“Non si può scendere due volte nello stesso fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato” 
Come ci ricordava già Eraclito circa venticinque secoli fa, il mondo è fatto di persone e cose che cambiano in continuazione. La gente che incontriamo, le esperienze che facciamo, gli eventi a cui assistiamo, le stesse riflessioni interiori in cui ci perdiamo sono tutti fattori che erodono il nostro modo di essere e lo trasformano continuamente in qualcosa di diverso. Ma se è così, allora perché l’uomo dovrebbe porsi come obiettivo quello di cambiare? Non dovrebbe essere una cosa automatica?
In realtà se è vero che il cambiamento è un fenomeno inevitabile, è anche vero che non sempre esso ci spinge nella direzione che vorremmo; e quando una persona comincia ad avvertire l’esistenza di un divario tra ciò che si è diventati e ciò che si vorrebbe essere, allora sente nascere dentro di sé il desiderio di prendere in mano la situazione ed impegnarsi in un nuovo processo di cambiamento, che sarà più consapevole ma non per questo più agevole o privo di sofferenze.

Irozuku Sekai no Ashita Kara è un anime che vuole rappresentare proprio questo. I piccoli ed i grandi drammi della vita possono influenzare in modo negativo il percorso di crescita di una persona, specie durante l’adolescenza; ma quando questo accade bisogna cercare dentro di sé la forza per cambiare di nuovo, stavolta volontariamente, e ritornare a percorrere il cammino che si era abbandonato. Portare a termine questo lavoro non è affatto facile, anzi molto spesso le persone tendono ad arrendersi e ad accettare la nuova realtà così com’è; ma, se si è spinti dalla giusta determinazione e con l’appoggio delle persone care, è possibile invertire la rotta e scegliere consapevolmente che tipo di persona si vuole essere in futuro.
 
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Irozuku Sekai No Ashita Kara (da noi conosciuto anche come Iroduku: the world in colors) è una serie composta da tredici episodi, prodotta dalla P.A. Works con la regia di Toshiya Shinohara.
 
“Sono cresciuta; le persone importanti per me se ne sono andate. E prima che potessi accorgermene, il mondo ha finito per perdere tutti i suoi colori”. Hitomi Tsukishiro è una studentessa di diciassette anni che vive con sua nonna a Nagasaki nell’anno 2078. Da qualche tempo, però, la ragazza soffre di un particolare problema alla vista: non riesce a percepire i colori ma può vedere le cose solo in bianco e nero. A causa di questa sua particolare condizione e a seguito di vicende familiari poco felici, Hitomi diventa una ragazza pessimista, chiusa e scostante. Per cercare di dare una scossa alla nipote, sua nonna, una brillante maga, decide di usare su di lei un incantesimo per mandarla nel passato fino al 2018, ovvero indietro nel tempo di sessant’anni. Passato lo sconcerto e lo sbandamento iniziale e ricevuto il sostegno della famiglia della sua trisavola, la ragazza comincia a frequentare la scuola e fa amicizia coi membri del club di disegno e fotografia. Hitomi, tra i tanti, è istintivamente portata a cercare la compagnia di Yuto Aoi, un ragazzo piuttosto schivo ma capace di creare disegni i cui colori sono percepibili anche dalla bella protagonista.
 
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Penso che a nessuno verrebbe mai in mente di comprare una Ferrari per poi usarla solo per andare a comprare il pane nel negozio sotto casa; allo stesso modo dobbiamo ipotizzare che se la P.A. Works ha scelto di usare per Iroduku un apparato grafico di quel livello, è perché era molto fiduciosa sulla possibilità di riuscire a creare un anime che possedesse qualità tali da conquistare il consenso del pubblico a mani basse. Le cose, purtroppo, non sono andate esattamente secondo le previsioni: Iroduku si è rivelato essere sicuramente un buon anime, profondo e dotato di un simbolismo semplice ma efficace; tuttavia, nonostante la buona impressione destata, la sua qualità complessiva è sicuramente inferiore rispetto alle aspettative.

Come si sarà certamente intuito, nel mondo rappresentato da questo anime convivono famiglie di maghi e gente comune; la presenza della magia nel mondo, però, non dà origine a chissà quale cambiamento nella vita quotidiana delle persone ma il suo uso è abbastanza sporadico e spesso solo folcloristico. Per questo motivo il vero nucleo di questo anime non è la componente “magica”, che ha una funzione quasi di contorno, ma quella slice of life che, a sua volta, è intrisa di una forte dose di realismo. Il fatto che la sceneggiatura proceda con una lentezza spesso ammorbante è proprio il risultato di questo approccio realista: il centro dell’azione, in fondo, è un club di disegno e fotografia, un posto da cui non ci si può certo aspettare novità sconvolgenti giorno dopo giorno. Da questo punto di vista l’interpretazione dell’ambiente in cui la storia doveva muoversi è assolutamente corretta e la lentezza con cui si evolvono personaggi ed eventi ha alla sua base una motivazione molto valida. Però se da un lato la grande importanza che do sempre alla logicità di una storia è stata soddisfatta, dall’altro non posso dire di essere rimasto soddisfatto dalla capacità che la storia ha di intrattenere lo spettatore, dato che, specie nella parte centrale, l’anime si muove con ritmi un po’ troppo blandi, al punto da farmi spazientire più volte.

L’uso di generi narrativi come quello della magia e quello dei viaggi nel tempo, poi, oltre che superfluo, è sembrato abbastanza illogico: se la morale di fondo è che la perdita delle persone care può essere compensata stabilendo rapporti affettivi con persone nuove, perché mai ciò dovrebbe avvenire in un orizzonte temporale diverso, col rischio di perdere in un attimo tutto ciò che si è conquistato?
 
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Lo stesso conflitto tra realismo e intrattenimento che rende incerto il giudizio sulla sceneggiatura influenza anche l’analisi dei personaggi. La protagonista, come abbiamo visto, è una ragazza che ha perso la capacità di percepire i colori a causa di un’infanzia infelice. Da un punto di vista simbolico accostare una ragazza affetta da “acromatopsia” ad un mondo che fa dell’uso dei colori uno dei suoi punti di forza è stata una scelta fantastica, in quanto in questo modo l'anime riesce a trasmettere, senza il bisogno di usare troppe parole, le sensazioni che può provare una persona quando viene abbandonata dai propri cari. Spedita indietro nel tempo, la ragazza, grazie al supporto dei suoi nuovi amici, comincia un “lentissimo” processo di crescita personale che è, al tempo stesso, irritante e realistico; in più il risultato finale di questo processo non sarà una persona completamente trasformata rispetto alla chiusa ed apatica Hitomi del primo episodio ma semplicemente una ragazza che ha fatto dei progressi, che ha acquisito una maggiore fiducia in sé stessa e negli altri, e che è pronta a fare altri progressi. Anche questo non sarà il massimo per lo spettatore ma è coerente con il taglio realista dell’opera: crescere e rivoluzionarsi, infatti, sono due processi diversi che richiedono tempi diversi.
 
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Iroduku, come si è detto più volte, è un anime che pone l’attenzione sul processo di crescita degli individui durante l'adolescenza; questa chiave di lettura non va tuttavia applicata solo a Hitomi, ma a tutti i personaggi della serie. Se è vero infatti che anche Yuito, la persona da cui Hitomi è attratta, ha un carattere vagamente tormentato, è altrettanto vero che gli altri personaggi hanno delle personalità tutte differenti, al punto da dare l’impressione che l’autore volesse rappresentare con essi i vari colori della vita. E se Hitomi, almeno inizialmente, rappresenta il colore più grigio tra quelli rappresentati, sua nonna Kohaku rappresenta il suo perfetto opposto, ossia un colore vivacissimo e pieno di vita; non è quindi un caso se Kohaku è il personaggio che sembra aver riscosso le simpatie maggiori presso il pubblico.

Veniamo all’apparato grafico. Come detto inizialmente, in questo comparto la P.A. Works sembra non aver badato a spese: la prima cosa che si nota è la potenza dei colori, ma anche i disegni sono molto belli (anche se non sono passati inosservati parecchi cali qualitativi). Molto curata anche la colonna sonora; carina la sigla iniziale, “17 Sai” di Haruka To Miyuki, molto bella la sigla finale, “Mimei no Kimi to Hakumei no Mahō” cantata da Nagi Yanagi.
 
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In conclusione, credo di poter affermare che Irozuku Sekai No Ashita Kara è un ottimo anime dotato di un apparato grafico superiore rispetto alla media, ma che non riesce a risolvere il conflitto tra realismo e velocità narrativa. Dato che io sono abbastanza “fissato” sulla componente realista probabilmente l’avrò apprezzato un po’ di più rispetto a molti di voi; anch’io, però, ho trovato almeno la parte centrale dell’anime davvero troppo monotona. In più resta il dubbio originario: ha davvero una logica l’idea di spedire Hitomi nel passato?