo essere sia scherzosa, divertente, semplice, sia profonda, istruttiva, realista; e capace di coinvolgere a tal punto nelle vicende dei suoi personaggi che alla fine della serie ci manca solo il cognome Shimogamo e la coda per sentirci parte della grande famiglia che ci viene presentata! Noi umani dovremmo imparare un po' dai tanuki com'è che si vive e forse smetteremmo di imprecare contro le divinità che non ci danno ciò che desideriamo. E chissà, può essere che così la finiremmo anche col sentirci delle divinità noi stessi, onnipotenti e padroni del mondo. Onnipotenti ma con una perenne tensione dentro, che ci spinge a desiderare sempre di più, di più, di più, ed essere infelici, insoddisfatti, incontentabili... A questo punto, nella prossima vita spero di rinascere tanuki!