Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Il mio vicino Totoro, Ro Kyu BuGundam: Thunderbolt.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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“Il mio vicino Totoro” (titolo originale “Tonari no Totoro”) è un film d’animazione giapponese del 1988, diretto da Hayao Miyazaki e prodotto dallo Studio Ghibli. In Italia è giunto solo nel 2009, distribuito dalla Lucky Red.

Trama: Satsuki e Mei sono due iperattive bambine, rispettivamente di undici e quattro anni, trasferitesi con il padre in una villa nel Giappone rurale, mentre la madre è ricoverata in ospedale. Le piccole si accorgono molto in fretta che la loro nuova casa, che in zona si vocifera sia infestata dai fantasmi, ospita dei misteriosi esserini, che porteranno la minore delle due a incontrare quello che lei chiamerà Totoro (come il troll di un libro illustrato), un enorme animale peloso, amichevole e sonnacchioso.

Il lungometraggio non presenta qualcosa identificabile come una vera e propria trama e si configura come uno slice of life fantastico in cui vengono espressi tutta la nostalgia e l’amore non solo per il mondo ameno e accogliente delle rigogliose campagne nipponiche del passato, ma anche per quel periodo della vita pieno di gioia, spensieratezza e magia che, una volta superato, potrebbe non tornare mai più.
Gli episodi della quotidianità a cui si assiste sono raccontati dal punto di vista delle giovanissime Satuski e Mei, le quali, sebbene siano psicologicamente poco approfondite, risultano credibili nei loro atteggiamenti espansivi, nella genuinità con cui accettano eventi che per un adulto sarebbero assurdi e forse terrificanti, nei loro piccoli gesti di egoismo, nella loro disarmante innocenza. Delle loro personalità si sa poco e niente, ma questo non impedisce al film di renderle protagoniste di momenti dal forte impatto emotivo, che siano brevi attimi in cui emerge tutta la commovente impotenza dell’adolescenza di fronte a situazioni troppo più grandi di noi, o sequenze che mostrano il profondo attaccamento tra le due sorelle e la disperazione per la solitudine e la paura di un’eventuale perdita di una delle due.
Totoro, il Gattobus e le altre creature che popolano il lungometraggio, nonostante compaiano su schermo relativamente poco, rivestono un ruolo piuttosto importante all'interno della storia: in principio sembravano rappresentazioni metaforiche, ma poi si riconfermano come entità perfettamente reali e concrete, altruiste protettrici della foresta e della natura, invisibili allo sguardo disincantato del mondo moderno e dei grandi, ma ancora distintamente percepibili agli occhi pieni di meraviglia dell’infanzia. Non per niente sono divenute i simboli più riconoscibili e popolari dello Studio Ghibli.
Le figure di contorno sono anch'esse piuttosto stereotipate e piatte, ma non per questo mancano di una buona dose di umanità e gentilezza toccanti e affettuose.

Il comparto tecnico è dominato indubbiamente dalla componente grafica e da quella sonora: le animazioni sono semplici, limitate a gesti della vita di tutti i giorni, ma restano molto fluide e dinamiche; il character design è molto delicato e pulito e sicuramente si è fatto il possibile per rendere Totoro e i suoi piccoli compagni il più adorabili e teneri possibile, ottenendo un ottimo risultato; i fondali sono estremamente dettagliati e dipingono alla perfezione il paesaggio verde e pacifico del Giappone rurale, tra boschi, risaie e vegetazione lussureggiante e casolari tradizionali, creando scenografie di una bellezza stupefacente; la colonna sonora è per lo più vispa e leggera, catturando con maestria lo spirito dell’opera. Memorabili la sigla di apertura (anche tradotta in italiano), per quanto infantile, e il tema principale del film. Molto espressivo e curato il doppiaggio nostrano.

Se si dovesse definire “Il mio vicino Totoro” con un’unica parola, questa non potrebbe che essere “grazioso”: la tenerezza e la simpatia dei personaggi e la dolcezza e la forza dei loro sentimenti suscitano un perenne sorriso durante la visione del lungometraggio, sorriso sostituito quasi da lacrime di commozione nei rari e fugaci momenti di tristezza e sconforto presenti. Si tratta di un inno all'attaccamento ai valori del passato e al rispetto della natura più vicina a noi, nonché all'inconfondibile fascino dell’infanzia. Chiaramente un'opera rivolta a un pubblico giovanissimo, ma non manca di intrattenere adeguatamente anche gli adulti. Una visione gradevole e distensiva.



7.0/10
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Un voto è qualcosa di oggettivo, ma, allo stesso tempo, può essere estremamente soggettivo. Un 7 rappresenta, alle volte, una promozione piena per un anime di cui ci aspettava veramente poco; oppure una critica verso una serie dalle premesse più che invitanti.
Il caso di "Ro-Kyu-Bu!", almeno per il sottoscritto, si attiene al primo esempio. Una serie di 12 episodi che, all'apparenza, poteva sembrare carino, ma niente di più. Invece, ecco che ci sorprende grazie a una storia intrigante, personaggi semplici, ma comunque completi. Non sarà un capolavoro, ma è stato in grado di farmi divertire, appassionare, commuovere… e questo basta.
Una commedia sportiva, piena di "moe" e agonismo. Un'accoppiata che, almeno in questo caso, si è rivelata vincente.

Tutto inizia con Hasegawa Subaru, un ragazzo di prima superiore, amante del basket, ma costretto all'inattività in seguito alla sospensione di un anno del club di basket della scuola. La delusione è palpabile, soprattutto visto il suo amore per tale sport. Tutto sembra far credere che ci abbia messo una pietra sopra, almeno per il momento. Ma ecco che compare l'energica zia , che lo costringe (quasi) ad allenare un gruppo di cinque bambine dell'elementari.
Inizialmente si tratta solo di un'esperienza di tre giorni, ma l'energia e la passione con cui giocano quelle piccole pesti lo colpiscono nel profondo. Così Subaru decide di assecondare i voleri della zia, e prende sotto le sue cure Tomoka, Maho, Airi, Hinata e Saki.

Come già si può capire, il semplice fatto di trattare con cinque ragazzine, pregiudica una buone dose di "moe". Occhioni grandi e vocine gentili, una bella scelta, se accostata alle palle di basket che, quasi, le sovrastano. Ma, al di là della loro piccola statura, mostrano caratteri più che complessi e ben definiti. Niente di così drammatico, in fin dei conti si tratta di bambine. Ma giusto quel pizzico di introspezione, capace di farle risaltare maggiormente.
Forse l'unico che rimane più "piatto" è proprio il protagonista, Subaru, che non riesce a distaccarsi dai soliti cliché. Impacciato con le ragazze, un pochino lolicon (amante delle bambine) e, ovviamente, talmente ossessionato dal basket da non accorgersi delle attenzioni delle fanciulle che lo circondano.
Tomoka, la punta di diamante della squadra, si innamora subito di lui. E tale rapporto mi ha lasciato perplesso per tutta la vicenda. Che cosa significa quello sguardo di ammirazione di Subaru? Semplice stupore di fronte alla bravura della bambina, oppure qualcosa di più? Spero il primo caso, essenzialmente per due ragioni: Tomoka frequenta soltanto le elementari e, ancora più importante, c'è un'altra ragazza, ben più "papabile", che cerca di conquistare il cuore di Subaru. Chi? Aoi, l'amica d'infanzia.

La grafica è piuttosto semplice. Toni chiari e sereni, sfondi luminosi e personaggi realizzati in modo tale da non far sorgere eventuali imbarazzi. Troppo spesso troviamo bambine con il corpo fin troppo maturo, almeno in questo caso si è scelto, saggiamente, di disegnarle proprio come ragazzine della loro età.
Il reparto audio è discreto. Musiche leggere, che tengono alla perfezione l'atmosfera da commedia. Durante le sfide di basket vi è giusto un'accelerata, ma niente di così complicato. Buono il doppiaggio e piacevole la regia, che è stata in grado di creare 12 episodi scorrevoli e ben armonizzati. Nessuna accelerazione o decelerazione particolare, la storia scorre piacevolmente in maniera blanda.

Insomma "Ro-Kyu-Bu!" è un anime tutto da gustarsi. Forse non rimarrà impresso nella memoria come uno delle serie più belle, ma, alle volte, fa anche bene rilassarsi con un'opera che non pretende niente di più, se non dare allo spettatore momenti piacevoli e divertenti.
Personaggi ben costituiti, una trama coerente e una crescita costante dei vari protagonisti. In fin dei conti, potremmo considerare i vari allenamenti di basket come una metafora della vita. Ci saranno momenti difficili e ostacoli da superare, ma con la forza di volontà e l'aiuto degli amici, nulla è impossibile.

Voto finale: 7



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Quando si entra nel mondo di "Gundam Thunderbolt", sembra di entrare in un episodio di "Cowboy Bebop" o "Sakamichi no Apollon": sarà la musica jazz a guidarci, ad accompagnarci per tutta la durata della visione e a dare il ritmo alle sfrenate scene d'azione. Il tema musicale, però, per quanto interessante e ben riuscito (è la prima volta che una serie 'gundamiana' ha una colonna sonora simile), passa presto in secondo piano, perché il punto centrale di ogni serie di "Gundam" resta sempre e solo uno: l'uomo in guerra.

La serie "Thunderbolt" gioca le carte vincenti della saga: il dramma della guerra, il tema della perdita, l'umanità (intesa nella sua fragilità), la difficoltà di scegliere se uccidere per sopravvivere o morire per non trasformarsi in assassini. E poi il classico binomio tra "buoni" e "cattivi", che in "Gundam" esiste solo relativamente, e che qui viene rappresentato dai due protagonisti: Io Fleming, il pilota del Gundam di turno, un uomo apparentemente insensibile e con un malsano gusto per la guerra; e Daryl Lorenz, un cecchino dell'esercito di Zion, tormentato dal dramma della perdita degli arti. Questa coppia di protagonisti ci mostrerà ancora una volta come in guerra non esistano buoni o cattivi, ma semplicemente fazioni diverse composte da uomini, ognuno con la sua storia, con le proprie ferite, con il proprio passato da dimenticare, con le proprie scelte, giuste o sbagliate che siano. Nell'ambientazione terribile della guerra, l'uomo, al bivio tra la vita e la morte, viene spesso mosso non dalle proprie virtù, bensì dalla paura e da istinti irrazionali. E nessuno può giudicare l'altro.

A far la differenza dalle altre serie di "Gundam", però, questa volta è la crudezza delle storie raccontate: in primo luogo le menomazioni fisiche (ho trovato tristemente poetico come sia stata espressa tutta la disperazione di Daryl per la propria disabilità e come riesca a sentirsi di nuovo sé stesso soltanto attraverso le gambe di un Mobile Suit), e poi a seguire rancori, inganni, ingiustizie, droga, amore, morte. Se tutto questo ha sempre fatto parte di "Gundam", stavolta "Thunderbolt" presenta questi temi con una disinibizione che forse le precedenti serie non potevano permettersi.

"Gundam Thunderbolt" è una visione che consiglio a tutti, ne vale la pena, anche per la sua breve durata (quattro ONA da diciotto minuti), ma senza aspettative che siano diverse da questa: guardare questa serie significa entrare in un dramma, approfondire un lato oscuro dell'umanità.
Per quanto riguarda le note tecniche, la colonna sonora è una chicca per gli amanti del jazz, il chara design è unico, il mecha e le animazioni possono vantare tutti i pregi della tecnica moderna.