Shōwa Genroku Rakugo Shinjū (昭和元禄落語心中). Un titolo difficile da ricordare, se è per questo complicato anche da scrivere in giapponese! I più lo abbreviano in Shōwa soltanto, richiamando il nome di un'epoca transitoria (19261989), che fa da sfondo alle vicende narrate nell'anime e che ha condotto il Giappone dal nazionalismo all'occupazione americana, agli anni della bolla speculativa, presagio del decennio oscuro che negli anni Novanta inaugurò l'attuale epoca Heisei. Oppure ci sono persone che lo abbreviano in Rakugo, genere teatrale che vede il suo splendore massimo proprio nel primo periodo Shōwa, e che è cuore propulsore di quest'anime, argomento intorno al quale ruotano i personaggi, con i loro dolori e le loro gioie. A esso è legato il termine Shinjū, che sta a indicare il doppio suicidio d'amore, quello che ha affascinato per secoli la letteratura giapponese, soprattutto teatrale; e quest'anime tratta di uno dei suicidi più romantici, quello dell'artista con la sua arte, che vede il protagonista per eccellenza di questa storia, Yakumo Hachidaime Yūrakutei VIII, tendere all'annientamento del rakugo assieme alla sua morte. Infine Genroku sta a indicare il periodo di pace e prosperità che il Giappone, influenzato sempre più dall'Occidente, visse proprio nell'epoca Shōwa, altrimenti conosciuta come "periodo di pace illuminata", in cui fu favorito lo sviluppo economico e della cultura.

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Perché partire spiegando il titolo? Perché già nelle quattro parole che lo compongono è raccontata la quasi totalità dell'essenza di questo anime, prodotto dallo Studio Deen e distribuito in Italia da Dynit, tramite il portale VVVVID. Tratto dal manga josei in 10 volumi di Haruko Kumota, Shōwa Genroku Rakugo Shinjū è una serie di 25 episodi divisa in due cour, andati in onda rispettivamente nell'inverno 2016 e nell'inverno 2017 (la seconda parte reca il sottotitolo di Sukeroku Futatabi Hen - 助六再び篇, ossia "ancora una volta Sukeroku"). Per me è stata una boccata d'aria fresca! Nella marmaglia di cose che vengono mandate in onda ultimamente, di cui molte non hanno né capo né coda, un gioiello così perfetto non poteva non attrarre i miei occhi e il mio cuore. 
 
La storia inizia con un avanzo di galera che chiede al più importante attore di rakugo del suo tempo di prenderlo come apprendista. Un giorno, l'ex-membro della yakuza Yotarō assiste, nella prigione in cui è stato incarcerato, alla rappresentazione teatrale del maestro Yakumo Hachidaime Yūrakutei VIII, e si innamora del rakugo. Inizia a frequentare la casa del suo shishō (師匠 maestro), conoscendo Konatsu, la figlia di uno degli artisti più irriverenti del passato, Sukeroku. Assieme alla ragazza, tende l'orecchio alla bellissima storia sul passato di Yakumo (N.B. per comodità da ora in avanti lo chiameremo Bon, con l'appellativo che il suo migliore amico Shin, in arte Sukeroku, utilizzava per lui), che copre il primo blocco di episodi di Shōwa Genroku Rakugo Shinjū. La seconda metà, invece, si concentra sulla crescita del teppista Yotarō come rakugoka (落語家), ossia interprete di rakugo.

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Un anime storico, uno slice of life, una serie culturale, che spazia dal genere sentimentale, a quello drammatico, al comico: Shōwa Genroku Rakugo Shinjū fin da subito apre il sipario su un variopinto spettacolo teatrale, che intrattiene dalla prima scena fino all'ultima. Sotto lo pseudonimo di Mamoru Hatakeyama, Shin'ichi "Arakawa under the bridge" Omata accompagna lo spettatore in un excursus sulla storia del Giappone e sulla storia del rakugo, attraverso la rappresentazione della quotidianità dei personaggi protagonisti, le loro passioni, le loro battaglie.
In un unico anime vengono racchiusi i temi più disparati: c'è l'amore, vissuto in una chiave folle, in una romantica, in una più carnale, in un'altra platonica; poi c'è la morte, quella che ti prende per vecchiaia, quella che ti coglie sul campo di guerra, quella che ti afferra accidentalmente; c'è la nascita, come può essere quella di un bambino, quella di un artista e della sua arte, quella di un genere teatrale che si rinnova col tempo.
Inoltre, riportando in auge la querelle des Anciens et des Modernes, viene narrato il conflitto tradizione vs. modernità, vissuto innanzitutto nella figura di Yakumo e tramite la sua persona nel mutamento del rakugo nel tempo. Insomma, Shōwa Genroku Rakugo Shinjū non è un anime per tutti, ma è un anime che tutti dovrebbero vedere.

Ma cos'è esattamente il rakugo? Attestato per la prima volta nel 1787, il rakugo nacque in epoca Edo (1603-1868) alla corte dei daimyō, i lord dell'alta nobiltà, che amavano dilettarsi nell'ascolto di storie divertenti. Nonostante i suoi nobili natali, il rakugo si diffonde come genere popolare, al punto che si potrebbe quasi dire che sia nato per la gente e le appartenga. Spaziando dai racconti dell'orrore, alla satira, alle romantiche storie sentimentali, protagonista principale del rakugo è appunto il popolo. Un unico attore sul palcoscenico (detto kōza 高座), che con il solo ausilio di un ventaglio e di un piccolo lembo di stoffa, fa risuonare la sua voce nel teatro. Crea immagini dal nulla, presta il suo volto a una moltitudine di personaggi, riproduce atmosfere di realtà ultraterrene, catapulta lo spettatore in un altro mondo, popolato da un'umanità indaffarata a vivere. Nel corpo del rakugoka si incarnano fantasmi, spiriti e divinità, prostitute e mercanti, bambini, madri e padri, maestri e allievi, pescatori, cacciatori, nobiluomini e nobildonne... Il popolo giapponese trova nel rakugo una delle sue vetrine più genuine.

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Nel corso della serie viene offerto molto spazio agli spettacoli di rakugo, a volte anche la quasi totalità di un episodio. C'è sempre, quindi, un pezzo recitato, grazie al quale è concesso allo spettatore di conoscere e appassionarsi a questa nuova arte teatrale, che rispetto al (), al kabuki (歌舞伎) e al takarazuka (宝塚), è meno famosa in Occidente. Molte opere vengono nominate e ad alcune ci si affeziona quasi, perché legate indissolubilmente alla storia di un personaggio: Inokori, Nozarashi, Yumekin, Benten Kozō, Shinigami, Koganemochi, e Jugemu, la cui filastrocca, per me che sono una fanatica della lingua giapponese, è stata una delle cose più belle mai ascoltate. Non ho fatto altro che ripeterla a pezzi, come una scema, per tutti i giorni successivi! 
 
«Jugemu jugemu! Gokō no Surikire! Kaijarisuigyo no Suigyōmatsu, Unraimatsu, Fūraimatsu!
Kūnerutokoro ni Sumutokoro! Yaburakōji no Burakōji! Paipo, paipo! Paipo no Shūringan!
Shūringan no Gūrindai! Gūrindai no Ponpokopī no Ponpokonā no!
Chōkyūmei no Chōsuke-san!»

Bon e Shin sono la vera incarnazione del rakugo. Dall'inizio alla fine, come sul palcoscenico così nella vita reale, sul viso di questi due sbarbatelli si avvicendano incalcolabili espressioni, infiniti sentimenti, innumerevoli vite di uomini e donne che esistono solo nei racconti, ma che potrebbero tranquillamente sedere sul cuscino accanto al nostro nel teatro che ci ospita. Bon e Shin trasudano amore per il rakugo, sono pervasi da una passione selvaggia per tutto ciò che è legato a quest'arte teatrale, che li unisce vita natural durante l'uno all'altro. Bon è serio, composto, legato alla tecnica e alla tradizione, dai tratti androgini, spettralmente sensuale, fragile ma rigido; ha sempre fretta di ottenere un risultato, vuole corrispondere alle aspettative altrui, quasi come se aspettasse di ricevere dagli altri il permesso di sedere al suo posto nel mondo. Shin, invece, è rozzo, passionale, istintivo, trasgressivo, sempre pronto a gettarsi nella baldoria; in rottura con i veterani del rakugo, vive la vita con un suo ritmo personale, senza farsi condizionare da ciò e da chi lo circonda, quasi come a voler dire che se un posto per lui non c'è in questo mondo se lo costruirà da solo senza alcun problema! Questo è ciò che traspare all'inizio del lungo flashback che copre la prima parte, ma poi la vita si sa, ti pone davanti situazioni difficili da gestire, e finisce così che i loro ruoli si invertano. 

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Sono entrambi personaggi controversi che nella loro contraddittorietà trovano un onorevole principio di verismo. D'altra parte, è la stessa epoca Shōwa a essere figlia di una contraddizione, così sballottata com'è tra il vecchio e il nuovo. In Bon ritroviamo il letterato che si apre al vento di ponente, incuriosito dall'umanesimo occidentale; inizialmente il giovane ricerca la solitudine dell'artista, vive il rakugo in maniera individualista, perseguendo la perfezione del proprio stile e ritagliandosi all'interno del teatro uno spazio che è solo suo. Ecco perché l'opera che più lo caratterizza è "Shinigami", perché Bon altri non è se non una divinità mortifera che cala la sua falce sul rakugo, un'arte fatta per il popolo e da vivere col pubblico, costruita nel tempo da altri artisti. Il suo stile si basa sicuramente su un'interpretazione personale, nella quale riversa una serie di emozioni che cozzano con quanto è stato tramandato fino a quel momento. Ma in questa discrepanza l'attore mette in luce che la vita è ben più complessa di una commedia per ridere, donando una nuova chiave interpretativa del rakugo tradizionale.

È proprio qui che si crea la profonda rottura fra i due attori Kikuhiko e Sukeroku, che in una certa misura è più fedele alla tradizione di quanto non lo sia l'amico. Infatti, riferendosi alla rappresentazione di "Shinigami", Konatsu afferma che lo Shinigami del padre era divertente, mentre quello di Bon è inquietante e malato; ed è il dio della morte di Sukeroku a riportare in vita l'opera del passato, non il tetro falciatore di Kikuhiko. Dal canto suo, Shin è un rivoluzionario, mira a smuovere dal basso un cambiamento, e vuole restituire nuova linfa a qualcosa che già di suo è bello e meritevole di esistere; Bon, invece, si rapporta al rakugo in maniera autoritaria, anteponendo la sua serenità di singolo alla sopravvivenza dell'arte stessa.

Il rapporto tra Shin e Bon è una delle chicche di Shōwa Genroku Rakugo Shinjū. Semplice amicizia? C'è chi ha voluto vederci altro, e c'è chi è rimasto della linea che di "amore" non si parli. Sta di fatto che il legame tra i due oscilla fra l'affetto fraterno e l'affetto platonico. La melodia che intonano i due personaggi nel lungo flashback che compone la prima parte dell'anime è pura poesia! Sono rappresentati dei momenti di un romanticismo sconcertante, in cui i due giovani si capiscono al volo e considerano la presenza dell'altro essenziale per proseguire nel proprio cammino esistenziale. Un rapporto simbiotico, di complicità, di stima, di ammirazione. Ma anche un'amicizia fatta di litigi, contrasti, punti di vista differenti, di rifiuti, proprio com'è nella vita reale.

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Nonostante la love story sia quella intrecciata con Miyokichi, personalmente ho trovato più emozionante la relazione di amicizia fra Bon e Shin, rispetto al legame che loro stessi hanno intessuto con l'affascinante prostituta. Il personaggio di Miyokichi si insinua come veleno nel sangue, foriero di zizzania e di cattiva sorte. Eppure potrei azzardare a dire che la sua bellezza sinistra, la sua incoerenza di sentimenti, e quella follia da eroina tragica che richiama la Medea di Euripide, sono caratteristiche più umane di quelle mostrate da altri personaggi. Il triangolo amoroso che si instaura tra lei, Bon e Shin, è il preludio di una tragedia che condizionerà le vite di tutti gli attori in scena.

I personaggi di Shōwa Genroku Rakugo Shinjū sono spesso reietti della società, orfani di una vita normale, che tentano in ogni modo di lasciare un segno nel presente e che vedono spesso nel rakugo la scorciatoia per dare un senso all'esistenza che conducono. Yotarō è un esempio palese di una persona che la società ha messo ai margini, ma che nell'arte ritrova un obiettivo con il quale affermare la propria esistenza. Per Yotarō il rakugo ha un ruolo catartico, perché lo purifica dalle macchie commesse in passato e gli concede una possibilità per riscattarsi. Per il puro piacere di assistere al rakugo e di recitarlo, ogniqualvolta Yotarō entra sul kōza sembra stare urlando al mondo la bellezza del teatro e quanto per lui sia stato l'ancora di salvezza. Con la sua figura si sviluppa uno dei nodi centrali dell'anime, che già con Kikuhiko e Sukeroku aveva iniziato a martellare con prepotenza: perché l'arte viene fatta? Per fama o per soldi? Per seguire la tradizione? Per rincorrere un voto? Yotarō è la risposta: lui è come il calciatore che gioca per divertirsi, come il pittore che dipinge per pura passione, come il cuoco che cucina per vedere il sorriso di chi mangia... ​​​​​​È l'artista che non si cura di tutto l'architrave che un'arte secolare si porta dietro, che strappa una risata anche senza competenze tecniche adeguate, che non sprofonda nella bramosia di distinguersi dalla massa, che disdegna il dio denaro, ma che ama il rakugo a prescindere, perché si diverte e perché regala sogni.

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Per quanto riguarda il contesto storico, Shōwa Genroku Rakugo Shinjū è un'immersione nel Giappone del secolo scorso, un periodo di transizione che vede il popolo nipponico affacciarsi sempre più all'Occidente, dal quale sente minacciata la sua integrità. Nell'epoca Shōwa si matura il conflitto di un paese che sta imparando a porre sullo stesso piano la tradizione e la modernità; un paese che vuole conquistarsi le luci della ribalta adattandosi al nuovo modello che gli hanno proposto, ma che al contempo non vuole dimenticare ciò che è sempre stato fino a quel momento. La rivoluzione industriale raggiunge il picco più alto, tirando il Giappone fuori da uno scenario feudale e nazionalista, e immettendolo in una prospettiva più democratica e tecnologica, promuovendo una forte etica del lavoro e un'economia sempre più incentrata sul progresso.

Radio, televisione, automobili soppiantano i giradischi, le carrozze, l'oralità, e la comodità di vivere l'arte dal divano di casa svuota i teatri. Dove il rakugo può quindi trovare posto? Nella seconda parte che compone Shōwa Genroku Rakugo Shinjū, ossia lo "Sukeroku Futatabi Hen", la sfida di Yotarō sta proprio nel collegare vecchio e nuovo, nel creare un ponte che avvicini un'arte secolare come il rakugo al nuovo tempo. Si fa sempre più impellente il bisogno di rinnovare un genere teatrale che si trascina dietro tanti arcaismi e orpelli retorici, abbracciando le novità che potrebbero aiutare il rakugo a raggiungere più persone. Si matura così l'idea che del rakugo si può usufruire ovunque, non serve per forza un edificio in legno con l'iscrizione "teatro", tutto può divenire palcoscenico: una sedia, un terrazzino, un ponte, un cuscino. Basta anche solo la voce per arrivare fin dentro le case della gente, basta accendere la radio o la TV, basta canticchiare per strada per attrarre a sé nuovo pubblico. In questo trova spazio anche la scrittura di nuove storie per rakugo portata avanti dal professor Higuchi.

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Nel passaggio generazionale dal vecchio maestro Yakumo, ai suoi due figliocci Bon e Sukeroku, da Bon a Yotarō poi, e successivamente alla sua progenie, attraverso la storia del rakugo e dei suoi interpreti vengono mostrati tutti i cambiamenti che il Giappone ha vissuto dal dopoguerra a oggi. Anche l'apertura alle donne è figlia del tempo, ed è sì legata alla figura di Konatsu, ma è anche segno di una società in trasformazione, che vede sempre più consegnare alle donne le chiavi della comunità. Quindi un'arte non più appannaggio della classe maschile, ma femmina gravida di materna tenerezza. Riguardo questo punto, c'è da sottolineare come Bon abbia a suo modo anticipato i tempi, presentando spesso sul palco personaggi effeminati, travestendosi lui stesso da donna, e provocando i vecchi bacucchi con la sensualità intelligente di una geisha. Quasi come se il teatro kabuki avesse imprestato uno dei suoi onnagata (女形 - N.B. attore di sesso maschile che interpreta ruoli femminili), Bon si fa precursore dell'uguaglianza fra generi nel rakugo.

Ancora, Shōwa Genroku Rakugo Shinjū è una botta di freschezza, perché ti cala completamente nella cultura e nella storia giapponese, mostrando tante di quelle belle caratteristiche per le quali il Sol Levante è stato apprezzato finora. L'ambientazione è curata nei minimi dettagli e lo sviluppo urbanistico e tecnologico è mostrato sullo sfondo. Vicino al vecchio, costituito da edifici antichi in legno, kimono, risciò, si affaccia il nuovo, con abiti di taglio occidentale, abitazioni in cemento, con le infestanti automobili, la luce dei neon. La minuzia che c'è dietro ogni piccolo dettaglio si nota anche nel peso che si dà persino a un semplice capo d'abbigliamento: per esempio, il contrasto fra gli stili di vita e la visione del rakugo di Kikuhiko e Sukeroku è evidenziato anche nei vestiti che indossano, con uno Shin in abiti classici giapponesi, e un Bon vestito con giacca, camicia e pantalone. Stesso discorso, Konatsu indossa quasi sempre abiti occidentali, che sottolineano il suo spirito ribelle di donna emancipata che si è fatta da sé, ma anche il bisogno di evasione da un sistema precostituito che vede la donna ancora vittima dell'uomo.showa_genroku_rakugo_shinju_8.jpg

Da una storia che si è bagnata nelle fiamme del Sol Levante ci si sarebbe aspettati una colonna sonora più squisitamente giapponese. E invece, creando un contrasto con l'atmosfera nipponica, si fa un utilizzo marcato del jazz. Questo genere musicale di cui l'America ci ha fatto dono, entrato in Giappone proprio attraverso gli occupanti, riesce a calare lo spettatore in maniera più immediata in un contesto indigeno, minato in più punti da una cultura imperialista. D'altronde, come diceva il sassofonista Steve Lacy, «il jazz è un virus, un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, "infettando" tutto ciò che ha trovato sulla sua strada».

Il ritmo del jazz è il ritmo della vita, che è fatta di continua improvvisazione; e si sposa perfettamente all'essenza di Shōwa Genroku Rakugo Shinjū, nella quale il copione già deciso del rakugo è in contrasto con la carambola di eventi che coinvolge i protagonisti, spingendoli a compiere scelte di vita all'improvviso. In "Ritratti in jazz" Haruki Murakami offre una descrizione della musica del trombettista Chet Baker che calza a pennello a quest'anime«nel suo modo di suonare c’era qualcosa che faceva nascere in petto un ineffabile, lancinante dolore, delle immagini e dei paesaggi mentali che soltanto la qualità del suo suono e il suo fraseggiare sapevano trasmettere»Shōwa Genroku Rakugo Shinjū è tutto questo.

Lo stesso ritmo jazz si è poi mantenuto nell'opening della prima stagione, Usurahi Shinjū (薄ら氷心中), cantata da Megumi Hayashibara, che è la voce anche dell'opening della seconda parte, Imawa no Shinigami (今際の死神). La prima opening sembra incarnare il personaggio di Miyokichi, mentre la seconda invece quello di Bon.

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L'anima dei protagonisti emerge anche nel doppiaggio. Per un anime come Shōwa Genroku Rakugo Shinjū, infatti, è essenziale che il doppiaggio sia all'altezza del suo compito, essendo che alcuni dei doppiatori, per necessità di copione, devono improvvisarsi attori di rakugo. E attori di rakugo non si nasce da un giorno all'altro! A maggior ragione se non è possibile utilizzare la mimica facciale e gestuale, ma contare solo sulla voce, occorre che il doppiatore si ingegni ancor di più nell'utilizzo del suo strumento vocale! Ecco perché sono sicuramente da segnalare le prove di Akira Ishida nei panni di Bon, Kōichi Yamadera in quelli di Sukeroku, e Tomokazu Seki con Yotarō. La voce che però più di tutte mi ha trasmesso un senso di calore, di materno, di voglia di vivere è quella di Yū Kobayashi, che vestiva i panni della passionale Konatsu!

Nota di merito va infine alla character designer Mieko Hosoi, che ha saputo ricreare in versione animata il bellissimo disegno di Haruko Kumota, che pure si è cimentata nello stesso ruolo con il recente anime Fune wo amu. Essendo l'opera originale uno josei, il taglio maturo del volto dei personaggi è figlio del target al quale il manga è mirato.

Ma ancor più onore va al regista Mamoru Hatakeyama, il quale ha avuto la capacità di montare la serie alla perfezione sugli episodi disponibili, creando una sorta di effetto lungometraggio. Hatakeyama si è superato sotto ogni aspetto, mostrando una padronanza spiccata delle tecniche di suspance e primo piano, assieme alle inquadrature di sfondi, paesaggi e dettagli, e alla concatenazione perfetta tra scene drammatiche e scene comiche... Il tocco di classe è stata la gestione dei ritagli surreali all'interno della trama, nei quali lo spettatore viene calato come in un sogno, e che creano un'ulteriore dimensione alternativa, un nuovo livello oltre quello della storia principale e dei racconti di rakugo. 

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Nonostante la lunghezza di questo articolo, non avrò mai parole adeguate per descrivere la bellezza di Shōwa Genroku Rakugo Shinjū e ciò che per me ha rappresentato. È un anime che sa coinvolgere, affascinare, interessare, non è mai scontato ed è sempre misurato, a tratti surreale e vanesio, a tratti cinico e realistico. Uno spaccato della storia del Giappone vissuta attraverso interpreti d'eccezione. Una vicenda imbevuta di passione e verità, che propugna un'idea ben precisa: il passaggio dalla tradizione alla modernità non è figlio di una decostruzione concettuale, ma è il cambiamento di pelle di un'anima che non si arrende al tempo e che con tutte le sue forze prova ad afferrare la sua unica speranza di sopravvivenza. Shōwa Genroku Rakugo Shinjū è una goduria per gli occhi, una melodia soave per le orecchie, anime brillante e intelligente... invero, sembrava come di sedere a teatro, tendere le orecchie alla voce birichina dell'attore, scoppiare sul serio nella più roboante delle risate. Perciò, se mai qualcuno dovesse chiedermi: "Hai assistito a uno spettacolo di rakugo?", io risponderei: "Sì, ed è stata una delle cose più belle che io abbia mai visto nella mia vita".